MASTODON: LEVIATHAN (2004)« This is Metal ».PART III) Che la qualità alla fine risulti sempre premiata e riesca ad avere anche ragione delle logiche, a volte distorte, del music business viene sempre più spesso testimoniato dalle uscite della label statunitense Relapse, capace di sfornare dischi di grande valore, ma allo stesso tempo lontani dalle tentazioni e dai miraggi del mercato. E il fatto che sempre più frequentemente alle band e ai video della sopra citata etichetta siano dedicati più passaggi televisivi credo non debba essere sottovalutato. Avvicinandosi ai Mastodon, invece, si deve subito constatare che Leviathan rappresenta la consacrazione definitiva a livello internazionale di una formazione che, dopo solo un delizioso EP ed uno strabordante album all’attivo, è riuscita a dar vita ad un suono davvero maturo e personale. E’ già passato un anno. Sembra ieri che la grande e grossa balena bianca, raffigurazione letteraria abilmente narrata nelle righe di "Moby Dick" da parte del suo “creatore” Herman Melville (1819-1891), è emersa dalle profonde acque, carica di sventura. Sfondo perfetto per ambientare dieci parabole epiche ed avventurose. I Mastodon, ciò nonostante, hanno osato di più, poiché la balena, incarnazione del male, ha un nome preciso: Leviatano. Un orribile mostro marino, stavolta, appartenente alla tradizione religiosa biblica, descritto nel libro di Giobbe, nonché, adottato dal filosofo Thomas Hobbes (1588-1679), tanto per la mostruosità che per le caratteristiche dell’animale, che il testo biblico enumera. Il Leviatano è il potere più alto che esista; è stato creato in modo tale da non aver paura, anzi incuterla; signoreggia e tiene a freno i superbi; infine, con lui non si possono stringere patti. Queste sono appunto le caratteristiche dello Stato. Tutto ciò si addice perfettamente alla “mastodontica” costruzione sonora espressa in siffatto disco, supremo concept elaborato dal quartetto di Atlanta. L'impressione è quella di trovarsi di fronte ad uno di quei dischi "importanti per la scena", che saranno ricordati come icone di riferimento nella musica a venire. I Mastodon tirano fuori dal cilindro quello che potrebbe essere il post-heavy metal, amalgamando con naturalezza attitudini, idee e suoni provenienti da scenari distanti, creando un blocco di canzoni stupefacenti dall'inizio alla fine e confezionandole con l'abilità di un artigiano minuzioso, che cura ogni dettaglio e non disdegna di mostrare un'esagerata abbondanza di capacità esecutive. Un flusso musicale nuovo, un'onda anomala che sembra volerci travolgere... eppure è così rabbiosa e spumeggiante che non riusciamo a distogliere lo sguardo: vediamo che ha inghiottito la nave dei Neurosis, un antico relitto dei Metallica, la scialuppa dei Voivod, frammenti di heavy metal, thrash, death, hardcore ed una vecchia bottiglia di whisky dei Motörhead. Sembra che si siano presi i resti di un genere alla deriva e se ne siano usati i pezzi per costruire una nuova ammiraglia indistruttibile. Il capitano Ahab di questa spedizione alla caccia della balena bianca - l'innovazione? - potrebbe essere il riffing inarrestabile della coppia Hines-Kelliher, se non fosse che spesso al timone c'è addirittura una piovra, Brann Dailor, davvero incredibile alla batteria, ma insomma tutti gli strumentisti coinvolti sono ventimila leghe sopra gran parte della concorrenza. In Leviathan il concetto di metal estremo viene filtrato con grande abilità e gusto attraverso strutture compositive complesse ma non impenetrabili, che con un uso intelligente della tecnica strumentale fanno trasparire emozioni ed atmosfere che non è più così semplice rintracciare nelle uscite di questi ultimi anni. Un disco che non perde il groove dall'inizio alla fine, che gioca a velocità assurde pur piazzando aperture e mid-tempo, non c'è un solo pezzo che non valga la pena di essere ascoltato e non cala nemmeno per un momento la curiosità di sapere "che cosa segue". Una volta finito