Solo Gesu' Libera

Se Avessi un Pastore (6 Parte )


ESPRIMERE LA GRATITUDINE. A questo punto potrei parlare dei doveri economici, che tutti i fedeli hanno nei confronti dei propri conduttori e, particolarmente, verso coloro che "faticano nel ministerio della Parola" e potrei ricordare l’ordine paolino: "Colui che è ammaestrato nella Parola faccia parte d’ogni suo bene a colui che l’ammaestra"; oppure la rampogna dell’Apostolo ai contenziosi credenti di Corinto: "Se noi vi abbiamo seminato le cose spirituali, è egli gran cosa se mietiamo le vostre carnali?" Potrei, insomma, soffermarmi sul soggetto della liberalità cristiana che, include largamente il particolare relativo all’assistenza dovuta a tutti coloro, che predicano l’Evangelo e dedicano intera la propria vita nel servizio del Signore. Preferisco, invece, trattare un aspetto marginale della questione, precisando che, se avessi un pastore, non vorrei essere avaro verso di lui e non vorrei neanche esercitare la mia generosità sotto la limitazione o l’ipoteca di calcoli e considerazioni aride e maliziose. Dare deve essere, soprattutto, espressione d’amore e l’amore, oltre che generoso, è sempre puro, benigno, pacifico, benevolente. Ma, chiusa questa breve parentesi, aperta per precisare, torno a ripetere: preferisco trattare un aspetto marginale della questione: quello della gratitudine espressa in concreto. Un pastore non ha bisogno di plausi umani e di riconoscimenti sociali, ma, al pari degli altri, ha bisogno di quell’incoraggiamento, che viene anche dalla gratitudine espressa affettuosamente. Possiamo rilevare, quando leggiamo le epistole di Paolo, che anche un grande apostolo come lui, avvertiva il bisogno di quelle espressioni di affetto e di gratitudine che si aspettava da coloro che erano stati particolare oggetto del suo servizio. Quando i Corinti, in risposta alla sua prima epistola, gli indirizzano parole di devozione filiale, e quando i Filippesi riescono a fargli giungere il frutto della loro generosità, Paolo si sente commosso e profondamente incoraggiato nel servizio del Signore. In molti paesi di educazione evangelica i credenti usano ringraziare il pastore per il sermone predicato nella riunione di culto. Forse, questa consuetudine si è trasformata in una vuota e fredda formalità o, forse, quest’uso può essere sempre motivo di tentazione ad un cuore predisposto all’orgoglio, ma, sicuramente, questa norma è nata dalla necessità di esprimere la propria riconoscenza a colui che si è reso strumento di benedizione per la chiesa. Il pastore ha bisogno non di onori, ma di affetto, non di elogi vani, ma di gratitudine sincera, che sia una costante conferma dell’apprezzamento dato al suo servizio. Vorrei approfittare di ogni circostanza, per far sapere al mio pastore del mio affetto per lui e della mia considerazione per il suo lavoro e per i suoi sacrifici. Le espressioni della mia riconoscenza vorrei che fossero calde ed esplicite, affinché potessero tradursi in un reale incoraggiamento per il suo cuore. Una parola buona, un assenso entusiastico, una stretta di mano vigorosa, uno sguardo carico di affetto possono dare ad un pastore la spinta, che gli è necessaria, per continuare la strada in mezzo all’indifferenza di molti e all’incomprensione di altri. Vorrei, anche, e continuo a prescindere intenzionalmente dal soggetto dell’assistenza, dare forma alla mia gratitudine con quei "doni" che sono, come diceva Paolo, un "profumo soave". In determinate ricorrenze annuali, tutti abbiamo l’abitudine di gratificare coloro che hanno prestato il proprio servizio, qualche volta umile, a nostro favore; anche questa è un’espressione di riconoscenza che, purtroppo nella società moderna si è trasformata largamente in un formalismo senza sentimento. L’usanza, comunque c’insegna che è doveroso esprimere la propria gratitudine verso coloro che lavorano per noi ed io vorrei far tesoro di questo insegnamento, perfettamente in armonia con le Scritture, per cogliere le più opportune occasioni a favore del mio pastore. Qui, in modo particolare, i calcoli devono essere ignorati: non si tratta più di assistere, di sovvenire e, come dicono prosaicamente molti, di salariare, ma si tratta soltanto di esprimere affetto e gratitudine in forma concreta e in maniera tangibile. Il pastore sarà beneficato sostanzialmente dal dono, ma più sostanzialmente ancora sarà rallegrato dal. sentimento che lo ha generato, dimostrazione evidente di un interesse vero, di un affetto sincero, di una gratitudine sentita. Se avessi un pastore non vorrei fargli mancare la consolazione che deriva dalla constatazione chiara che il proprio ministerio è stimato ed apprezzato ed il proprio lavoro è seguito con attenzione e goduto con riconoscenza. Il mio dono, piccolo o grande, nelle ore più opportune, nei momenti più adatti, vorrei che ripetesse al suo cuore qualche volta stanco: "Coraggio fratello, perché io ti voglio bene"!    Roberto Bracco