DARK REALMS V2

Post N° 72


ANNIHILATOR: WAKING THE FURY (2002)Mai titolo fu più azzeccato! E… mentre nella nostra cara vecchia Europa continua a mietere vittime la “sacra triade tedesca”, composta da stoici e storici gruppi quali Destruction, Kreator e Sodom, dall’altra parte dell’oceano, dove le sonorità thrash sembrano morte e sepolte da alcuni anni, almeno da quanto si evince dagli sconfortanti dati di vendita, ritornarono, agli albori dell’anno di grazia 2002 – propizio per molti dei grandi nomi della scena metal mondiale come Blind Guardian, Down, In Flames, Iron Maiden, Rhapsody e Sentenced – gli immancabili ed inossidabili Annihilator. Ad un anno di distanza da Carnival Diablos (2001), il potente combo canadese capitanato dal folle e adrenalinico chitarrista Jeff Waters approdò al decimo notevole disco, che non smentì le loro grandi capacità artistiche. Per tale nuova uscita della band, la line-up fu “ritoccata” per l'ennesima volta, col graditissimo ritorno alle “pelli” di Randy Black, già batterista della band tra il '93 e il '97, e la sostituzione di Dave Scott Davies alla chitarra, da parte di Curran Murphy (già con i Nevermore) ed, infine, l’ingresso in pianta stabile dell’aggressivo e convincente cantante, Jon Comeau si rivelò essere un acquisto realmente azzeccato e pieno di rosee previsioni per il successo duraturo della band. Insomma, niente di nuovo, tuttavia, per la prima volta, "mastro" Jeff Waters ha permesso a Russ Bergquist di suonare tutte le parti di basso sull'album ed a Curran Murphy di registrare alcuni assoli. A questo punto, con Waking the fury, gli Annihilator si erano dichiaratamente posto l'obiettivo di pubblicare il lavoro più pesante in assoluto, il lavoro con cui far risplendere ancora una volta l'intransigenza sonora tipica del thrash metal più violento e veloce. Discostandosi parecchio dalle sonorità della loro precedente pubblicazione, con le sue bellissime aperture melodiche, quest'album suona veramente duro e tagliente, merito anche di una produzione che si avvicina molto più al death, seguendo una tendenza che era già stata inaugurata da un'altra grande thrash band: i Testament, in quel magistrale lavoro che è The Gathering (1999). In una personale variazione sul tema, gli Annihilator uniscono a sonorità provenienti dagli 80’s un sound decisamente più tecnologico, compressissimo, affilato come un rasoio, lasciando come sempre ampio spazio ad una linea ritmica complessa e variegata. Attraverso suoni roventi, martellanti, che colpiscono, per la loro sovraumana potenza, fin dal primo ascolto, la band canadese dà vita ad un thrash con forti contaminazioni death, ma senza disdegnare qualche citazione stile Iron Maiden (Striker), un richiamo ai sempre immensi Slayer (Ultra Motion), o un cenno ai Metallica, dei gloriosi tempi passati, in Nothing to me. L'intero lavoro della band canadese si regge su una perfetta alchimia fra parti cadenzate, ossessive e brusche, velocissime sterzate basate su fulminanti fraseggi di chitarra, eseguite in maniera magistrale da Jeff Waters e Curran Murphy, creando così un efficacissimo mix, che riesce a dar vita a pezzi articolati, ma, allo stesso tempo, di una freschezza compositiva, a dir poco, eccezionale. Non c'è un attimo di tregua durante i soli cinquanta minuti di Waking the fury, in cui gli Annihilator sembrano veramente posseduti da qualche inquietante entità demoniaca, tanta è la furia che riescono a tirare fuori nei loro pezzi, merito anche di un'eccezionale performance vocale di Joe Comeau, è obbligatorio sottolinearlo, che dimostra di essere davvero in gran spolvero. Dobbiamo, quindi, acclamare l'avvento del "Reign In Blood" degli Annihilator? A volte il destino gioca proprio