IN FLAMES: SOUNDTRACK TO YOUR ESCAPE (2004)Gli In Flames sono, volenti o nolenti, una delle più importanti band che le terre svedesi ci abbiano regalato, una band che ha saputo sempre rinnovarsi, un album dietro l’altro, senza mai fermarsi e, soprattutto, senza mai ripetersi. Già la prima release Lunar Strain (1994) fece parlare di loro, con Subterranean (1994) stupirono ed incantarono, con il successivo The Jester Race (1995), naturale continuo di un discorso cominciato acerbamente, ebbero la prima vera consacrazione: da qui in poi gli In Flames sono entrati nella storia del death metal di stampo svedese. Whoracle (1998) fu la prima svolta reale a tutti i livelli, o quasi: suono, composizioni, atmosfere. Colony (1999) aumentò ulteriormente il distacco dagli esordi, da una parte, dall'altra riprese certi riffs maideniani tipici di The Jester Race (1995), che erano stati accantonati nel precedente Whoracle (1998). Ritengo che per capire il percorso evolutivo che ha portato la band a scrivere il controverso Soundtrack to your escape bisogna studiare bene alcune composizioni proprie di Colony (1999). Certo è facile dire che con Colony (1999) vi sia stata la prima sperimentazione di voci pulite, ad esempio con Ordinary Story, ma mi riferisco anche alla splendida Zombie Inc.: apertura forte, per poi proseguire con strofa, pre-ritornello, ritornello nel contempo violenti e melodici ed un intermezzo che parte pacato, ma che, secondo dopo secondo, prepara la successiva esplosione. Ricorda qualcosa di più recente? Ciò nonostante, i successivi Clayman (2000) e Reroute To Remain (2002) hanno portato la band sempre più in alto, sia a livello compositivo/esecutivo, sia a livello di vendite. Ora, è lecito aspettarsi grandi cose dal nuovo materiale, vista anche l'influenza che la band ha in tutto il filone svedese: bene, anche questa volta i nostri eroi non si sono fermati, e hanno fatto un ulteriore passo e, influenzati sempre di più da ciò che fa guadagnare i dollari negli USA, si sono buttati a capofitto in quello che da un lato sarà l'album della consacrazione a livello di vendite oltreoceano, ma che sarà anche la probabile linea di demarcazione fra i vecchi e i nuovi fans. Se qui c'è da discutere è solo a causa della svolta che hanno intrapreso i cinque svedesi, nulla di imprevisto poiché Soundtrack To Your Escape è il perfetto prosieguo di Reroute To Remain (2002). Legati da un filo rosso. Personalmente, ero tra coloro i quali avevano apprezzato il precedente lavoro, disco in cui la compagine svedese degli si era allontanata dagli stilemi del melodic-death scandinavo, per abbracciare sonorità maggiormente moderne contraddistinte da inserti elettronici non eccessivamente invadenti, linee di tastiera che contribuivano a rendere ancor più ariosi alcuni refrain, ed un’impostazione vocale varia e rinnovata, ma non sempre convincente, che si prestava alle esigenze della forma canzone. Da questo connubio ne scaturiva un album complessivamente ispirato che permetteva di comprendere e giustificare la svolta stilistica della band alla luce del progressivo inaridimento compositivo culminato con l’uscita di Clayman (2000). Sono della convinzione che Soundtrack To Your Escape debba essere ascoltato più e più volte prima di essere compreso appieno, vi è una differenza sostanziale tra gli ultimi due lavori: lo ripeto, mentre in Reroute To Remain (2002), come in Clayman (2000), l'uso delle tastiere era semplicemente un contorno rispetto al riffing portante delle chitarre, in quest'album la coppia Jesper Strömblad / Björn Gelotte lavora, più semplicemente, per alzare un muro di suono a sostegno delle melodie tessute dai synth. Tuttavia, non è un claustrofobico muro stile Nevermore, piuttosto alcuni riffs sono paradossalmente avvicinabili Rammstein. Un altro paragone plausibile sono i Pain di Peter Tagtgren, stesso concetto semantico della forma canzone, ma laddove i Pain fallivano clamorosamente a causa di un songrwriting privo di mordente, gli In Flames centrano l'obiettivo riuscendo a creare qualcosa di alternativo. Ormai i cinque svedesi sono un’entità nuova, riplasmata, ma che ha ancora tanto desiderio di spaccare i fondoschiena altrui, sia pur muovendosi su territori inediti, che lasciano poco spazio all’arido e anacronistico conservatorismo. Quest’album, rappresenta la forma compiuta (per la maggior parte) di questa nuova metamorfosi. L’anima metallica è