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una soluzione nonviolenta in Tibet

Post n°67 pubblicato il 25 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Per ipotizzare una possibile trasformazione nonviolenta del conflitto tra Cina e Tibet, possiamo partire dai "cinque punti" che Galtung ha individuato come essenziali nell'esperienza delle lotte gandhiane.

  • Non temere mai il dialogo. E' quanto va dicendo e cercando da tempo il Dalai Lama, con grande pazienza e tenacia, anche se la controparte sinora si e' negata. La disponibilita' al dialogo non e' mai qualcosa di semplice e scontato e quando non c'e' va sostenuta da parti esterne. La richiesta di dialogo e' sostenuta da tempo dai piu' autorevoli studiosi e un invito al dialogo e' rivolto esplicitamente nella "Lettera al governo cinese in 12 punti sulla situazione in Tibet", sottoscritta in questi giorni da diversi intellettuali cinesi, tra cui il noto dissidente Wang Lixiong.
    Questo e' pertanto uno degli obiettivi fondamentali che il movimento internazionale della pace e tutte le forze politiche e religiose interessate alla questione, debbono proporsi: continuare a premere sul governo cinese affinche' accetti di avviare un dialogo con la controparte tibetana.
  • Non temere mai il conflitto: e' un'opportunita' piuttosto che un
    pericolo. Il conflitto in Tibet esiste e non puo' essere nascosto sotto la cenere, dove anzi rischia di covare sino a nuove esplosioni di violenza.
  • Impara la storia, o sarai destinato a ripeterla. Come tutte le vicende storiche, anche quella del Tibet e' controversa e alcuni punti sono tuttora oscuri. I punti piu' controversi riguardano la natura dello stato teocratico tibetano, prima dell'invasione cinese, che aveva creato una condizione di gravissimo sfruttamento della popolazione contadina piu' povera, e il ruolo che ampi settori della popolazione ebbero durante l'invasione e nel successivo periodo della rivoluzione culturale, schierandosi a favore dei cinesi.
  • Immagina il futuro, o non ci arriverai mai. Nonostante alcuni indubbi miglioramenti nel livello di vita dei tibetani, la politica cinese non e' riuscita a conquistarne il consenso. A piu' riprese, ciclicamente, sono esplose forti contestazioni. Il tentativo di sradicare il sentimento religioso profondamente presente nella popolazione, insieme alla demonizzazione del Dalai Lama hanno sortito effetti contrari. A tutt'oggi, la proposta piu' significativa per il futuro delle relazioni tra Cina e Tibet e' quella, gia' citata, avanzata da Transcend (Johan Galtung, "Il conflitto tra Cina e Tibet: una prospettiva di
    soluzione", "Azione Nonviolenta", novembre 2004) che prevede una federazione che comprenda anche le altre regioni oggetto di conflitto (Taiwan, Xinjang, Mongolia interna, Hong Kong), ognuna delle quali godrebbe di una ampia

    autonomia. Per facilitare la possibilita' di giungere a questa soluzione, e' necessario agire con determinazione e cautela, evitando di creare ostilita' preconcette e arroccamenti da parte cinese.
  • Mentre combatti contro l'occupazione, pulisci anche casa tua! Cosi' come Gandhi lotto' contro il sistema castale indiano e contro la discriminazione delle donne, anche i tibetani debbono riconoscere che "il lamaismo fu brutale e che la Cina ha anche aspetti positivi" (Galtung). Per quanto riguarda la politica internazionale, non ci si puo' certo aspettare che siano gli Usa a richiedere il rispetto dei diritti umani e il dialogo in Cina, visto quanto stanno facendo in varie parti del mondo e soprattutto in Iraq. E' semplicemente scandaloso che si punti il dito contro la Cina, quando
    gli Usa hanno invaso l'Iraq con motivazioni pretestuose e false e hanno provocato la morte di un milione di iracheni. La "pulizia in Occidente" e' condizione necessaria per poter esigere che anche la Cina faccia altrettanto.
    La lotta nonviolenta richiede pazienza, determinazione e molta coerenza per trasformare il conflitto, ovvero trasformare attori, strutture, culture. Non ci sono facili scorciatoie e cosi' come la lotta in India e' durata oltre mezzo secolo e in Sudafrica oltre un secolo, non ci si puo' aspettare che nel caso del Tibet si riesca a proceder molto piu' speditamente. La trasformazione investe non solo il Tibet, ma un paese di oltre un miliardo di persone, appena uscito da una storia difficile e complessa. Sta anche a noi favorire questa transizione esplicitando sempre piu' cosa intendiamo per cultura della nonviolenza e inventando man mano "strutture internazionali nonviolente". Un cammino ancora lungo e impervio, ma possibile e indispensabile. (Nanni Salio)

 
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