brutti scherzi. Durante questi anni gli Annihilator hanno spinto il techno – thrash a livelli qualitativi davvero alti, e dopo un periodo di difficoltà dovuto in parte ad un certo calo d'ispirazione ed in parte alla nota intolleranza del pubblico metal, la band ha finalmente riguadagnato la posizione che le spetta nel firmamento metallico. Una seconda giovinezza.L'apertura è affidata alla mostruosa Ultra Motion, canzone che non lascia tregua per la sua cattiveria caratterizzata dalle chitarre pressanti e veloci. Un Joe Comeau molto irruente e graffiante, “gratta” decisamente parecchio con la suo voce. Contraddistinta da un furioso sound tipicamente “americano”, non a caso, ricorda tantissimo le produzioni dei gruppi della Bay Area. Deliziosamente “retrò”. La traccia seguente cattura al primo ascolto. Assicurato. Infatti, Torn (Real Player), tanto per le sue melodie heavy, quanto per il memorabile ritornello, colpisce da subito l'ascoltatore. Le chitarre efficaci e presenti, spingendo la band a “dilettarsi” nello spaziare su piani ritmici decisamente diretti quanto contenuti. Davvero un pezzo fantastico quanto unico. Lunatic Asylum (Real Player), invece, è molto più “cattiva”, incede veloce con un martellare di batteria decisamente inarrestabile. Jeff Waters rilascia una “dura” prestazione in grado di scatenare il più furioso degli head-banging. Non per altro, ma sono la sua persona e la sua chitarra il fulcro di tutte le composizioni. Genio. Si prosegue con Striker che ha un mood davvero coinvolgente; comunque questa sensazione è presente in più di un brano di Waking The Fury. Eufemico è ripeterlo ancora. Nella parte centrale, tra l’altro, il drum solo di Randy Black si lascia ampiamente apprezzare. Si passa poi a Ritual, che ha una struttura semplice: le chitarre macinano continuamente riffs e la batteria non ha tregua. Breve ed affossante. Prime Time Killing, al contrario, è letteralmente imprevedibile. Canzone corredata da suoni industriali ed elettronici. Tempo medio e cadenzato in cui le chitarre stridono in maniera “ipnotica”. La settima traccia, The Blackest Day (Real Player), si apre con una sorta di fruscio che lascia dopo pochi secondi spazio alla velocità delle chitarre, sempre molto “strette” e caratterizzate da quella produzione digitale che ha loro conferito questo sound maestoso. Al tempo stesso, esaltante è la performance di Joe Comeau. Nothing To Me, piuttosto, nella parte iniziale è caratterizzata da tempi molto più intimisti e meno cadenzati, per poi trasformarsi in una canzone tipicamente hard rock. Peccato che di parti acustiche ci sia solamente l'introduzione di suddetta traccia, ma evidentemente questo album è stato “architettato” per fare parecchia presa soprattutto suonato dal vivo e non ha lasciato praticamente nessuno spazio a ballad e/o canzoni lente. In tutto ciò, l’enfatica Fire Power è influenzata da un sound propriamente heavy. Il background di Jeff Waters è sublime e riflette la sua specifica attitudine “chitarristica” dei suoi preziosi componimenti. A chiudere Waking The Fury ci pensa Cold Blooded (Real Player), che è intimamente dotata della violenza e della velocità proprie dell'opener e ne altrettanto segue lo stile feroce di ovvia scuola thrash. È il colpo finale inferto all’ascoltatore, da non riuscire a rimanere fermi. In conclusione, Waking The Fury è un album, senza dubbio, ben più che interessante: non “prende” subito come i suoi nobili predecessori, ma dopo qualche ascolto non se ne potrà fare più a meno! Impetuoso e moderno, la giusta evoluzione della band ed in questo senso pare che l'ispirazione per Jeff Waters non abbia mai fine. Head – Bang assicurato.Meno tre… la Rosa Rossa continua a crescere intensamente…