rimasta, ma tale anima sfugge ormai alle consuete catalogazioni che cerchiamo di dare per comodità al metal: heavy, power, death, thrash, speed, suicide, doom, gore, black, classic, epic o viking. Parole senza significato. La difficoltà nel recensire un'opera come questa sta proprio qui. Non è nulla di tutto quello che avete sentito precedentemente o meglio ancora, come già accennato, è tutto quello che avete sentito filtrato attraverso gli In Flames. Reinterpretazioni. Grazie ad una produzione mostruosa e una cura per gli arrangiamenti maniacale, gli In Flames hanno prodotto un disco composto da dodici pezzi di buona fattura, dunque riconosciamo tutte le caratteristiche fondamentali che li hanno accompagnato durante questi anni: cori melodici, atmosfere di grande effetto, riffs incisivi, parti ritmiche martellanti e una straordinaria orecchiabilità. Non si può essere passivi di fronte a ciò. Fin dalla prima traccia, F(r)iend, titolo abbastanza perverso dato che friend (amico) e fiend (demone/diavolo) non sono proprio la stessa cosa, scopriamo un Anders Friden e soci molto in forma: un attacco dirompente ed inquietante apre la strada ad una strofa trascinante con un fondo vagamente melodico che è l'anticamera, di un nevrotico ritornello "urlato" con energia e stile, mentre ultima parte del pezzo è un mix di assoli ruvidi e delicati che si chiude seccamente. Gli In Flames hanno voluto mischiare un po’ le carte in tavola, creando sì un pezzo potente e accattivante, atipica, industrial nel suo procedere dritta senza tentennamenti, con freddezza: un incrocio improbabile anche se efficace tra i Rammstein più grezzi e i Godflesh meno grind e noise. Immediato. The Quiet Place, invece, è introdotta da un azzeccato riff, che sarà protagonista anche del chorus ad ampio respiro, e, complessivamente, rappresenta la meglio focalizzata sintesi degli attuali obiettivi musicali dei cinque svedesi, non a caso è stata scelta in qualità di singolo apripista. L'ambient e la melodia sottostanti si discostano abbastanza dallo stile degli altri pezzi e la voce pulita, leggermente filtrata, ricorda da vicino le soluzioni abbondantemente adottate da numerosi cantanti crossover e nu-metal.
Post N° 54
IN FLAMES: SOUNDTRACK TO YOUR ESCAPE (2004)Gli In Flames sono, volenti o nolenti, una delle più importanti band che le terre svedesi ci abbiano regalato, una band che ha saputo sempre rinnovarsi, un album dietro l’altro, senza mai fermarsi e, soprattutto, senza mai ripetersi. Già la prima release Lunar Strain (1994) fece parlare di loro, con Subterranean (1994) stupirono ed incantarono, con il successivo The Jester Race (1995), naturale continuo di un discorso cominciato acerbamente, ebbero la prima vera consacrazione: da qui in poi gli In Flames sono entrati nella storia del death metal di stampo svedese. Whoracle (1998) fu la prima svolta reale a tutti i livelli, o quasi: suono, composizioni, atmosfere. Colony (1999) aumentò ulteriormente il distacco dagli esordi, da una parte, dall'altra riprese certi riffs maideniani tipici di The Jester Race (1995), che erano stati accantonati nel precedente Whoracle (1998). Ritengo che per capire il percorso evolutivo che ha portato la band a scrivere il controverso Soundtrack to your escape bisogna studiare bene alcune composizioni proprie di Colony (1999). Certo è facile dire che con Colony (1999) vi sia stata la prima sperimentazione di voci pulite, ad esempio con Ordinary Story, ma mi riferisco anche alla splendida Zombie Inc.: apertura forte, per poi proseguire con strofa, pre-ritornello, ritornello nel contempo violenti e melodici ed un intermezzo che parte pacato, ma che, secondo dopo secondo, prepara la successiva esplosione. Ricorda qualcosa di più recente? Ciò nonostante, i successivi Clayman (2000) e Reroute To Remain (2002) hanno portato la band sempre più in alto, sia a livello compositivo/esecutivo, sia a livello di vendite. Ora, è lecito aspettarsi grandi cose dal nuovo materiale, vista anche l'influenza che la band ha in tutto il filone svedese: bene, anche questa volta i nostri eroi non si sono fermati, e hanno fatto un ulteriore passo e, influenzati sempre di più da ciò che fa guadagnare i dollari negli USA, si sono buttati a capofitto in quello che da un lato sarà l'album della consacrazione a livello di vendite oltreoceano, ma che sarà anche la probabile linea di demarcazione fra i vecchi e i nuovi fans. Se