beatitudineecastigo

Guardare e non toccare è una roba da imparare


Case di campagna dalle mie parti non ce ne sono quasi. Scarsa agricoltura fra le rocce: patate, un po’ di grano, qualche lenticchia e due fagioli. Popolo di pastori transumanti, terre di tratturi.I nonni di mia madre ne avevano però una, grande per una grande famiglia, che ora vedo, ogni volta che torno,  perfettamente ristrutturata e tirata a lucido, incrociandola sul mio percorso, là dietro la curva, a pochi km dal paese, mentre la mia macchina si inerpica fra boschi e prati punteggiati di cespugli di erica, rosa canina, uvaspina e mille altre erbe e frutti spontanei.Guardare e non toccare è una roba da imparare.E mi nonna ha dovuto ben impararlo perché, come un tempo si usava fare, ogni cosa è stata data ai fratelli maschi.Ed anch’io guardo, non senza rabbia, le persone che lì trascorrono giorni delle loro estati, guardo e non mi avvicino.Mai ho messo piede in quella casa perché tutto era già definito prima che io nascessi e la mia dolce nonna era la matrigna di mia madre, quindi nessuna parentela con chi in quel luogo festeggia, ma sapeste quante volte avrei voluto riprendere in mano documenti perché lei, che nulla ha avuto dalla vita, avesse, con quella casa, senza parlare delle altre, il riconoscimento ad esserci.L’ho pensata molto mia nonna, quando nelle passeggiate d’agosto sono scesa nel pianoro a ridosso del dirupo per visitare altre due masserie che dal belvedere si possono individuare laggiù. Strada sterrata, macchina in bilico, ruote slittanti, salite fra ciottoli, ma ci sono arrivata.
E mi sono calata nell’atmosfera di tempi andati, cercando di rivivere le sensazioni che forse lei provava quando, in un luogo simile, trascorreva le sue estati di bambina e giovane donna.