il viaggio non si aspetterà un attimo per risalire a fianco dell’arpionere Queequeg e vivere nuovamente la stessa affascinante avventura; francamente, di questi tempi, non è una cosa che capita molto spesso. Marginale in questi casi, ma da annotare ugualmente, la veste grafica sopraffina: sembra di avere tra le mani uno stralcio di quella peculiare mitologia partorita dal mistero del mare, con bestie immense, abissi, eroi. I Mastodon sono già salpati verso nuovi orizzonti. Nel corso degli anni il gruppo americano ha raffinato sempre di più la sua proposta dando ordine al violento caos primordiale, smussando gli angoli ed iniettando una dose sempre maggiore di melodia, soprattutto vocale, e sono proprio le partiture vocali e le armonie a segnare il grande distacco dall’approccio precedente. I Mastodon fondono il tutto con una struttura portante prettamente metal, fatta di riffs granitici e squadrati: compiono insomma un’opera non troppo dissimile dalle varie compagini melodic death/hardcore che si stanno risvegliando negli ultimi anni (God Forbid e Shadowsfall), ma di gran lunga più personale e coesa. Non ce n’è per nessuno. Per i Mastodon questo è comunque il momento della consacrazione internazionale, probabilmente della fuoriuscita dal limbo degli emergenti underground, dell'abbandono della nicchia frequentata da pochi cultori per infilarsi nel circuito che conta a livello mediatico.Fin dall’opener si ha la misura di dove i Mastodon abbiano voluto arrivare con questo disco: al cuore del metal, direttamente al nocciolo, senza dovere né volere strafare per raggiungere l’obiettivo. Si comincia con l'abbondante profusione di sangue e tuoni dell’epica e grandiosa Blood And Thunder (click), che si apre con un riff di chitarra semplicissimo e devastante di Brent Hinds, che viene poi condito dall'entrata in scena della precisissima batteria di Brann Dailor e dalla possente voce del cantante/bassista Troy Sanders, alternando growl a screamed e melodic vocals.
Post N° 68
MASTODON: LEVIATHAN (2004)« This is Metal ».PART III) Che la qualità alla fine risulti sempre premiata e riesca ad avere anche ragione delle logiche, a volte distorte, del music business viene sempre più spesso testimoniato dalle uscite della label statunitense Relapse, capace di sfornare dischi di grande valore, ma allo stesso tempo lontani dalle tentazioni e dai miraggi del mercato. E il fatto che sempre più frequentemente alle band e ai video della sopra citata etichetta siano dedicati più passaggi televisivi credo non debba essere sottovalutato. Avvicinandosi ai Mastodon, invece, si deve subito constatare che Leviathan rappresenta la consacrazione definitiva a livello internazionale di una formazione che, dopo solo un delizioso EP ed uno strabordante album all’attivo, è riuscita a dar vita ad un suono davvero maturo e personale. E’ già passato un anno. Sembra ieri che la grande e grossa balena bianca, raffigurazione letteraria abilmente narrata nelle righe di "Moby Dick" da parte del suo “creatore” Herman Melville (1819-1891), è emersa dalle profonde acque, carica di sventura. Sfondo perfetto per ambientare dieci parabole epiche ed avventurose. I Mastodon, ciò nonostante, hanno osato di più, poiché la balena, incarnazione del male, ha un nome preciso: Leviatano. Un orribile mostro marino, stavolta, appartenente alla tradizione religiosa biblica, descritto nel libro di Giobbe, nonché, adottato dal filosofo Thomas Hobbes (1588-1679), tanto per la mostruosità che per le caratteristiche dell’animale, che il testo biblico enumera. Il Leviatano è il potere più alto che esista; è stato creato in modo tale da non aver paura, anzi incuterla; signoreggia e tiene a freno i superbi; infine, con lui non si possono stringere patti. Queste sono appunto le caratteristiche dello Stato. Tutto ciò si addice perfettamente alla “mastodontica” costruzione sonora espressa in siffatto disco, supremo concept elaborato dal quartetto di Atlanta. L'impressione è quella di