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Le commissioni sono pubbliche?


Ebbene sì!E' arrivata la risposta positiva dell'ANCI, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, confermando quanto sosteniamo da alcune settimane. Ieri sera, in commissione Statuto e Regolamento, il presidente Francesco Pasquali, che aveva inviato il quesito all'Associazione, ha illustrato la risposta che riporto nel seguito.La risposta al quesito proposto non può che prendere le mosse dall’esame della norma di legge citata: il comma 7 dell’art. 38 del D. Lgs 267/2000 (Testo Unico delle leggi sull'Ordinamento degli Enti Locali); si tratta di una delle (poche) norme di principio che prescrivono positivi obblighi, in materia di funzionamento ed organizzazione dell’attività dei consigli comunali e provinciali. Il principio affermato dalla norma è quello della PUBBLICITÀ delle sedute del consiglio e delle commissioni; esse devono essere pubbliche (il pubblico deve essere ammesso ad ASSISTERVI) salvo espressi e specifici casi particolari, indicati in formale norma regolamentare. Pubblicità, si ribadisce, significa “diritto ad assistere” (da spettatore), diritto che non comprende la possibilità di presenziare tra i componenti, di partecipare alla discussione né, tanto meno, di prendere parte alle decisioni; fin qui, la norma accomuna le sorti del consiglio e quelle delle commissioni consiliari, talché, per entrambi gli organi collegiali, una volta sancito il principio generale della pubblicità, si rende possibile derogare alla norma (e, con ciò, consentire la tenuta di sedute segrete, senza presenza di pubblico) in casi particolari, purché precedentemente previsti e specificati dal regolamento. Le altre norme interne citate, non intaccano la validità del principio generale della pubblicità delle sedute dei consigli e delle commissioni, confermando la possibilità di deroga a condizione di specifica ed espressa norma regolamentare. Per meglio esaminare, più in dettaglio ed in forma specifica, la posizione delle commissioni, è opportuno riferirsi al precedente comma 6 dello stesso art. 38, il quale, dopo aver assegnato a norma di livello statutario la facoltà di prevedere l’istituzione delle commissioni, limita la partecipazione organica ai soli consiglieri comunali (costituite nel proprio seno), impone il rispetto del criterio della proporzionalità nella composizione ed, infine, affida al regolamento il compito di determinarne i poteri e disciplinarne l’organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori. Come si può ben desumere, sono chiaramente delineati i confini entro i quali si debbono esplicare gli effetti applicativi dei livelli d’intervento destinati ai vari ranghi di norme coinvolti nella disciplina dell’istituto di cui si tratta. 1.- Lo statuto, nel rispetto delle precise indicazioni della norma statale, può intervenire a prevedere l’istituzione delle commissioni in seno al consiglio comunale e, dettare il quadro dei principi (art. 38, c.2) nel rispetto dei quali potrà muoversi la disciplina del regolamento nel determinare i poteri, l’organizzazione e le forme di funzionamento delle commissioni (c. 6); in questo quadro ci sembra possa delinearsi la gerarchia delle fonti normative richiamabili nel caso in discussione. 2.- La chiarezza dei comportamenti non può, peraltro, prescindere dalla chiarezza dei significati dei termini; il comma 7 dell’art. 38 non parla di “partecipazione” alle riunioni degli organi collegiali, ma di pubblicità delle sedute (e, sul significato, riteniamo di aver già detto), mentre la norma di statuto (art. 21) e di regolamento delle commissioni (art. 7) trattano di PARTECIPAZIONE e non di PUBBLICITÀ DELLE SEDUTE; si riferiscono, cioè ad argomenti non riservati alla legge statale, ma lasciati nella disponibilità dell’autonomia normativa interna dell’ente e, quindi, legittimamente disciplinabili a quei livelli. In effetti, agli organi collegiali è consentito, attraverso opportune regolamentazioni ed attribuzioni di poteri ai rappresentanti riconosciuti, disporre, o consentire, la “partecipazione” di esterni (amministratori, esperti, dipendenti etc.) ove si ritengano utili, opportuni o necessari alla migliore e più efficace trattazione degli argomenti di competenza. Le previsioni di che trattasi non possono essere, in alcun modo, considerate in concorrenza con le previsioni della norma del T.U. in esame; la sua cogente superiorità gerarchica di norma statale, potrebbe dirsi violata, nel caso in cui si contraddicesse il criterio della PUBBLICITÀ della seduta che, invece, può essere derogata soltanto previa tassativa, espressa ed esplicita previsione regolamentare. Le stesse finalità operative delle due situazioni in esame, si presentano completamente differenti: -. La normativa interna tende a disciplinare modalità operative diverse nella trattazione degli argomenti da esaminare; mentre, la disciplina interna consentita in deroga al principio della pubblicità, deve prevedere espressamente e tassativamente i casi in cui si potrà procedere a tenere sedute segrete. -. Occorre, infine, far notare che le modalità di cui alle norme (statutaria e regolamentare) interne possono essere applicate sia alle sedute pubbliche come a quelle segrete. In conclusione alle specifiche domande si può rispondere: 1. Ai cittadini compete il diritto generale di ASSISTERE (quali uditori) alle sedute del consiglio comunale e delle commissioni consiliari permanenti di cui all’art. 38, c.6 e 7; a tale diritto si può derogare soltanto in casi specifici e determinati in forma espressa con norma regolamentare. 2. Per quanto concerne l’art. 47 del regolamento del consiglio comunale (peraltro indicato soltanto vagamente), se dispone un elenco tassativo dei casi in cui le sedute consiliari debbono essere tenute in forma segreta, varrà soltanto per quel collegio; la difficoltà ad accogliere la tesi dell’applicazione alle commissioni in via analogica, dovrebbe essere esclusa dall’esistenza di uno specifico regolamento per il funzionamento delle commissioni, che sembrerebbe non contenere tali deroghe. Se il regolamento apposito non lo prevede e, neppure il regolamento del consiglio estende alle commissioni l’applicazione delle proprie norme, la prevalenza non può che essere lasciata alla norma di superiore gerarchia e rango.