Sarà per il mio carattere non proprio allegro, ma adoro passeggiare per i cimiteri. Mi piace soffermarmi a guardare le foto, a volte ingiallite dal tempo altre volte più recenti, sulle tombe, che raffigurano i visi e le espressioni di chi ha calpestato questa terra, si è fermato, e poi se n’è andato. Quanti sogni infranti ci saranno dietro quegli occhi che ci osservano dalle finestrelle di vetro di un portaritratti? E quanti obiettivi raggiunti? Pochi giorni fa mi ritrovavo a visitare un camposanto e ho notato una vecchia lapide: a malapena si intravedeva l’incisione in latino “Tempora metimur sonitu umbra pulvere et unda nam sonus et lacrima pulvis et umbra sumus”, che sta a significare più o meno “Misuriamo le ore col suono e con l’ombra con la polvere e con l’onda perché noi stessi siamo polvere e ombra rumore e lacrime”. Nel leggere quella frase mi sono scoperto a riflettere che questa è una grande verità: parole, lacrime, polvere e poi soltanto ricordi. L’essenza di ogni uomo è tutta lì: congetture scritte sulla sabbia che prima o poi il vento spazzerà via, e poco importa se può sembrare banale, oppure che si debba leggere su un'icona di marmo quasi corrosa dal tempo e dalle intemperie il senso di un’esistenza intera; il fatto è che ci si rende conto che in fondo è giusto sperare e crederci finché siamo al di qua della fossa, tuttavia è altrettanto vero che al momento della nostra nascita il nostro benvenuto al mondo è un buffetto sul sedere per farci respirare: nessuno ci promette rose e fiori, anche se forse ce lo augurano. E così, proprio fra i fiori deposti su umidi sepolcri, in un pomeriggio di fine inverno, mi sono reso conto di un’altra certezza: la consapevolezza che in cuor mio amo ed apprezzo la vita e tutte le persone che sono state al mio fianco, ma ancor di più rispetto gli spazi vuoti che esse hanno lasciato.
Spazi...
Sarà per il mio carattere non proprio allegro, ma adoro passeggiare per i cimiteri. Mi piace soffermarmi a guardare le foto, a volte ingiallite dal tempo altre volte più recenti, sulle tombe, che raffigurano i visi e le espressioni di chi ha calpestato questa terra, si è fermato, e poi se n’è andato. Quanti sogni infranti ci saranno dietro quegli occhi che ci osservano dalle finestrelle di vetro di un portaritratti? E quanti obiettivi raggiunti? Pochi giorni fa mi ritrovavo a visitare un camposanto e ho notato una vecchia lapide: a malapena si intravedeva l’incisione in latino “Tempora metimur sonitu umbra pulvere et unda nam sonus et lacrima pulvis et umbra sumus”, che sta a significare più o meno “Misuriamo le ore col suono e con l’ombra con la polvere e con l’onda perché noi stessi siamo polvere e ombra rumore e lacrime”. Nel leggere quella frase mi sono scoperto a riflettere che questa è una grande verità: parole, lacrime, polvere e poi soltanto ricordi. L’essenza di ogni uomo è tutta lì: congetture scritte sulla sabbia che prima o poi il vento spazzerà via, e poco importa se può sembrare banale, oppure che si debba leggere su un'icona di marmo quasi corrosa dal tempo e dalle intemperie il senso di un’esistenza intera; il fatto è che ci si rende conto che in fondo è giusto sperare e crederci finché siamo al di qua della fossa, tuttavia è altrettanto vero che al momento della nostra nascita il nostro benvenuto al mondo è un buffetto sul sedere per farci respirare: nessuno ci promette rose e fiori, anche se forse ce lo augurano. E così, proprio fra i fiori deposti su umidi sepolcri, in un pomeriggio di fine inverno, mi sono reso conto di un’altra certezza: la consapevolezza che in cuor mio amo ed apprezzo la vita e tutte le persone che sono state al mio fianco, ma ancor di più rispetto gli spazi vuoti che esse hanno lasciato.