come un DERVISCIO

Alter ego


 Ipotesi di colloquio A modo mio parlavo con lui, lo interrogavo. Sapevo che lui sapeva e volevo imparare, conoscere, istruirmi, sapere appunto. Sapere della vita, e di come funziona. E lui della vita, o parte di essa, mi raccontò. Descrisse i suoi perché. Mi disse: " Perché è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi, quando il tempo è passato". Aveva ragione. Ma, il resto del tempo, chiesi. "Il resto del tempo, è tempo che passa ad aspettare o a ricordare." Come dargli torto. Io stesso usai una sua frase per definirmi "uno che amava assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla" perché rimanevo fermo, immobile, senza direzione. Lui, parlando in terza persona, ma riferendosi a me, aggiunse causticamente: "Sono gli altri le strade, lui è una piazza, non porta in nessun posto, lui è un posto". Tentai di replicare giustificando e motivando scelte ed azioni. Nella sua saggezza sottolineò: "Quando si parte, un pretesto per ritornare, bisogna sempre seminarselo dietro". Annuii affermando che così la partenza diventa meno dolorosa. "Certo" aggiunse "perché il partire è uno strano dolore, il dolore della nostalgica morte per qualcosa o qualcuno che non vivrai più. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse sè stesso in un tempo nuovo". Chiesi se questo mutarsi poteva chiamarsi speranza? "Si, perché non si è mai troppo lontani per non ritrovarsi". Mi ritornò alla mente un'altra sua frase "sapeva ascoltare, e sapeva leggere. Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente, mentre scrivere è una forma sofisticata di silenzio", a volte assordante aggiunsi io. E concordammo su questa sconcertante scoperta del silenzio, e "di quanto sia silenzioso il destino, quando d'un tratto esplode". Parlò ancora della vita e mi ammonì dicendo: "Quando la gente ti dirà che hai sbagliato, e avrai errori dappertutto dietro la schiena, fregatene. Ricordatene. Devi fregartene. Tutte le bocce di cristallo che hai rotto erano solo vita. Non sono quelli gli errori, quella è vita, e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca. Io questo l'ho capito, il mondo è pieno di gente che gira in tasca con le sue piccole biglie di vetro, le sue piccole tristi biglie infrangibili. E allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo, sono belle, a me è piaciuto guardarle, per tutto il tempo che ti sono stato vicino, ci si vede dentro tanta di quella roba. E' una cosa che ti mette l'allegria addosso. Non smetterla mai, e se un giorno scoppieranno, anche quella sarà vita, a modo suo... meravigliosa vita". Volevo ringraziarlo, ma lui mi fermò ed aggiunse uno spunto di riflessione: "Forse le cose stanno esattamente così: quelli che vale la pena di amare veramente sono quelli che ti rendono estraneo a te stesso. Quelli che riescono a estirparti dal tuo habitat e dal tuo viaggio e ti trapiantano in un altro ecosistema, riuscendo a tenerti in vita in quella giungla che non conosci e dove certamente moriresti se non fosse che loro sono lì e ti insegnano i passi, i gesti e le parole: e tu, contro ogni previsione, sei in grado di ripeterli". Terminò con un prezioso consiglio. Mi disse: "Se ami qualcuno che ti ama, non smascherare mai i suoi sogni. Il più grande, e illogico, sei tu". Ripasserò la lezione fino ad impararla..