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Il premier: un invito a tradire"Fausto mi ha pugnalato alle spalle"


"È una pugnalata alle spalle". Ce l'ha con Fausto Bertinotti. Ma non ha gradito nemmeno il richiamo del capo dello Stato. Romano Prodi ha ascoltato con sospetto i richiami di Giorgio Napolitano e del presidente della Camera a favore delle riforme. Il fantasma del governo tecnico o istituzionale, infatti, aleggia sulla testa del Professore. E lui ieri non ha fatto niente per nascondere il suo malumore. Il triangolo istituzionale che fino ad ora ha accompagnato e guidato la legislatura, da ieri sembra essere incrinato. L'asse Quirinale-Palazzo Chigi-Montecitorio non è più forte come prima. Il duello tra "Fausto e Romano" è proseguito per tutta la giornata. A colpi di note e smentite. Un scontro tutto centrato sul "dopo-Prodi". Eh già, perché avallare adesso l'ipotesi di un nuovo governo per varare la riforma elettorale, secondo palazzo Chigi rappresenta un "invito" ai senatori più titubanti. Un via libera ad accettare le avances di Silvio Berlusconi sapendo che la caduta del Professore non comporterà automaticamente le elezioni anticipate. "Dopo di me ci sono solo le urne, ma so bene - ripete da tempo il capo del governo - che un secondo dopo l'apertura della crisi ci sarà la corsa a chiedere un esecutivo istituzionale". L'allarme a Palazzo Chigi, insomma, è scattato. Ci si è messo pure Antonio Di Pietro a minacciare l'appoggio esterno. E poi, a parte i soliti "fedelissimi" del Professore, in pochi nell'Unione - e nel Partito Democratico - hanno smentito la prospettiva di un "tecnico" a Palazzo Chigi. Il premier si aspettava una parola da Walter Veltroni. Ma anche il Sindaco di Roma non ha escluso con i suoi che anche quella può essere una "soluzione". E pur ribadendo che sosterrà Prodi fino alla fine, ha anche annunciato che sabato prossimo illustrerà la sua proposta sulla legge elettorale. Un progetto che non sarà molto lontano dal modello tedesco. E proprio la revisione del "porcellum" potrebbe essere il perno su cui costruire un eventuale esecutivo istituzionale. Per varare la Finanziaria, superare il prossimo anno e poi andare al voto nel 2009. Uno scenario che non preoccupa solo il Professore. Anche Silvio Berlusconi ha messo in movimento la sua "contrarea". Sa che la questione è sul tavolo. Che la caldeggia il Colle e che è stata trattata dai "big" del centrosinistra e da alcuni rappresentanti del centrodestra. Per questo ha spedito Gianni Letta da Pier Ferdinando Casini. "Ma che volete fare? - stata la domanda posta dal messo berlusconiano al leader dell'Udc - Noi vi assicuriamo che a novembre il governo cade. Ma poi bisogna andare a elezioni". Il dialogo tra i due ha mantenuto i toni soft. Un equilibrio di parole giocato sulle sfumature. "Noi - ha spiegato l'ex presidente della Camera - noi non ci aggiungeremo mai ad un governo del centrosinistra. Ma voteremo per chi ci assicura un sistema elettorale tedesco". "Se cade Prodi e nasce un esecutivo per la legge elettorale - dice ancora più apertamente Bruno Tabacci - noi ci stiamo". Nello stesso tempo il Cavaliere ha chiamato di nuovo Umberto Bossi. Per chiedere garanzie e bloccare chi perfino nella Lega non chiude la porta ad un'intesa. L'ex premier dunque è in fibrillazione. È sicuro di poter far crollare il governo al Senato nelle prossime settimane. Ma ieri ha iniziato a coltivare qualche dubbio sulle conseguenze. "Se l'esito deve essere un governo tecnico - ha ragionato con i suoi a Via del Plebiscito - allora meglio non provocare adesso la crisi. Meglio aspettare che sia passata la Finanziaria. Solo se riusciamo a far passare da noi un intero gruppo possiamo essere sicuri di andare alle urne. Altrimenti tanto vale tenere lì Prodi". Anche perché, se lo sfilacciamento dell'Unione non dovesse condurre alle elezioni nel 2008, sarà il Cavaliere a discutere la nuova legge elettorale. "Noi - spiega Enzo Bianco, l'uomo che per la maggioranza sta provando a trovare un punto di mediazione con la Cdl sulle riforme - sappiamo che da novembre Berlusconi vorrà parlare con noi". Una previsione confermata dallo stesso leader forzista. "Senza voto, preferisco parlare con Prodi. E sarò io a trattare. Non lascio a Casini la possibilità di farsi la legge elettorale a sua misura". La Repubblica