Ocse, in Italia cresce il divario tra ricchi e poveri
Un
abisso tra ricchi e poveri. L’Italia è tra i paesi dell’Ocse,
l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che
racchiude 30 paesi del mondo, dove la differenza tra chi ha i soldi e
chi no è più alta. Non si tratta di “fortune” che capitano alla
nascita, ma di una precisa politica dei redditi che ha favorito il
profitto a scapito del salario e che da tempo non utilizza strumenti
redistributivi.La crescita economica, spiega lo studio Ocse, ha
favorito chi era già ricco, e ha fatto sì che le disparità economiche
aumentassero nel corso degli anni: «Le famiglie ricche - si legge nel
rapporto Growing Unequal - hanno raggiunto risultati
particolarmente positivi rispetto alla classe media e alle famiglie che
si trovano ai livelli più bassi della scala sociale». Dagli anni
Ottanta ad oggi, la disuguaglianza su redditi da lavoro, risparmi e
capitale si è aggravata del 33 per cento. «Si tratta – rileva il
rapporto – del più elevato aumento nei paesi Ocse, dove l’aumento medio
è stato del 12 per cento». La classe media, insomma, è in via
di estinzione: avanti di questo passo e nel nostro Paese avremo persone
ricche sfondate e gente che tira a campare. Sono messi peggio di noi
solo il Messico, dove le differenze sono in assoluto maggiori, la
Turchia, il Portogallo, gli Usa e la Polonia. Non c’è invece questo
divario economico e sociale così marcato in Danimarca, Svezia e
Lussemburgo.Le conseguenze di questo gap, sono soprattutto
sociali: «La crescente disuguaglianza - spiegano dall'Ocse - tende a
dividere. Polarizza le società, crea divisioni regionali tra paesi e
allarga la voragine tra ricchi e poveri. Impedisce la mobilità tra
generazioni, rendendo più difficile per le persone di talento ottenere
ciò che meritano». Finora, spiega ancora il rapporto, i governi hanno
risposto a questo divario in crescita attraverso politiche fiscali e
sociali, riconducendo soprattutto il problema al fatto che la
popolazione invecchia velocemente e per questo si impoverisce. Ma
secondo l’Ocse questa può essere solo una risposta «temporanea»,
significa «intervenire sui sintomi invece che sulla malattia». Per
risolvere davvero la questione bisogna iniziare a preoccuparsi da
prima: «L'unica via sostenibile per ridurre le disuguaglianze», spiega
il rapporto, è assicurarsi che le persone siano in grado di trovare e
mantenere un'occupazione. Questo significa che «i paesi sviluppati
devono sforzarsi molto di più per inserire i cittadini nel mercato del
lavoro piuttosto che sostenerli con indennità di disoccupazione o
pensioni anticipate».