Davide Vaccino

Ogni giorno, morire...


“Mia tomba è questo corpo vestito di poveri panni”, scriveva nel 1976 quel grandissimo poeta che fu Dario Bellezza, morto poi vent’anni dopo, ucciso, prima che dall’Aids, dall’umiliazione dello scoprire la propria malattia attraverso i mass media. E come al solito, io, che poco altro so fare, mi soffermo su quei versi e rifletto sul tanto tempo sprecato nel credere che la gioventù sia null’altro che un salto nel buio, un lento marciare verso l’ignoto. Non è così. La gioventù è sì il nostro viaggiare, ma è un viaggiare veloce per poi rallentare, è un vestito che si consuma e che quando è troppo liso ci mostra agli altri per ciò che siamo: anime nude affacciate sul quotidiano e pronte a consegnarsi all’Eterno. E’ banale e scontato, evidentemente, dire che si muore ogni giorno, se per “ogni giorno” si intende il tempo che scorre, il decadimento fisico; più profondo è invece pensare al quotidiano come metafora di vita e di morte: svegliarsi… agire… stancarsi… dormire… sognare… e poi di nuovo ripetere tutto da capo in un susseguirsi di “piccole morti” che possono essere nulla e sembrare tutto oppure essere tutto e sembrare nulla; morti che sono come una goccia nel mare: un messaggio inviato verso qualcuno che non ci risponde; una parola non detta; una complicità mancata; un sorriso non ricambiato; una telefonata non ricevuta; un non saluto; il sentirsi fuori luogo… l’indifferenza. Sentirsi, per l’appunto, vestiti di “poveri panni” e camminare lungo i viali tormentati della vita essendo giudicati per un buco in un calzino e non per la stoffa con cui è stato tessuto il nostro “abito umano”; essere valutati per ciò che non abbiamo, o per ciò che non viene percepito, piuttosto che per i nostri talenti… leggere negli occhi altrui quell’irritante espressione di dubbio, quell’insopportabile “si, ma…” silenzioso che ci avvicina di un passo alla tomba.