DARK REALMS V2

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DADDY G: DJ KICKS (2004)Identità a colori. Daddy G dei Massive Attack, nome di assoluto prestigio, è ormai una realtà che, come si usa dire in questi casi, non ha bisogno di molte presentazioni. Membro fondatore e tuttora elemento attivo dei seminali Massive Attack, è anima di quell'ensemble che, partendo dall'hip-hop pionieristico, ha saputo creare atmosfere visionarie, “infettando” l'incedere del gravitante beat in 4/4 con colorazioni e fascinose dilatazioni. Questo è il suo mondo sonoro, il chiarimento della sua dote portata nella musica del gruppo a cui appartiene ed ogni suo set è sempre occasione per uno spiazzante viaggio per le strade della black music, dell'hip-hop appunto e, dell'inquietudine urbana, unendo a questo anche le rifrazioni del dub, del reggae e varie sperimentazioni elettroniche. Un attitudine meticcia che lo ha accompagnato nell'esperienza del “Wild Bunch Sound System” e nella sua successiva evoluzione con Massive Attack, da cui decide di separarsi temporaneamente nel 2003, dedicandosi a una breve carriera solista. Che cosa mancava nell’ultimo, magnifico, album dei Massive Attack? L’energia, quella di Daddy G, l’anima nera della band, che alla composizione di 100th Window (2003) non ha partecipato, lasciando Robert Del Naja in preda ai suoi incubi personali, gelidi e tecnologici. Il resto di tale sottrazione è tutta contenuta in questa selezione. Ed è così che, al già prezioso diadema rappresentato dalla serie “Dj Kicks” si aggiunge, infine, uno dei gioielli più lucenti: è il turno proprio di Grant "Daddy G" Marshall, vero trait d'union tra multiple sonorità, di sedersi davanti all'ideale stereo che la mitica etichetta berlinese K7 mette a disposizione degli artisti coinvolti nel progetto. Una vera moda, la lista dei talentuosi dj e remixers chiamati alla compilazione del Dj Kicks. Fautori della scena agli albori ricordiamo Vikter Duplaix, la “premiata ditta” Kruder & Dorfmeister, Stereo MC's, Thievery Corporation, Kid Loco, Truby Trio, Nightmares On Wax, non ultimo in ordine di apparizione Erlend Øye, il 50% dei Kings Of Convinience. Delle serie “Dj Kicks”, oramai, il conto è stato perso tempo fa, e in nostra aiuto non giunge neanche una qualsiasi forma di numerazione che prima l'etichetta attribuiva, fatto che sta ad indicare il più che voluto intento di rendere la fortunata serie praticamente senza termine stabilito. È ed un bene, soprattutto se di tanto in tanto emergono opere come quella scalciata da Daddy G, oramai parte integrante dell'araldo della città di Bristol e del suo sound difficilmente confondibile, che ha inciso profondamente il modo di fare musica da quindici anni a questa parte. In ogni volume della serie “Dj Kicks” scappa sempre fuori la scheggia che non ti aspetti, l'artista-feticcio o il brano che deliziosamente stona nell'immagine mentale; con Daddy G invece tutto torna a suo posto, tutto è già come ti aspetti, il che non sempre è un male davanti a tanta grazia, ma di certo lo spirito della compilazione K7 sembra rilassarsi. Con sapienza e sensibilità, infatti, Daddy G mescola in un unico irresistibile flusso sonoro alcuni remix che i Massive Attack hanno fatto per altri o che altri hanno fatto per loro. A dire il vero, non sempre "pulito" e “preciso” nel mixing, a volte dei veri e propri "stacchi", Daddy G è stato l'anima soul dei Massive Attack e tiene a precisare la sua vocazione anche in questa compilation. Avanti e indietro nel tempo, facendo anche accostamenti azzardati. Daddy G è riuscito ad estrapolare l'anima del trip-hop, sviscerando in un sol colpo la sua concezione di calore soul, di spazio dilatato (si legga dub) e di ritmo (si legga hip-hop), ma anche di influenze disparate e sanguigne. Insomma, tutto ciò che ha influenzato il trip-hop e tutto ciò che il trip-hop ha influenzato a sua volta. In un sol colpo.Jamaica aroma. L’installazione sonora conta di diciassette brani che spaziano in questo suo enorme calderone di influenze sonore. Daddy G sceglie saggiamente di giocare in casa, proponendo una tracklist rappresentativa della sua sfaccettata personalità musicale in cui non possono che spiccare i ben noti nomi di Tricky e degli stessi Massive Attack. Che siano protagoniste di un festino da centro sociale, di un playground periferico o di un ascolto casalingo, quindi, queste diciassette tracce faranno sicuramente la loro figura. Daddy G svolge egregiamente il proprio dovere, a partire già dall’Intro di Philip Levi & Tipper Irie, che riscalda l’atmosfera prima di Armagideon Time di Willie Williams - « la mia registrazione preferita » - una leggendaria traccia per la storia del