qui c'è da discutere è solo a causa della svolta che hanno intrapreso i cinque svedesi, nulla di imprevisto poiché Soundtrack To Your Escape è il perfetto prosieguo di Reroute To Remain (2002). Legati da un filo rosso. Personalmente, ero tra coloro i quali avevano apprezzato il precedente lavoro, disco in cui la compagine svedese degli si era allontanata dagli stilemi del melodic-death scandinavo, per abbracciare sonorità maggiormente moderne contraddistinte da inserti elettronici non eccessivamente invadenti, linee di tastiera che contribuivano a rendere ancor più ariosi alcuni refrain, ed un’impostazione vocale varia e rinnovata, ma non sempre convincente, che si prestava alle esigenze della forma canzone. Da questo connubio ne scaturiva un album complessivamente ispirato che permetteva di comprendere e giustificare la svolta stilistica della band alla luce del progressivo inaridimento compositivo culminato con l’uscita di Clayman (2000). Sono della convinzione che Soundtrack To Your Escape debba essere ascoltato più e più volte prima di essere compreso appieno, vi è una differenza sostanziale tra gli ultimi due lavori: lo ripeto, mentre in Reroute To Remain (2002), come in Clayman (2000), l'uso delle tastiere era semplicemente un contorno rispetto al riffing portante delle chitarre, in quest'album la coppia Jesper Strömblad / Björn Gelotte lavora, più semplicemente, per alzare un muro di suono a sostegno delle melodie tessute dai synth. Tuttavia, non è un claustrofobico muro stile Nevermore, piuttosto alcuni riffs sono paradossalmente avvicinabili Rammstein. Un altro paragone plausibile sono i Pain di Peter Tagtgren, stesso concetto semantico della forma canzone, ma laddove i Pain fallivano clamorosamente a causa di un songrwriting privo di mordente, gli In Flames centrano l'obiettivo riuscendo a creare qualcosa di alternativo. Ormai i cinque svedesi sono un’entità nuova, riplasmata, ma che ha ancora tanto desiderio di spaccare i fondoschiena altrui, sia pur muovendosi su territori inediti, che lasciano poco spazio all’arido e anacronistico conservatorismo. Quest’album, rappresenta la forma compiuta (per la maggior parte) di questa nuova metamorfosi. L’anima metallica è rimasta, ma tale anima sfugge ormai alle consuete catalogazioni che cerchiamo di dare per comodità al metal: heavy, power, death, thrash, speed, suicide, doom, gore, black, classic, epic o viking. Parole senza significato. La difficoltà nel recensire un'opera come questa sta proprio qui. Non è nulla di tutto quello che avete sentito precedentemente o meglio ancora, come già accennato, è tutto quello che avete sentito filtrato attraverso gli In Flames. Reinterpretazioni. Grazie ad una produzione mostruosa e una cura per gli arrangiamenti maniacale, gli In Flames hanno prodotto un disco composto da dodici pezzi di buona fattura, dunque riconosciamo tutte le caratteristiche fondamentali che li hanno accompagnato durante questi anni: cori melodici, atmosfere di grande effetto, riffs incisivi, parti ritmiche martellanti e una straordinaria orecchiabilità. Non si può essere passivi di fronte a ciò. Fin dalla prima traccia, F(r)iend, titolo abbastanza perverso dato che friend (amico) e fiend (demone/diavolo) non sono proprio la stessa cosa, scopriamo un Anders Friden e soci molto in forma: un attacco dirompente ed inquietante apre la strada ad una strofa trascinante con un fondo vagamente melodico che è l'anticamera, di un nevrotico ritornello "urlato" con energia e stile, mentre ultima parte del pezzo è un mix di assoli ruvidi e delicati che si chiude seccamente. Gli In Flames hanno voluto mischiare un po’ le carte in tavola, creando sì un pezzo potente e accattivante, atipica, industrial nel suo procedere dritta senza tentennamenti, con freddezza: un incrocio improbabile anche se efficace tra i Rammstein più grezzi e i Godflesh meno grind e noise. Immediato. The Quiet Place, invece, è introdotta da un azzeccato riff, che sarà protagonista anche del chorus ad ampio respiro, e, complessivamente, rappresenta la meglio focalizzata sintesi degli attuali obiettivi musicali dei cinque svedesi, non a caso è stata scelta in qualità di singolo apripista. L'ambient e la melodia sottostanti si discostano abbastanza dallo stile degli altri pezzi e la voce pulita, leggermente filtrata, ricorda da vicino le soluzioni abbondantemente adottate da numerosi cantanti crossover e nu-metal.