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DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post n°89 pubblicato il 11 Novembre 2006 da Nekrophiliac
 

DEPECHE MODE: ULTRA (1997)

Overdose di successo. I Depeche Mode lo intuirono a metà degli anni ’90: il Devotional Tour, vale a dire, quindici mesi ininterrotti di concerti intorno all’intero globo che, altro non fecero che, far piombare il quartetto nella più nera delle crisi. Infatti, proprio al termine del Devotional Tour, il batterista Alan Wilder decise di lasciare i suoi compagni e mollare tutto a fronte di una molteplicità di circostanze – oramai insostenibili – determinatesi all’interno del gruppo: Dave Gahan, eccentrico front-man e implacabile trascinatore delle folle, letteralmente, “dipende” dell’eroina. Martin Gore, spirito ispiratore dei Depeche Mode, nonché il creativo autore dei testi, in occasione di ogni concerto, un attimo prima di salire sul palco, “necessita” di alcool al fine di placare una delle sue numerose crisi di panico: è persuaso dai cosiddetti “fumi dell’alcool”, unico rimedio per ricordare la sconfinata successione di note da suonare. Andrew Fletcher, a conti fatti, “manager” della band, per di più, “bilancino” alle presunte, o tali, bizzarre stravaganze di Dave Gahan e Martin Gore, è affetto da un forte esaurimento nervoso che non ha rimedio alcuno. Basti pensare che al termine di ogni show, i quattro viaggiavano separatamente per raggiungere la prossima città da sedurre per una manciata di ore a notte. Dave Gahan, fra tutti, divenne sempre più “intrattabile”, in preda a continui sbalzi d’umore, che lo spinsero ad urlare persino, alla notizia dell’avvenuta morte del leader dei Nirvana, Kurt Cobain: « Kurt mi ha fregato l’idea! ». In seguito, alla domanda di un giornalista, « Hai mai provato veramente paura? », Dave Gahan raccontò di quando, completamente “assuefatto” all’eroina, adagiato sul sofà nel salotto di alcuni amici, il loro bambino, avvicinatosi, gli chiese chi mai fosse: il cantante si rese conto di non saper cosa e come rispondere all’innocente domanda del piccolo e fu in quel momento che avvertì un profondo senso di paura per il suo stesso essere. Da lì a breve, si susseguirono reiterati tentativi di suicidio, le abnormi visioni e gli schizofrenici deliri, il soprannome “Il Gatto” – dato che sembrasse avere nove e più vite – e gli ininterrotti ricoveri in specifiche cliniche per la disintossicazione senza mai conseguire risultati, fino al vero e proprio punto di non ritorno: 28 maggio 1996. In un hotel di Los Angeles, dove si era trasferito dopo la fine del suo secondo matrimonio, sbattuto sul letto in tale lussuosa stanza, Dave Gahan fu volontaria vittima di un’overdose da eroina, divenendo “clinicamente” morto per tre lunghi minuti. Dimesso dall’ospedale, fu arrestato per tentato suicidio, in quanto esso costituisce un reato in California e fu, altresì, costretto, sempre per legge, a disintossicarsi del tutto, restando sotto controllo medico per alcuni anni, il che gli permise di “ricominciare” a vivere per l’ennesima volta, rigettando, per sua stessa ammissione, le malsane “vecchie abitudini” e, anzi, tenendosi alla larga da situazioni che potevano indurlo a tornare sui propri passi. Piuttosto, da ciò Ultra prende, a sua volta, linfa vitale, poiché a distanza di un anno dall’aver toccato il fondo della fossa con la suola delle “proprie scarpe”, Dave Gahan raggiungerà gli storici “reduci”, Martin Gore ed Andrew Fletcher in studio. Ultra divenne così l’album del ritorno dall’oblio.