trovarsi di fronte ad uno di quei dischi "importanti per la scena", che saranno ricordati come icone di riferimento nella musica a venire. I Mastodon tirano fuori dal cilindro quello che potrebbe essere il post-heavy metal, amalgamando con naturalezza attitudini, idee e suoni provenienti da scenari distanti, creando un blocco di canzoni stupefacenti dall'inizio alla fine e confezionandole con l'abilità di un artigiano minuzioso, che cura ogni dettaglio e non disdegna di mostrare un'esagerata abbondanza di capacità esecutive. Un flusso musicale nuovo, un'onda anomala che sembra volerci travolgere... eppure è così rabbiosa e spumeggiante che non riusciamo a distogliere lo sguardo: vediamo che ha inghiottito la nave dei Neurosis, un antico relitto dei Metallica, la scialuppa dei Voivod, frammenti di heavy metal, thrash, death, hardcore ed una vecchia bottiglia di whisky dei Motörhead. Sembra che si siano presi i resti di un genere alla deriva e se ne siano usati i pezzi per costruire una nuova ammiraglia indistruttibile. Il capitano Ahab di questa spedizione alla caccia della balena bianca - l'innovazione? - potrebbe essere il riffing inarrestabile della coppia Hines-Kelliher, se non fosse che spesso al timone c'è addirittura una piovra, Brann Dailor, davvero incredibile alla batteria, ma insomma tutti gli strumentisti coinvolti sono ventimila leghe sopra gran parte della concorrenza. In Leviathan il concetto di metal estremo viene filtrato con grande abilità e gusto attraverso strutture compositive complesse ma non impenetrabili, che con un uso intelligente della tecnica strumentale fanno trasparire emozioni ed atmosfere che non è più così semplice rintracciare nelle uscite di questi ultimi anni. Un disco che non perde il groove dall'inizio alla fine, che gioca a velocità assurde pur piazzando aperture e mid-tempo, non c'è un solo pezzo che non valga la pena di essere ascoltato e non cala nemmeno per un momento la curiosità di sapere "che cosa segue". Una volta finito il viaggio non si aspetterà un attimo per risalire a fianco dell’arpionere Queequeg e vivere nuovamente la stessa affascinante avventura; francamente, di questi tempi, non è una cosa che capita molto spesso. Marginale in questi casi, ma da annotare ugualmente, la veste grafica sopraffina: sembra di avere tra le mani uno stralcio di quella peculiare mitologia partorita dal mistero del mare, con bestie immense, abissi, eroi. I Mastodon sono già salpati verso nuovi orizzonti. Nel corso degli anni il gruppo americano ha raffinato sempre di più la sua proposta dando ordine al violento caos primordiale, smussando gli angoli ed iniettando una dose sempre maggiore di melodia, soprattutto vocale, e sono proprio le partiture vocali e le armonie a segnare il grande distacco dall’approccio precedente. I Mastodon fondono il tutto con una struttura portante prettamente metal, fatta di riffs granitici e squadrati: compiono insomma un’opera non troppo dissimile dalle varie compagini melodic death/hardcore che si stanno risvegliando negli ultimi anni (God Forbid e Shadowsfall), ma di gran lunga più personale e coesa. Non ce n’è per nessuno. Per i Mastodon questo è comunque il momento della consacrazione internazionale, probabilmente della fuoriuscita dal limbo degli emergenti underground, dell'abbandono della nicchia frequentata da pochi cultori per infilarsi nel circuito che conta a livello mediatico.Fin dall’opener si ha la misura di dove i Mastodon abbiano voluto arrivare con questo disco: al cuore del metal, direttamente al nocciolo, senza dovere né volere strafare per raggiungere l’obiettivo. Si comincia con l'abbondante profusione di sangue e tuoni dell’epica e grandiosa Blood And Thunder (click), che si apre con un riff di chitarra semplicissimo e devastante di Brent Hinds, che viene poi condito dall'entrata in scena della precisissima batteria di Brann Dailor e dalla possente voce del cantante/bassista Troy Sanders, alternando growl a screamed e melodic vocals.