DARK REALMS V2

Post N° 76


UNDERWORLD: BEAUCOUP FISH (1999)Capitolo I: << Ti piacciono le riviste di meccanica? >>.Darren Emerson (d.j.), Rick Smith (chitarra) e Karl Hyde (vocalist) sono gli storici fautori umani del concreto progetto musicale Underworld, un gruppo che dai primi anni ‘90 traccia le coordinate musicali dell’avanguardia elettronica. Esigui gruppi, nella seppur breve storia di siffatta musica, sono in grado di vantare una seminale importanza come quella degli Underworld che, spalleggiati da gruppi come Prodigy, Chemical Brothers e Orbital, hanno trovato il loro migliore mezzo di espressione artistica nel “verbo” musicale sintetico e sono riusciti a trasformare il genere elettronico in un “faro guida” sonoro. Il linguaggio elettronico utilizzato dagli Underworld è quello della techno colorata da suoni ambient, acidi, funk e house, un “concentrato” sonico a 360°, tuttavia, diversamente da altri gruppi contemporanei, il loro stile punta alla minimale semplicità, al diretto impatto del suono sulla mente e sul corpo di chi ascolta, e questa caratteristica dona ai loro brani un’immediatezza inconsueta in un settore musicale che spesso eccede per l’eccessiva stratificazione sonora. Parallelamente all’incisione di album di grande successo, seppur con qualche difficoltà di “titolo”, come Dubnobasswithmyheadman (1994), il trainante singolo della colonna sonora del film culto Trainspotting (1996), che rafforza ulteriormente la loro fama, Born Slippy – il loro brano più conosciuto e ballato – e il conseguente Second toughest in the infants (1996), gli Underworld partecipano con grande successo a diversi festival live come il Tribal Gathering ed il Fuji Rock in Giappone, dimostrando come il loro stile elettronico, fatto di lunghe “introduzioni” che convulse esplodono nella coinvolgente battuta ritmica, sappia essere estremamente trainante anche dal vivo. L’intera produzione musicale degli Underworld è sempre stata assunta come vero e proprio esempio di una techno sofisticata e di spessore, adatta alla pista come all’ascolto tra le mura domestiche. Tale disco riconferma la caratura internazionale del gruppo e, al tempo stesso, riprende i “caratteri generali” dei suoi “predecessori”, elaborando, contemporaneamente, una propria personalità, seppur sempre conforme allo straordinario stile Underworld. Così, Beaucoup Fish (1999) finisce per assumere una forte carica introspettiva, sorretta da magiche atmosfere che “pochi” sarebbero in grado di “plasmare”, realizzando un “informe” materiale elettronico e tenendo saldo un’eguale grazia e ricercatezza, trade-mark caratterizzante della sofisticata produzione degli Underworld sin dagli esordi. Cos’è allora Beaucoup Fish? Il nome richiama New Orleans e il miscuglio di suoni e culture, un intento dichiarato e rispettato. Con maggiore definizione rispetto al passato, emerge in questo disco la più grande dote degli Underworld: nell'elettronica, dove un nuovo stilema è soltanto un vetro che si spezza irrimediabilmente in mille altri frammenti, i britannici riescono ad abbracciare con lo sguardo uno stellato cielo musicale, che non sarà mai completamente visibile, ma “suona” filtrato da un’impareggiabile musica, imparagonabilmente esaustiva, ricca, superiore; dove techno e trance si intrecciano con molteplici elementi sonori in cangianti forme, verso la sublimazione. In questo disco risiede stabile il marchio ossessivo della techno, ma anche la soffice e onirica ricerca di paesaggi nuovi, con voci ed effetti che fanno pensare al nuovo che avanza, ovviamente con un irresistibile passo ritmico. Nelle sue undici tracce, gli Underworld definiscono ulteriormente il loro sound, realizzando un monolite di settantaquattro minuti di Grande Musica, dalle mille e una sfaccettature. L'iniziale Cups apre le danze, e ci si trova quasi catapultati in un fumoso locale della Londra più underground, tra atmosfere soffuse e acidi deliri tastieristici: apnea bassa, distorta, intervallata da stacchi che sembrano i respiri di un nuotatore, muore poi trionfalmente in un assolo di tastiere acide. La successiva e famosissima Push Upstairs comincia a scaldare le casse, lo scarno loop di pianoforte e la voce lisergica e distante di Karl Hyde vanno di pari passo, fino a sfociare nell'acid – techno più ossessiva, amalgamata da tonalità morbide di accordi (la c.d. "old school"). Da applausi scroscianti. I suoni delicati ed ambientali della splendida Jumbo, con una tempistica semplicemente perfetta, che sposa il dream-pop e il minimal drum'n bass con un semplice << click >>, fanno quasi sollevare in volo l'ascoltatore sulle mille luci notturne della robotica metropoli. Tuttavia,  il deflagrante hardcore – trance di Shudder/King Of Snake è lì dietro l'angolo, pronta a sconvolgerlo e a proiettarlo, lentamente, nel baratro. Winjer, piuttosto, altro non è che quattro – minuti – quattro di techno tribale. Precisa. Gli Underworld esprimono tutta la loro maestria sonica, da un lato nel “trattare” i suoni elettronici e dall’altro nel creare corpose sequenze musicali coinvolgenti e mozzafiato. Si potrebbe menzionare ogni minimo sussulto del disco, ogni fruscio impercettibile, dal funk sghembo che accarezza il break – beat di Bruce Lee alla ricercata e sperimentale, nonché malinconica ballata digitale Skym (click), passando per il frenetico battito tribal – ambient di un’estatica Kittens, la disarmante calma di Push Downstairs – lo specchio nero del ritmo galvanizzato della gemella Push upstairs, il suo negativo, il "down" che accompagna l'aria fredda dell'alba – con le casse che ancora ronzano nelle orecchie e la pura bellezza di una seducente Something Like A Mama, con i suoi battiti sincopati, fino alla conclusiva e strepitosa Moaner, vero manifesto di una tribù che balla e per nulla intenzionata a smettere. Gli Underworld, in definitiva, colpiscono a segno, e danno l'addio al ventesimo secolo con un album incredibile e dall'intensità unica, un'intensità che il successivo A Hunderd Days Off (2002) riuscirà a ripetere a metà, sancendo, invece, l'inizio del declino del gruppo inglese, ridotto a duo dopo l'addio di Darren Emerson, che ha finito per dedicarsi interamente alla carriera solista e alla sua etichetta Underwater. Una tegola che, anni fa, lasciò numerose domande irrisolte sul futuro degli Underworld. Tuttavia, Beaucoup Fish (1999) resta lì, intoccabile, un album affascinante che non finisce di sorprendere ad ogni ascolto e superbo manifesto di una generazione che, forse, già non c'è più, nonché sintesi perfetta di una decade di elettronica che molti faticheranno a dimenticare. Eclettico.