Una seconda e introspettiva giovinezza. Sebbene orfani di Alan Wilder, dedicatosi per intero ai Recoil, il virtuoso e concreto Ultra non tradì le attese e segnò il futuro della band, forte di una rinnovata volontà, spiazzando pubblico e critica con tale undicesimo capitolo di una carriera nuovamente in ascesa, ennesima consacrazione della band, per niente inferiore ai monumentali e magniloquenti predecessori, cioè il capolavoro assoluto Violator (1990) e la “devastante”, sotto qualsiasi profilo, svolta rock di Songs Of Faith And Devotion (1993). Ultra venne, dunque, salutato quale un ritorno ai massicci fasti, propriamente elettronici, del passato, come sempre avviene in occasione della pubblicazione di nuovi dischi di band storiche, tuttavia, in realtà di “vecchio” c'era soltanto l’essere immateriale, la forma avvolgente, il madido sudore, e la presenza di un noto “marchio di fabbrica”, che faceva palese l’immortalità dell’ultraterreno gruppo che aveva urgenza di ri-comunicare le proprie storie con toni sobri e placidi, quasi romantici. Ed è così che Ultra si contraddistingue per essere un album posato, seppur cupo e notturno, certamente meditativo, volto all'essenza e lontano da un discorso moralmente estetico. Inaspettatamente, il disco non è anonimo come, pessimisticamente, ci si poteva attendere a seguito della caduta nel baratro del quartetto. Al contrario, le magnifiche ed espressive liriche di Martin Gore si coniugano con un sound ruvido, maturo e più minimalista, decisamente lontano dal pop scanzonato degli esordi, che esprime disparate contaminazioni musicali, fino alle divagazioni “dance”.

« Do you mean this horny creep? ». Tali sono le prime parole che Dave Gahan pronunciò al risveglio dal coma e sono le medesime che aprono Barrel Of A Gun, primo singolo e prima traccia di Ultra. È l'unico trait d'union con Songs Of Faith And Devotion (1993), con distorsioni elettriche accompagnate ad effetti elettronici. Non a caso, è il pezzo più disperato, più marcio e frenetico, che sembra tratto dalla mente di un Trent Reznor, coadiuvato, tra l’altro, da una claustrofobica ed inquietante clip in bianco e nero, ove Dave Gahan è alle prese con la sua incoscienza da eroina, tra l’ossessivo “rigirarsi” nel letto, passando per le bolle di sapone, al muoversi confuso, praticamente “allucinato”, tra mille ed uno viottoli, che, loro malgrado, non conducono alla già scritta fine, alla canna della pistola.

Nera è la notte, così come funerea è la morte, bensì rosso è l’amore di The Love Thieves, delicato, leggero, seppur rapportato al dilaniante malumore e al clima di profonda sfiducia che gravita entro le materiali carcasse, così come attorno al testo – ove non mancano riferimenti “cristiani” – che fa pronto appello a uno o più riferimenti spirituali, possibilmente ultraterreni, che confortino l’animo umano, distratto, turbato, e perché no, drogato. Ed ecco qui una canzone, proveniente dal lato sbagliato della città, o una pagina del palcoscenico più vuoto. Un suono solitario che immobilizza come una gabbia, o come la più pesante croce mai costruita. Un’ancorata casa oppure la più mortale trappola mai tesa. Home, terzo singolo estratto da Ultra, è affascinante e struggente, una sorta di spirale di emozioni e sentimenti che si dipana verso il blu celeste, indefinibile altezza, che contraddistingue un contrasto tra ciò che è e ciò che sarà. Vita e morte. Città terrena e Città di Dio. Timida consapevolezza, l’appartenenza al genere umano, materialismo e non, tutto sembra essere circoscritto in quanto immane dolore terreno, smascherato dall’intervento “provvidenziale” di un romantico Dio, guidato dalla impareggiabile voce di Martin Gore: And I thank you [E ti ringrazio]. For bringing me here [Per avermi portato qui]. For showing me home [Per avermi mostrato la mia casa]. For singing these tears [Per aver cantato queste lacrime]. Finally I've found [Finalmente ho scoperto]. That I belong [Che ho una casa]. Feels like home [Mi sento come a casa]. I should have known [Avrei dovuto saperlo]. From my first breath [Fin dal mio primo respiro]. La clip di Home, diretta da Steve Green, è piangente ed adatto alle circostanze.

