Corri Forrest Corri!

Pagine d'album: il Paese delle aquile #1


(I monti naviganti)Il traghetto puntava senza esitazioni verso est, come un treno che segue un binario immaginario steso lungo quello stretto braccio d'acqua che separa due città di mare così vicine ma così distanti: Brindisi e Valona.In un misto di odore di salsedine, olio bruciato e sudore umano me ne stavo accucciato su una panca di legno del ponte di poppa, cercando di dormire almeno qualche ora prima che facesse alba. Mi ero scelto quella sistemazione dopo aver realizzato che dormire in una qualche sala interna mi sarebbe stato impossibile per via della massa di gente che già si era assicurata i posti migliori mentre io, che non mi voglio perdere mai niente, mi ero attardato ad osservare le luci di Brindisi che lentamente scomparivano all'orizzonte, buttate sempre più in là da una notte pesta e dal bianco tracciante di schiuma lasciata dietro dallo scafo della nave. Ma a dire il vero fu l'odore insopportabile di uomo e la visione non certo edificante di tutti quei corpi senza scarpe adagiati ovunque e in qualsiasi posizione a indurmi a starmene fuori sotto le stelle, giusto accanto ad un bocchettone di aria calda grazie al quale potevo sfidare con un po' di conforto la micidiale umidità notturna dell'Adriatico.Accucciato avevo la sensazione di essere come un salmone, come uno che sta facendo qualcosa di controcorrente e che forse non c'è tutto con la testa. Ero su una grande nave chiamata Skenderberg - che a dire in vero mi suonava un nome molto germanico, ancora non sapevo (gnurànt!) che fosse l'eroe del paese delle aquile, e che si pronunciasse skenderbeu) - circondato da diverse centinaia di albanesi.Albanesi. Che strano, erano passate solo poche ore e già avevo colto quello che si è rivelata essere la caratteristica più evidente degli albanesi: contraddizione. E pregiudizi. Mi venivano in mente le considerazioni di Livio, gran persona, intelligente e onesta, che però sua figlia non l'avrebbe mai data in moglie a un albanese. Ti rimpiango Livio! No, qualcosa non tornava. Sorridevo e scuotevo il capo ripensando a quando nel tardo pomeriggio ero in fila alla capitaneria di porto per imbarcarmi. Io e centinaia di albanesi in terra italiana, ma tutti parlavano in albanese e, naturalmente, si rivolgevano anche a me in albanese. Dopo aver capito che ero italiano tutti facevano una faccia a metà tra l'incredulo e il divertito, e soprattutto mi riempivano di domande perchè non potevano credere che ci fosse uno che dall'Italia stesse partendo in direzione Valona senza radici di là del mare da ritrovare, e con una macchina incolonnata là fuori sotto il sole senza che fosse stracarica di bagagli, figli e moglie. Sorridevo, quanto mi sono sentito idiota quando, in attesa del controllo documenti, mi tenevo stretta la sacca mentre tutti gli altri lasciavano con noncuranza le loro cose appoggiate in giro per l'imbarco. Io non mi fidavo di loro mentre loro si fidavano tutti a vicenda. No, qualcosa non tornava. Li osservavo. Ho visto giovani con le mani forti da operaio attendere impazienti di poter ritornare a casa. Ho visto padri di famiglia con la camicia bianca e le scarpe della festa ansiosi di apparire agiati - ma non lo erano - agli occhi dei loro cari che li aspettavano al porto di Valona. Ho visto ragazzine dai tratti balcanici ma vestite da protagoniste di una trasmissione della De Filippi o di un libro di Federico Moccia. Ho visto una coppia di anziani vestiti di nero, seduti pazientemente su una panchina. Lui con le mani appoggiate al bastone e con una sorta di berretto turco (scuro anche quello) sul capo, lei col foulard nero e le mani tenute intrecciate sul grembo. Entrambi avevano i volti solcati da rughe così profonde e fitte da sembrare la corteccia di un abete. Erano forse albanesi del nord, quelli che a Tirana sono visti con un po' di disprezzo, perchè ignoranti e mungitori di capre. Ma mi hanno colpito tanto la loro dignità e quel senso di rassegnazione agli eventi che sono propri della gente contadina.Ancora cercavo di prendere sonno, inutilmente, ora lo posso dire, su quel sedile di poppa, e ripensavo con disgusto a quando, giunto il mio turno, passai la mia carta d'identità ad un poliziotto sudato seduto al di là di un vetro antisfondamento. Arrivare allo sportello mi era costato più di due ore di attesa, perchè le procedure di controllo dei passaporti albanesi e dei visti appariva molto ma molto macchinosa. Buttato un occhio alla mia carta d'identità chiusa appoggiata nella buchetta dello sportello, il ligio tutore dell'ordine mi fissò quasi per rendersi conto se veramente in mezzo a tutta quella gente ci fosse una faccia "italiana" poi, con un esplicito cenno di complicità - in quel momento ho creduto che quel cenno fosse quasi ostentato in modo da farsi notare da quelli che aspettavano dietro di me - la spinse senza aprirla verso di me dicendo "TU puoi passare".Prima dell'alba ero già sul ponte di prua con gli occhi gonfi e la bocca impastata. Intorno a me qualche passeggero indolente e stanco. Davanti a me il profilo degli aspri monti dei Balcani, che non appariva azzurrino bensì di un blu pesto, come a preludere una terra diversa, aspra e carica di tensioni irrisolte. Li guardavo affascinato, colmo di curiosità e di ansia di scoperta ma anche con un velo di malinconia ricordando che proprio da quel profilo montuoso due anni prima vidi spuntare il sole, quando con la mia compagna di sempre andammo ad attendere l'alba sopra il faro di Capo d'Otranto. Man mano che si avvicinavano si rivelavano imponenti, quasi incombenti sul mare. Due, tre serie di catene montuose parcheggiate in doppia fila lungo la linea della costa. Erano i monti naviganti di Paolo Rumiz, uno che i Balcani li conosce bene. Più avanti, nell'imboccare l'immenso golfo di Valona, scoprii che alcuni di essi erano naviganti veramente. Era l'isola di Sazan, un vero e proprio guardiano posto a difesa della seconda città dell'Albania. Doppiata Sazan il porto era ormai a portata di occhio. Ero giunto nel Paese delle aquile e stavo per iniziare un settimana indimenticabile.Quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio che non ti aspetti, ma che sai che prima o poi rifarai. Una storia di persone per bene, di complessi di inferiorità, di povertà, di arroganza, di storia millenaria, di rifiuti, di spiagge incontaminate, di olive e formaggio di capra, di buche sulla strada, di matrimoni fastosi, di musiche balcaniche, di corrente che va e che viene, di cani e di asini. E' una storia di volti che non scorderai mai, di parole in italiano incerto, di piccoli gesti.E' una storia d'amore sfiorato, perchè no, e come le più belle storie d'amore vi troverete una principessa di un piccolo e umile Paese balcanico, ma bella e gentile, elegante e passionale, discreta e spudorata, dai modi raffinati e dalle labbra capaci di alternare un accento irresistibile a un sorriso luminoso che accende ogni cosa.E' una storia, semplicemente, che mi va di raccontare ora, con poche pagine d'album stenografate in punta di pennello.[continua...]Nell'aria si diffonde: Francesco de Gregori, L'abbigliamento di un fuochista