Creato da frattale58 il 06/04/2012

il vecchio prof

«Quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito seren? che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono?»

LETTERA A DANTE

 

AREA PERSONALE

 
Citazioni nei Blog Amici: 24
 

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Allora quando il lavoro è finito

(e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciar più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello);

quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più;

quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari s'è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d'odio e d'amore)

e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo,

comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro;

di trovare un "qualcuno"; quel "qualcuno" che ci illuda, fosse pure per un solo momento, del poter distruggere e annientare quella solitudine;

di poter ricomporre quell'unità

lacerata e perduta.


G.Testori

su L'Espresso 1975

 

LA GOCCIA

 

 

« basta davvero il potere ...La realtà e l'essenziale »

Storie sul potere del cuore

Post n°107 pubblicato il 18 Luglio 2014 da frattale58

«Quando è morto anche David, il suo migliore amico,
mio figlio Elad è stato colto dalla disperazione.
Nel messaggio che ci ha lasciato prima di suicidarsi, diceva di 

non voler più vivere in un Paese i cui figli sembrano destinati
a una morte senza scopo
». 

A raccontare è Roni Hirschenson, di Parent’s Circle.

Ha perso due figli, Amir morto in un attentato terroristico
e subito dopo Elad, che si è tolto la vita perché non riusciva
più a sopportare il dolore.

«Nulla al mondo riuscirà a restituirmi mio figlio»,

continua Roni: «Ma è importante che ci incontriamo.
Dobbiamo rimanere insieme, palestinesi e israeliani,
sulla strada che porta alla pace».

Mohammed Najiv, arabo della striscia di Gaza,
ha perso suo figlio Ashraf nel 1996, in uno scontro con soldati israeliani.
Anche lui è tra i fondatori di questa associazione di “genitori in lutto”. 


Sono tantissime le storie che si potrebbero raccontare
di 
questo strano gruppo di persone che s’impegnano
per vivere la pace fra israeliani e palestinesi.
 

«Noi, che abbiamo perso i nostri figli nella guerra fra i due popoli,
sosteniamo la pace.

Noi, madri e padri, vogliamo arrivare a un accordo fra i due popoli,
perché non accada più a nessuno quanto è successo ai nostri figli».

Erano in dieci nei primi anni Novanta, quando è nata l’associazione.
Oggi sono più di seicento.

Tutti genitori che hanno perso i figli durante il conflitto israelo-palestinese,
e che nonostante tutto hanno scelto di dedicarsi al dialogo.

«Abbiamo cominciato ad incontrarci vincendo le reciproche diffidenze
e i pregiudizi, e abbiamo scoperto con sorpresa
che avevamo molte cose in comune:
un lutto e un grande dolore, innanzitutto.
 
Io ho perso un figlio, una mia amica la figlia, chi il padre,
chi la madre o la sorella… 

Stiamo soffrendo per lo stesso dolore, pur non parlando la stessa lingua». 

Il dolore non ha razza né lingua, è identico per ciascuno.

«Così come sono uguali», racconta Osama,
«il nostro sangue e il nostro futuro:
vogliamo vivere in pace, senza più guerre.
Desideriamo vivere in pace insieme.
Palestinesi e israeliani».
 

Non con teorie, ma attraverso azioni concrete.

Per esempio, hanno attivato una linea telefonica gratuita,
Hello Peace!”, un progetto finanziato dall’Unione Europea che permette
a israeliani e palestinesi di parlare di riconciliazione e pace
con persone “dell'altra parte”.
 
Da quando è iniziato questo progetto, circa un anno e mezzo fa,
le chiamate sono state 400mila.
«Wow, ma è gente come me»:
è la prima cosa che generalmente dicono dopo aver messo giù
la cornetta del telefono.


Da diversi anni poi, sono attive le donazioni di sangue incrociate.
Sangue palestinese per soccorrere i feriti israeliani,
sangue israeliano per soccorrere i palestinesi. 

Chi fa parte di Parent’s Circle gira con l’ambulanza per tutto il Paese,
anche se le restrizioni sugli spostamenti rendono più difficile il servizio. 

Eppure il messaggio resta: anziché spargere il sangue è tempo di donarlo. 

Laila ha perso due dei tre figli durante la seconda Intifada.
Uccisi mentre andavano a scuola.
Incontrandola, ci ha raccontato di come ha imparato a perdonare.
All’ultima figlia che le chiedeva perché non odiasse chi le aveva ucciso i fratelli,
ha risposto: 
«Se mi mettessi a odiare anche gli assassini dei miei figli,
penso che non riuscirei più a vivere.
Amare è l’unico modo che ho di stare al mondo». 
L’unico modo per tutti i genitori di Parent’s Circle.

(Tratto da un articolo su Tracce di Andrea Avveduto)

 
Rispondi al commento:
diogene51
diogene51 il 15/09/14 alle 14:57 via WEB
Scopro questo blog per caso e ti faccio i miei complimenti. Interessantissimo poi il post. Sia lode a chi ha organizzato l'associazione e a chi ci sta dentro.
 
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...per certa gente

è serio il problema dei soldi,

è serio il problema dei figli,

è serio il problema

dell'uomo e della donna,

è serio il problema della salute,

è serio il problema politico:

tutto è serio

eccetto la vita.

--------------------------------------

 

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Chiedete a un padre

se il miglior momento

non è quando i suoi figli

cominciano ad amarlo

come uomini,

lui stesso, come uomo,

liberamente,

gratuitamente....

quando i suoi figli

cominciano a diventare uomini

.... E lui stesso, lo trattano

come un uomo libero..

Peguy

 

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