La ricerca continua di un quid, da casa a casa, abitate tutte da assenti, alienati, annoiati, anziani. La medesima interpretazione dello stesso Martin Gore è, a dir poco, straziante, rubando la scena agli altri membri del gruppo, intenti a riflettere sulle proprie condizioni, confusi sul perché del cielo stellato. Ove tutto, presumibilmente, è già scritto. Gli dei l’hanno decretato e nessuno ne è esente, né può nascondersi al già assegnato destino, perciò: I'll be fine [Starò bene]. I'll be waiting patiently [Attenderò pazientemente]. Till you see the signs [Finché non vedrai i segni]. And come running to my open arms [E arriverai correndo tra le mie braccia aperte]. When will you realise? [Quando lo capirai?]. Do we have to wait till our worlds collide? [Dobbiamo aspettare che i nostri mondi si scontrino?]. Open up your eyes [Apri gli occhi]. You can't turn back the tide [Non puoi capovolgere la marea]. La ritmata It's No Good, secondo singolo estratto da Ultra, è ironia e vanità, apparenza e narcisismo, vacuità delle cose ed amara retorica del loro andazzo. La clip, kitch come non mai, ricalca tutto ciò, con i tre che si mettono in gioco, fingendo di essere l’ammiccante gruppo, protagonista per una serata allo sgangherato Ultra Hotel, tra un bicchiere di troppo e ballerine d’altri tempi.

La traccia successiva è Uselink, brevissimo intermezzo strumentale, inebriante e flessibile, che introduce l’aggressivo spleen di Useless, quarto ed ultimo singolo estratto dal fortunato album, un aspro pezzo rock caratterizzato da esemplari chitarre distorte. Auto-analisi ed esame di coscienza, inutili convinzioni che maturano all’interno e altrettante speranze riposte all’esterno. In assenza di orologi che scandiscano il rallentare del tempo, in assenza di spazio, Useless, come una voce in una vuota, riecheggia sorda, strozzata, nella stanca e ferita mente: All my useless advice [Tutti i miei consigli inutili]. All my hanging around [Tutto il mio girarti attorno]. All your cutting down to size [Tutto il tuo minimizzare]. All my bringing you down [Tutto il mio demoralizzarti]. All your stupid ideals [Tutti i tuoi stupidi ideali]. You've got your head in the clouds [Hai la testa tra le nuvole]. You should see how it feels [Dovresti vedere come ci si sente]. With your feet on the ground [Con i piedi per terra]. È una sorta di "dead zone". Un’area brulla, seppur enfatica, al pari della clip, basata su un’unica inquadratura, mentre, soltanto nel finale, si scoprirà a chi si rivolge Dave Gahan: una donna, ancora una volta.

