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Paura di chi non ha paura

Post n°264 pubblicato il 30 Maggio 2008 da custode83
 

Il progetto è terminato ed oggi i saluti. Salgo da Giulia verso le 10, parliamo di amore, solitudine, incomprensione. A questo punto parliamo delle mie poesie e mi chiede di poterle leggere. Non ho voglia di prenderle una per una e spedirgliele: "le trovi sul mio blog". Scendo per lavorare anche se è l'ultimo giorno, pranzo e lavoro ancora fino alle 16. E' arrivata l'ora dei saluti, bisogna scegliere l'ordine: mi alzo e vado da Giulia.

Mi affaccio alla porta dell'ufficio: "sto andando via". Si gira sorridente, il suo sguardo è sereno, chissà cos'è accaduto. Entro con la solita espressione di ragazzo ignorante e cieco che mi piace tanto. La guardo e sorrido, lei alza lo sguardo e sorride, dentro sta sospirando nel vedermi . Le concedo l'iniziativa che non tarda a venire: "sei fantastico, sto da stamattina a leggere il tuo blog". Ha uno scossone emozionale, le si mozza il fiato, trema mentre riprende il controllo di sé. Ovviamente rimango zitto e continua: "cioè, scrivi benissimo, non ho smesso di leggere da stamattina, ma che ci stai a fare qua?". Le avrei voluto dire di non avere mai avuto un incoraggiamento per andare avanti, di non aver mai avuto una persona accanto in grado di farmi notare le mie qualità, della tristezza di essere me stesso ed essere apprezzato solo a lavoro.
Non ce l'ho fatta: non ho mai avuto un dialogo sereno con lei e sono sempre stato considerato come un ragazzo fuori di testa e tenuto a distanza. Abbasso allora la testa in un sospiro: "eh".

Mi fa vedere un post, mi spiega le ragioni per cui le piace, io ovviamente do uno sguardo a lei che sta iniziando ad esternare emozioni più latenti. Sorrido per i complimenti, poi mi rimetto di fronte a lei; parliamo del libro sulla mia vita: "quando lo termino te ne porto una copia", sgrana gli occhi mostrando le emozioni: "ci tengo, davvero, portalo qui, ricordati di venire".

Sono piegato dal dolore, ho visto troppo, vorrei sbattere i pugni sul tavolo e mettermi a piangere: è eccitata interiormente, disposta ad un dialogo ed ad una conoscenza. Oggi però, l'ultimo giorno, dopo avermi avuto per un anno davanti a lei ed essersene fregata di avvicinarsi. Non voglio io, non ora, sarebbe troppo facile scardinarle le difese ed avvicinarla. Mi ripeto: "l'incontro è un atto di scelta volontaria ", alla fine mi controllo nel non provocarle reazioni e la lascio libera di essere se stessa.

In questo paio di secondi rimango a contemplare i suoi occhi, poi sorrido: "certo, verrò a portartelo". Avrei voluto parlare di lei, di come la sua realizzazione e la sua felicità fossero così vicine e non lo vedeva, di come sarebbe diventata in poco tempo se avesse iniziato ad amare. Chiudo gli occhi per un secondo: "non mi crederebbe, sarei preso ancora una volta per matto o per presuntuoso. Mi dispiace". Riprende con un altro discorso: "sai, ti ho visto sempre in modo diverso, ma adesso sei cambiato. Devo ammettere che anch'io ho avuto paura di te". Ma nei suoi occhi la paura è ancora viva. Continua a sorridermi, mentre mi sto lacerando dentro, ha appena risvegliato uno dei motivi per cui piango da quando sono un uomo: la solitudine provocata dalla paura. In quel momento se non avesse avuto paura di me, sarei scoppiato a piangere buttandomi fra le sue braccia, ma il dolore provocato dalla sua paura verso di me frena le mie lacrime. Pare che la ragazza stia facendo di tutto per provocarmi dolore, poi ritrovo un pò di lucidità ed ammetto l'impossibilità di una mia conoscenza così approfondita. Mi pongo in meditazione, respiro al fine di rilassarmi ed inizio a stare meglio.

Continuiamo la chiacchierata per alcuni minuti, poi i saluti. Si alza e le do i bacetti, ma in quel momento un nodo alla gola. Devo fare qualcosa o rischio di creare un lago per terra, devo allontanarmi dal suo sguardo. La abbraccio e socchiudo gli occhi, un piccolo sospiro per riprendermi. Ma continuava a controllarsi ed ho acconsentito ad un saluto semi formale. Le dico: "è stato bello conoscerti", "anche per me è stato bello". Cerco di fingere di non sentire la tonalità di voce con cui ha sussurrato le parole o inizio a vibrare tra le sue braccia. Mi riesce e mi stacco dopo quasi cinque secondi.

Non ce la faccio quasi più a contenermi, avrei voluto solo uno sguardo sincero e senza difese per aprirmi a lei completamente, ma continuava a non togliere la maschera, anche se molto traspariva dal suo cuore. Si siede e la saluto, scendendo verso i colleghi, salutandoli uno ad uno, per poi abbandonare l'edificio.

Andando verso casa ancora il nodo alla gola e gli occhi appesantiti, con il dolore a fermare il pianto imminente. Ripenso alle sue parole sulla solitudine, sulla paura.

Ancora oggi sono solo e nessuno rischia di conoscermi, per paura. Sono senza paura e solo in un mondo pieno di paura dove le persone si illudono di non essere sole senza prima guardare il deserto nel loro animo. Paura di chi non ha paura. Paura di me.

 
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