Scienza dell'anima

3. Il mistero grande dell'amore materno


           La questione "funzione materna" va impostata all'interno di una diversa prospettiva, per certi versi più complicata. Se l'atto che definisce la paternità è una decisione, una scelta; la natura dell'atto è essenzialmente spirituale, cioè sovraessenziale. Non esiste un atto materiale. Se paternità, atto, e simbolico sono intimamente collegati, si identificano e si esauriscono nel piano spirituale, la posizione che contraddistingue la madre invece (oltre ad essere una scelta con la quale anche lei deve assumersi se lo vuole la sua funzione) è radicalmente avviluppata ad un profondissimo e spesso insuperabile legame biologico, nel corpo. Infatti, per molti mesi il figlio, prima ancora di vedere la luce, è letteralmente parte del corpo della madre. Non c'è alcuna separazione, madre e figlio sono un unico corpo. E anche in seguito al parto l'infante è in grado di pacificarsi e di superare l'angoscia che il suo pianto segnala solo recuperando il contatto con il corpo della madre, il suo calore, il suo odore, e l'assunzione sostanziale del suo corpo attraverso il latte materno che lo nutre sostanzialmente ma anche in modo sovrasostanziale in quanto rappresentante vitale del suo amore. Fin da subito la dialettica della domanda eleva il bisogno ad una domanda d'amore in quanto è l'amore materno che rende possibile l'allattamento e che anima e vivifica il latte materno. Il latte è un dono materno prima ancora d'essere cibo. Non è certo in quanto cibo che l'infante si riempie di latte. Neppure il piacere può esaurire il senso della sua ricerca perché una madre che non si donasse con amore priverebbe immediatamente l'infante del proprio piacere fino a spingerlo a rinunciarvi. Qualora il rapporto tra la madre e il suo bambino si esaurisse nel rispondere alla sua fame, ammesso che il bambino continui comunque a nutrirsi, segnerebbe radicalmente e forse irrimediabilmente l'identità del bambino che si realizzerebbe come luogo di soddisfazione senza slancio di un mero bisogno anziché luogo degno e colmo della gioia dell'Amore. Nel primo caso la sua vita sarebbe depressa e senza slancio, nel secondo caso carica di una vitalità inesauribile. E' l'amore che muove e da' slancio al bambino, mentre il piacere ne è l'effetto e non la causa. Benché sia la fame a spingere il bambino nella ricerca del seno della madre, per lui la fame non può essere altro che mancanza dell'amore materno, non certo di cibo.La particolarità della posizione materna rende comprensibile la difficoltà, per la madre e per il figlio, di separarsi completamente nell'intero arco della vita. Per la madre, il figlio, in un qualche modo, sarà sempre un pezzo di lei, il suo cuore, che vaga per il mondo. Per la madre accettare il figlio come distinto, separato, e appartenente ad un luogo altro da lei è quasi impossibile. La radice del suo amore è infinitamente controbilanciato da un legame biologico, corporale indissolubile.In questo punto ritroviamo la funzione essenziale della paternità: la sua incidenza separativa. Il padre, quando non è fuorcluso, cioè non agente e presente nel luogo dell'Altro materno, efficace formuletta lacaniana, è colui che interviene all'interno della diade madre-bambino separandola. Infatti il desiderio della madre verso il padre, verso cioè un luogo altro rispetto al bambino, istituisce la madre come non completabile dal figlio liberandolo dal ruolo di fallo, cioè della sua eventuale nefasta presunta e agognata capacità di completare e soddisfare la madre. Senza separazione il figlio non avrebbe possibilità di accedere al desiderio che germoglia dalla rinuncia al godimento mortifero di essere un'unica cosa con la madre, e quindi, di non essere se non un'appendice di lei. La separazione, resa possibile dal padre incluso nel luogo dell'Altro, produce l'oggetto perduto, la Cosa e il desiderio, che spingerà il piccolo uomo a cercare nel mondo un suo degno sostituto, capace di elevarsi alla dignità della Cosa. Ecco l'importanza decisiva della funzione legale interdittrice del padre. E' il padre che attiva quel limite vivificante che sbarra la strada al godimento incestuoso e senza limiti, che segna l'impossibilità di essere onnipotente e di avere tutto, che limita la libertà individuale attraverso il riconoscimento del diritto della libertà altrui. Solo in questo modo è possibile garantire e tutelare una libertà individuale non divorata dalla prepotenza e dall'ingordigia altrui, libertà responsabile e rispettosa che fonda la civiltà del Mondo umano. Insomma l'esistenza dell'uomo è resa possibile dall'azione di un limite legale, linguistico originari, coevi all'uomo. La linea di demarcazione del passaggio dalla scimmia all'uomo è infatti fissato dall'apparizione di pratiche simboliche, riti funebri, rappresentazioni grafiche, manufatti che appaiono improvvisamente come effetti di un limite misterioso. Viene prima l'uomo o il linguaggio e la legge? Domanda sull'inizio a cui è impossibile rispondere in quanto l'uno presuppone il secondo. Non c'è uomo senza limite simbolico così come non c'è limite simbolico senza uomo. L'uomo è il prodotto di un'azione simbolica che lo lega costitutivamente ad un debito simbolico originario che tuttavia non è pensabile senza l'uomo in quanto legge e linguaggio non sono dati al di fuori del mondo umano. Viene prima l'uovo o la gallina? Pensare ad un Altro simbolico senza l'uomo, ad una legge e ad un linguaggio senza l'uomo significa immediatamente pensare a quel reale che gli uomini chiamano Dio e che imbarazza l'uomo di scienza anche quando va in chiesa regolarmente.