Plauso per Anton Corbjin, autore di tre dei quattro video di Ultra, sempre originali e quanto mai misteriosi. Spazio alla nostalgica e minimale Sister Of Night – fondata sulla contrapposizione della tenue voce di Dave Gahan agli sdolcinati momenti elettronici – canzone sul senso d’abbandono nel mondo, la innata solitudine di ognuno di noi, quel sentire comune di non farcela, di non bastare a sé stessi. Ciò di cui siamo alla ricerca è un abbraccio, quando il rassicurare della notte, vago, evanescente non è che un nuovo raffinato interludio: Jazz Thieves. Le atmosfere di Ultra sono paragonabili a quelle di una grande metropoli a notte fonda: desolate, a tratti inquietanti, sebbene colme di fascino. Il gruppo è perfettamente riuscito a “musicare” il proprio periodo buio. Le strumentali Uselink ed, appunto, The Jazz Thieves sono quelle che rendono al meglio questa atmosfera, ma Ultra non “finisce” qui. Freestate scorre quieta e piacevolmente fredda come l'acqua di un rigagnolo. In scia a Home ed Useless, prosegue il conciliabolo inconscio, e affrancazione, riscatto emotivo, scoraggiamento, risultano essere le parole chiave. La susseguente The Bottom Line vede, nuovamente, Martin Gore, alla voce, in stato di grazia nel farla sgorgare più rotonda, fremente e palpitante che mai, all’interno di un brano solido e corposo, che rimanda al consueto reiterarsi delle circostanze naturali e, tanto più, quotidiane. Tocca ad Insight gettare l'ennesimo sguardo entro l’anima più profonda ed intensa dell’essere umano, da cui emerge che è l’amore il motore dell’universo, senza se e senza ma. Sembrerebbe la naturale conclusione con una tale sincera traccia, e invece, c’è ancora tempo e soprattutto spazio per una breve traccia strumentale, fumosa e morbida, ennesima riprova della maturità e della saggezza dei Depeche Mode: Junior Painkiller - versione ridotta di un b-side del singolo di Barrel Of A Gun che aveva anticipato l’uscita dell’album – che ha il merito di mantenere costane l’oscuro alone che pervade l’intero album, ora rischiarato dalle prime luci dell’alba, le medesime rinvenibili all’uscita di un lungo tunnel che sembrava essere un vicolo cieco. Dunque, nessuna canzone spicca, in maniera chissà quanto evidente, sulle altre, in una sorta di uniformità di livello alto che rende Ultra incredibilmente continuo, senza fratture e, a conti fatti, un'esperienza organica, seppur sotterranea, seppur sussurrata. È stata la rinascita dei Depeche Mode. Immensi.

Commenti al Post:
megkurt
megkurt il 13/11/06 alle 12:51 via WEB
Ciaoo! :) Finalmente l'orso ha fatto il suo dovere e mi ha scaricato l'album dei Chemical Brothers "Dig your own hole".. stupendo! ;)
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 13/11/06 alle 22:39 via WEB
Ottimo! Finalmente puoi beneficiare anche tu del sound di un grandioso album... davvero... me ne compiaccio.
 
CacciatricediSangue
CacciatricediSangue il 13/11/06 alle 18:49 via WEB
lette le ultime due recensioni....e, anche se sai benissimo che non ascolto quella musica...non commento i tuoi scritti, perchè sarebbe inutile e superfluo aggiungere altro...hai gia detto tutto tu :P intanto attendo la nuova
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 13/11/06 alle 22:43 via WEB
Allora... resta pure in attesa un altro poco poco, a breve avrai dell'altro da leggere: che sia la volta buona che ti induca ad ascoltare qualcosa di "diverso" sotto ogni punto di vista umanamente concepibile?! Innanzitutto, i tuoi pareri non sono mai inutili, anzi, con arguzia e sagacia puoi sempre "dire la tua" e, allo stesso tempo, non è superfluo aggiungere un qualsiasi scarabocchio alla fine di una recensione. Dai...
 
PUNK_GD3COOL
PUNK_GD3COOL il 14/11/06 alle 16:08 via WEB
ciao!spero che l'esame sia andato bene...una recesione su un album punk??scherzo...ciao!
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 15/11/06 alle 01:04 via WEB
L'esame chissà quando lo sosterrò... è una disciplina ostica e, giustamente, me la sono "riservata" come gran finale per la triennale... odio esser un simil genio... quanto al punk, oddio, certamente lavori di una certa qualità sono annoverabili dai Sex Pistols in poi, tuttavia, non disdegno mai di rimettermi nelle mani di qualche volontà a me aliena, o tanto più, di incappare in chissà quale altro "incidente", camaleontico o meno, di percorso. Prova a scorrere le pagine del blog, che un tempo testimoniava l'attitudine "metallica", per comprendere quanto scrivo... mentre, oggi, a seguito di mille peripezie, non riesco a comprendere d'aver "mollato" tutto per ricominciare da dove mi ero perso, per più d'un motivo, anni fa. Lì dove tutto ha avuto inizio...
 