reggae, seguita a ruota dal breve “stacco” di Rockfort Rock dei Sound Dimensions. Basta poco per comprendere che ci si trova di fronte ad un album decisamente “per intenditori” che sapranno sicuramente apprezzare anche insolite scelte reggae in questa prima parte, soprattutto se in versioni non comuni come Dawn Peen, tirata a lucido dal languore “triphoppeggiante” francese di Non Non Non firmata da Melaaz, in un vestito francese con la sua Non Non Non. Riecco, il metropolitano “angelo dalla faccia sporca”, Tricky, nero, tanto nero, tantissimo, nel suo esatto equilibrio tra fisicità e spiritualità soul, nonché illustre “compagno di merende” di una decina d’anni fa del trio di Bristol, a cui è concesso l'onore di un cosiddetto “unreleased mix”, quell'Aftermath che segnò proprio il bivio con i Massive Attack. Per questo set, Daddy G ha scavato in profondità nei suoi case, rinvenendo affetti personali, cioè il funky motown di Just Kissed My Baby – traccia che gli splendidi Meters scrissero per Ava, sua figlia – e varie tracce “fatte in casa”, cioè gli ovvi remix per un mai compianto Nusrat Fateh Ali Khan e Les Negresses Vertes, riproponendo in chiave dub prima Musst Musst e poi Face À La Mer. Senza ombra di dubbio, è questa la “sua” intima e mediterranea musica, ma la vera nota di ampio rilievo è quanto segue: la celeberrima Karma Koma [The Napoli Trip], che vede la partecipazione dell’ex front-man Raiz degli Almamegretta, che marchia un successo cantato in inglese ristrutturandolo con versi in napoletano, facendo sì che, addirittura, lo stesso “inglese a metà”, Robert Del Naja, canti in dialetto. Una "bella sorpresa" per gli ascoltatori e una “bella soddisfazione” per i partenopei, dato che sembra uno scherzo del destino questo involontario omaggio, proprio nel momento che Stefano Facchielli, in arte D. RaD, membro della band, era scomparso da pochi giorni a causa di un incidente stradale. Detto questo, Daddy G non è un grandissimo dj, ma la sua selezione è dannatamente di grande spessore per varietà ed intreccio, infatti, continua a nobilitare il buon nome del reggae, e dall'immenso patrimonio della musica in levare cava fuori il reggae eletttronico di Budy Bye, ad opera di Johnny Osbourne. che tiene in scacco l'ascoltatore per quasi cinque minuti con le sue poliedriche variazioni sul tema, noto ai più di San Martino. Talvolta, campanaro. Questo è il bello. Ancora “classici” reggae/ska a seguire, e se lo strepitoso dubplate mix Signs del duo Badmarsh & Shri non bastasse, ecco la mai doma e progressiva dancehall di Here I Come firmata Barrington Levy. È il turno ora di Oh Yeah di Foxy Brown, basata su una vecchia traccia di Frederick "Toots" Hibbert e dei Maytals, forse il pezzo che maggiormente si collega la “scena” musicale caraibica attuale, dominata da Sean Paul e soci. Daddy G., non contento, ha altresì ripescato altri vecchi "compari" della sua carriera: i Leftfield, tra i gruppi apripista della scena underground elettronica britannica dei primi anni ’90, autori di un capolavoro assoluto quale Rhythm and Stealth (1999), e qui protagonisti di un animata Inspection / Check One, più dub che mai. La quindicesima traccia, dai bassi profondi e dalle atmosfere “sospese”, proviene direttamente dalla colonna sonora di Blade II, nient’altro che I Against I, in collaborazione col rapper statunitense Mos Def, ennesimo personaggio che non ha bisogno di presentazioni, autore qui di una prestazione emotiva e penetrante. L’ultimo, in ordine d’apparizione, “gingillo” è la godibile versione dance di Rock Steady, realizzata da Danny Krivit, ma interpretata, anni e anni fa, dalla regina del soul, Aretha Franklin. In chiusura del disco, Unfinished Sympathy, “Perfecto Mix” lasciata alle esperte mani del genio Paul Oakenfold, un più che giusto tributo alla canzone che lanciò quel fenomeno suburbano chiamato trip hop. « Queste tracce sono sempre nel mio box » disse Daddy G a mix ultimato.  E non solo nel suo. Questo lavoro rispolvera vecchie canzoni che sono “ammodernate” a mo’ di salone di bellezza, dove ognuna di esse è impreziosito e mai “sconvolta” o “capovolta”, un abilità fuori dal comune, riservata a pochi eletti. La sostanza di ogni singolo pezzo è fortemente mantenuta in vita, anche se la predominante di ognuno altro non è che la netta “vibrazione” che trasmette all’ascoltatore. Niente salti sulla poltrona, ma qui svetta alta l'eleganza di un uomo che da dietro il mixer mostra il colore della propria anima e della propria pelle che, tempo tre anni fa, avrebbe fatto tanto comodo ai “suoi-non-suoi”, amputati, Massive Attack. Non risulterà, perciò, un disco di culto, però, certamente ne è consigliato un ascolto. Profondo.