Corri Forrest Corri!

Sabato notte


Uff. Alla fine questo diavolo di discorso per domani ho finito di scriverlo. E’ stato più faticoso del previsto, non tanto perché non avessi bene in mente le cose da dire, ma perché stasera la mia concentrazione rasenta lo zero. Domattina devo introdurre la mostra di un amico pittore. Mi fa ridere, negli inviti sono stato presentato come critico d’arte, cosa che non sono, almeno di professione. Ho solo piacere di farlo. Dicono ci sarà tanta gente e per me un lauto pranzo a base di pesce.Mi metto a scrivere nel pieno della notte queste righe per sfogarmi un po’. Non sto per niente bene. Sto covando la febbre, credo, e una profonda sensazione di malinconia che so fin troppo bene da dove viene. La notte che mi circonda pare più profonda del solito, ma ho deciso di affrontarla mettendomi qui, all’una suonata, davanti alla luce azzurrina dello schermo del mio portatile per comunicare, per buttar fuori un po’ di cose.Non so perché, ma ho paura.Mi rendo conto che non c’è nulla di razionale in questo. Non ha senso che abbia paura per domani, tutto è stato scritto e sicuramente me la caverò bene come sempre. A volte penso di essere uno che tende molto a sottovalutarsi, visto che in questo tipo di occasioni tutti mi fanno un sacco di complimenti, che io regolarmente penso di non meritare. E’ che non ho paura per domani, ho paura DEL domani. E’ una sensazione gelida, silenziosa, strisciante. E’ l’immagine di un guerriero con gli occhi aperti nella notte precedente una battaglia forse troppo ardua per le sue possibilità. E’ tranquillo, pulisce la sua lama con movimenti lenti. Ha la morte nelle vene.. eppur si vuole bene, si coccola, perché in quel momento sa di essere tutto ciò che gli rimane.La paura è una brutta bestia. Bisogna saperla controllare. E quando ti prende devi tenerti stretto.Ciò che penso in questo momento è che il tipo di vita che sto conducendo non è quella che voglio. Tutto qui.Sarà perché la grappa di tuo zio, che sto sorseggiando proprio ora, è inimitabile.Sarà perché stamattina ho rivisto le tue colline, i tuoi campi, con quei colori e quei sapori inconfondibili nell’aria, dove gironzolavamo curiosi scoprendo sempre qualcosa di nuovo, e dove presto avremmo rincorso i nostri pimpi, vispi come la mamma, intenti a scappare per le piccole sterrate interpoderali.Sarà perché stamattina, dopo tanto tempo, sono stato nella tua città di mare per vedere una mostra con alcuni amici. Ed ho visto da lontano la sfera di Pomodoro brillare davanti ai cavalloni del mare mosso, e ci siamo fatti un aperitivo alla Casetta Vaccai, dove come musica di sottofondo c'era Renato Zero che cantava "i migliori anni della nostra vita".Sarà che ne ho percorso le strade in lungo e in largo e me la ricordavo così, assolata e ventosa. Fredda. Come quella mattina di un anno fa – che a pensarci mi sembra ieri – in cui io mi presentai per quel concorso, che per noi valeva tantissimo, con una giacca troppo leggera ma c’avevo solo quella. Anche oggi avevo un giubbetto troppo leggero, ma tu guarda, e forse per quello stanotte mi sta salendo la febbre.Sarà perché, rinchiuso in biblioteca a ripassare mentre aspettavo il mio turno, accanto a me c’era una ragazza straordinaria intenta a lavorare per i suoi scavi. Per quella ragazza era semplicemente un modo per starmi accanto in quel momento che lei sapevi benissimo era per me pesantissimo, perché la posta in gioco era alta. E quella ragazza eri tu. Una leonessa accanto al suo leone.Sarà perché oggi ho aspettato davanti a Palazzo Toschi, e guardavo a destra lungo quel vicolo per vedere se, come allora, comparivi veloce per venirmi incontro, sorridente e curiosa. E con occhi umidi mi chiedesti com’era andata, mentre il vento muoveva i tuoi capelli ribelli e rivoltava la mia giacchetta color kaki. Ed era andata bene Cristo. Gli avevo fatto un culo così, ma sapevamo che questo non sarebbe bastato.Sarà perché alla fine non sarebbe bastato per davvero. Perché è così che va. Ma ricordo distintamente che mi abbracciasti forte mentre guidavo per rientrare a casa tua. “Non importa Die.. non importa. Io sono orgogliosa di te”. E lo dicevi con le tue borsette sotto gli occhi che si gonfiavano per trattenere ciò che non saresti più riuscita a trattenere qualche minuto dopo al distributore di metano, quando incontrammo la tua nonnina. E io che ti risposi che si, non importava. “Perché guarda.. cosa posso chiedere di più. Accanto a un grande uomo c’è sempre una donna straordinaria. Mi sei stata accanto come una leonessa.. cosa posso chiedere di più”. E sentivo di amarti da morire.Sarà perché in quel momento davvero pensai che «eravamo una macchina sola (…) nessuno ci stava dietro. Senza peso, senza ingombro. Solo pensiero veloce», che quella ragazza entrata nella mia vita silente e leggera, come il primo fiore di primavera esce dalla terra fredda, sarebbe diventata la donna della mia vita.Sarà perché neanche tre mesi dopo ne saresti uscita, deflagrante e inesorabile, come un aereo entra nel World Trade Center.Dopodiché niente sarà più come prima. Die