alfawillo
alfawillo il 21/11/06 alle 00:48 via WEB
...prodigy...che ne pensi? complimenti x il blog..
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 21/11/06 alle 19:01 via WEB
I Prodigy sono il mio gruppo preferito in assoluto. Piove sul bagnato. Evito di esser retorico, anzi, ti invito a scorrere le pagine del blog e andare a leggere la recensione-tributo riguardante The Fat Of The Land... e grazie ancora per i complimenti...
 
viola.rossa
viola.rossa il 21/11/06 alle 20:55 via WEB
puoi sempre riprendere a studiare storia dell'arte...nn è mai troppo tardi
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 21/11/06 alle 23:39 via WEB
Sicuro. Soltanto che, ora come ora, mi ritrovo a un passo dalla fine della triennale, la tesi da scrivere... la "povera" storia dell'arte la devo trascurare gioco-forza. E, nemmeno, credo che nel mio futuro, alla specialistica, ci sia qualcosa che riguardi ciò. Ho solo la possibilità di coltivare questa passione per conto mio, forse un mezzo peccato...
 
megkurt
megkurt il 23/11/06 alle 07:28 via WEB
..allora, chi sarà il prossimo?! Daiii!! Sono curiosa ed in attesa di spunti di cd da scaricare.. eheh ciauuuu
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 23/11/06 alle 19:41 via WEB
Credo che "li" conosci bene, ne hai sentito parlare parecchio negli anni, proprio perché sono un gruppo straordinario. Spero che ti piaccia la recensione che ho in programma, è uno dei dischi più oscuri e criticati della loro pluriennale carriera... insomma, se non è già in tuo possesso, avrai da scaricare...
 
seventiesIla
seventiesIla il 25/11/06 alle 14:09 via WEB
Gli Who!
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 25/11/06 alle 17:15 via WEB
Ehm... non credo che siano loro a riempire prossimamente il vuoto di codesta pagina...
 
   
seventiesIla
seventiesIla il 25/11/06 alle 17:16 via WEB
però c'hai azzeccato l'album..
 
     
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 25/11/06 alle 17:37 via WEB
Sicuro... il titolo è quello lì...
 
pierre339
pierre339 il 23/12/06 alle 11:41 via WEB
complimenti per il blog. e cmq i depeche, e soprattutto dave gaham, nonstante quello che hanno passato sono in splendida forma. degli splendidi quarantenni. ti piacciono i cure?
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 23/12/06 alle 20:42 via WEB
Grazie pierre339. I Depeche Mode sono semplicemente magistrali: invecchiano come il buon vino. Non mancano mai i grandi appuntamenti e non sentono per niente l'usura del tempo. Sono tra i pochi gruppi, nella storia della musica, a non aver commesso, in termini di dischi, passi falsi. A conti fatti, oggi Dave Gahan poteva non essere qui. Il che si sarebbe rivelata una durissima perdita, ma, invece, "Il Gatto" vive e allieta le oceaniche platee in giro per il mondo. Meglio così. I Cure mi piacciono fino ad un certo punto e, superato questo, sfumano non certo per incapacità strumentale o compositiva, bensì per "solidità" d'ascolto...
 
browneyes81
browneyes81 il 06/02/07 alle 21:28 via WEB
E' si ... sto album è bello tutto ed è tutto bello ma la perla è "HOME", un brivido continuo!
 
 
Nekrophiliac
Nekrophiliac il 06/02/07 alle 22:30 via WEB
Eh, ti credo... Home, nel mezzo, riparte con la voce di Martin Gore che s'eleva sempre più verso il cielo, per poi ritornar terrena, supportata dai violini dell'orchestra...
 
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