Nuvola di passaggio

L'amore non si narra, si dà e basta


Come sempre ho continuato a parlare d'amore, come da tempo a questa parte. L'ho fatto con una ragazza conosciuta in chat: abbiamo iniziato a parlare in generale ed eravamo d'accordo su tutto, poi ci siamo spinti sugli aspetti relazionali ed eravamo d'accordo quasi su tutto; infine abbiamo parlato molto in profondità e non ervamo d'accordo con niente. Le argomentazioni erano le applicazioni umane dell'amore, cosa accade a livello di meccanismi interni, dove l'amore si confonde con la distruzione, la sofferenza, il disagio, l'abuso, l'incesto, la morte. Lei sosteneva le sue idee da cattolica convinta, io le mie idee basate sulle esperienze più o meno trasgressive. E' rimasta così impaurità delle mie parole da non volermi più sentire. "Ma l'amore è amore, perché non è identico per me e per lei?". Non riuscivo a capire.Stamattina sono andato da mia cugina, fedele oltremodo al Cristo sapendo della mia posizione di ateo e come al solito parla per ore di religione. Mi dice di andare in giro a parlare di amore, rispondo: "anch'io!". Mi faccio raccontare le sue esperienze. Ragionando però sul suo modo di approcciare le persone, non poteva ottenere risultati, poiché gli altri non volevano parlarne. "Ma quelli che ne hanno parlato con me volevano spingersi fino in fondo? Oppure ho tirato il discorso io in ballo?". Rifletto un attimo, poi le idee arrivano da sole ed inizio a spiegarle: "non si può parlare di amore, perché nessuno ti capirà se non ama. Nessuno potrà capirti perché non avranno fatto esperienza loro stessi, capiranno solo in parte. Ma se amano è inutile parlarne, perché tutto gli è stato rivelato istantaneamente. Inoltre non vogliono parlarne, vogliono qualcosa per sé, voglino altro, non puoi proporre tu l'argomento. Dovresti invece dargli ciò che chiedono". Rimane un pò scossa e sinceramente anche io, quelle parole erano davvero uscite dalla mia bocca, anche io che faccio come lei.Lascio perdere l'argomento, inizio a dedicarmi a lei, alle sue argomentazioni, discutiamo come sempre di tutto ciò che vuole confrontandoci. Le parlo della mia crescita spirituale ed è l'unica a non aver paura delle mie parole, le dico le cose come stanno, nel profondo, ma ancora non ha paura, anzi mi dice: "io credo che Dio ti abbia parlato e sia entrato in te". Scoppio a ridere: "parlo solo per esperienze di vita. Io non credo, ma le mie esperienze mi hanno portato alle conclusioni scritte in quel libro". Dopo un'altra mezz'ora ci chiamano per il pranzo, ognuno nella propria famiglia. Scendiamo, saluto tutti, esco e la ritrovo fuori la porta, vicina a me. Non capisco cos'abbia, allora la osservo curioso: sono l'unico ad aver dedicato tempo e passione ai suoi discorsi, al confronto, a stare con lei. Non l'ho massacrata come i genitori, non l'ho reclusa né emarginata come la famiglia e la società. Sono stato con lei, per lei, nient'altro. In quel momento si sentiva amata, spalanco gli occhi, "non può essere vero, non può essere così semplice". Mi abbraccia, la stringo dolcemente, mi guarda commossa, spero sia davvero così semplice: alzo la mano, accarezzandole i capelli, il mio sguardo per farle capire di esserci per lei, come sempre. Mostro l'importanza che ha per me, quanto desideri la sua felicità, il mio sguardo muta come mai prima. Mi osservo nei suoi occhi nella sua mente, nella sua reazione...si sente amata ed io sono il primo probabilmente ad amarla, lo noto dal pianto. La mano scende sulla guancia, sorrido, lo sguardo fisso su di lei. Ha un fremito, troppo sta ricevendo in quel momento, le lacrime inziano a scendere. Non ho mai visto piangere quella ragazza, con il carattere forte che si ritrova, capace di ottenere ciò che vuole. Eppure...deve andare con i genitori ed il marito a pranzo, forse farebbe brutta figura con gli occhi rossi dallo sfogo. Si allontana quanto basta per allontanare la mia mano dal suo volto e sempre però guardandomi fisso mi benedice in nome del suo dio. Le lascio delicatamente la mano, quasi lei non volesse staccarsi, la ringrazio e la saluto. Mentre mi avvio a casa la guardo ancora, la gioia non cessa sul suo volto.Volevo urlare: quanto ho sbagliato, anni spesi a riflettere, pensare a cosa fosse l'amore e come si potesse provare. Non mi era mai stato insegnato a voler bene, figuriamoci ad amare! Ed ho sbagliato, sempre, quando parlavo o pensavo, quando speravo di fare la cosa giusta o sceglievo un'azione per far star bene gli altri. Non avevo mai capito. Non serve a nulla parlarne, confrontarsi, cercare di averlo e di darlo; l'importante è esserci per l'altro, le parole non possono esprimere ciò che può esprimere l'atto concreto, non devo far capire di amare, devo solo amare. Saranno gli altri a capire dalle mie opere. Un grande sconforto per non essere mai riuscito a capire finora, ma un sollievo per poter già alla mia età riuscire a dare tutto me stesso per qualcuno, senza più parlare, solo amore