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« Quanto "costa" ?DIFFAMAZIONE MEZZO STAMPA »

Il pappagallo di Churchill

Post n°6 pubblicato il 09 Marzo 2008 da diffamazionemezzosta

Il caso riferito dalle cronache di un pappagallo femmina ultracentenario, di nome Charlie che sarebbe appartenuto a Winston Churchill pone il problema della responsabilità civile del proprietario di un animale parlante per le offese che possa arrecare a terzi. Il volatile del defunto statista britannico che guidò prima la resistenza e poi la sconfitta del Terzo Reich, in realtà non commette reati ma solo una eventuale offesa ai timpani delle persone vicine visto che non cessa di urlare «Fottete i nazisti, fottete Hitler».

Lo storico premier britannico avrebbe acquistato Charlie, un pregiato ara macao giallo-azzurro, nel 1937 e l'avrebbe addestrato a dire parolacce in presenza degli estranei. Il proprietario di un negozio di animali che lo aveva rilevato dagli eredi di Churchill, a metà degli anni '60, fu costretto a sottrarlo alla vista della clientela per l'imbarazzo che suscitavano le sue imprecazioni e le bestemmie «da bassofondo» che urlava in pubblico.

La regola generale è questa: nel caso che un pappagallo o altro animale parlante, istruito o meno dal suo padrone, insulti una determinata persona questa può rivalersi sul proprietario citandolo in giudizio per danni, o denunciandolo per diffamazione

Il cane di Clinton

L'uomo di potere deve attentamente soppesare se gli convenga agire per vie legali di fronte ad eventuali offese (quando si ha l'acqua alla gola, recita un proverbio, non agitarsi per non fare onde) al comune cittadino può capitare di trovarsi nel dilemma opposto: sfidare un potente che l'ha involontariamente offeso, oppure no? Quando Bill Clinton era ancora presidente fra i tanti guai giudiziari che gli piovvero addosso - denunce per molestie sessuali, Sexgate con protagonista la stagista Monica Lewinsky, scandalo dell'immobiliare Whitewater quale ex governatore dell'Arkansas - ce ne fu uno del tutto inedito per un inquilino della Casa Bianca. Un cittadino di nome Abdel Hamid Buddy, avvocato quarantenne di origine egiziana, nel 1999, citò Clinton in giudizio per diffamazione. Motivo: il presidente aveva chiamato "Buddy" il cane che aveva comprato e che si era portato alla Casa Bianca per fare compagnia al gatto di casa, "Socks".

«Io e la mia famiglia siamo diventati lo zimbello del vicinato a causa dell'omonimia con il cane dei Clinton. Il presidente degli Stati Uniti d'America avrebbe dovuto accertarsi per tempo se il nome che intendeva dare al cane apparteneva già a dei cittadini degli Stati Uniti», osservò Buddy nella memoria presentata in tribunale. I giudici però gli diedero torto. A Clinton, conclusero, non può essere data la colpa di aver scelto per il cane un nome abbastanza diffuso in America (Buddy vuol dire amico) tantopiù che fra il querelante e il querelato non esisteva alcun legame .

Capita ancor oggi, e non solo nelle cittadine di provincia, che fidanzati "piantati in asso", per vendicarsi, tappezzino le vie del paese con fotomontaggi fotografici e scritte che danno inequivocabilmente della "poco di buono" alla loro ex. E per questo sfogo di gelosia, finiscono denunciati per diffamazione a mezzo stampa.

Una versione più sofisticata di "messa alla gogna" sta prendendo piede: quella di usare come luogo di pubblicazione la rete internet, con una diffusione planetaria della vendetta. A volte il diffamatore, se è esperto di computer, può farla franca. Altre volte viene individuato e sono dolori. È ciò che è capitato ad un giovanotto pugliese, querelato dalla sua "ex" per diffamazione "elettronica". La denuncia risale al 4 febbraio 1998; è invece del maggio 2003 la condanna, con il riconoscimento di una provvisionale di 5 mila euro, per danni, alla parte lesa.

Ecco il fatto: il giovane crea in un sito Internet una pagina Web porno - una "linea bollente" di erotismo a viva voce - con nome, cognome e telefono cellulare della ex fidanzata. In pochi giorni, sul numero della ragazza piovono decine di telefonate, giorno e notte. L'ondata di molestie insospettisce la giovane, che presto scopre di essere finita "on line" a propria insaputa. Con l'aiuto di amici esperti di informatica visiona alcuni siti dove ritrova i messaggi che rimandano al suo nome e numero telefonico.

Dalle indagini emerge la responsabilità dell'ex fidanzato: il giovane, sentenzia il tribunale di Molfetta il maggio 2003, è colpevole e nel condannarlo sottolinea che Internet e i siti web sono strumenti di comunicazione di notevole vastità e grado di diffusione, visto che hanno il mondo intero come platea. E questo dà particolare rilevanza al reato commesso. Casi del genere sono sempre più frequenti.

A Rovigo le cronache locali riferiscono di un commerciante cinquantenne che dopo aver scoperto che sua moglie ha una relazione con un imbianchino suo coetaneo ha creato una pagina web con la foto del fedifrago e una didascalia che invita "soli uomini" a rapporti sessuali con tanto di e-mail e di numeri telefonici.

Subissato da fastidiose profferte omosessuali, l'artigiano si rivolge alla polizia postale che scopre sia l'autore, sia il boccaccesco movente. Ne consegue una denuncia per diffamazione, ingiurie, molestie e intrusione abusiva nel sistema informatico.

Altro caso: a Milazzo, un'avvenente studentessa 24enne, R.T. bersaglio di uno stupido scherzo o di una vendetta, riceve oltre 60 telefonate di persone che le chiedono prestazioni sessuali "bisex": fra costoro anche una casalinga di 60 anni, un dirigente d'azienda di 55 anni, un impiegato comunale di 48 anni e un bel po' di studenti fra i 20 ed i 30 anni. Foto e numeri di casa e del cellulare della ragazza sono inseriti in una chat line erotica con l'indicazione: «Bisex in cerca di emozioni forti».

I carabinieri individuano 24 persone che nell'arco di otto mesi hanno tempestato di chiamate il numero della giovane, tutte denunciate alla Procura di Barcellona (sostituto procuratore Rosanna Casabona) per molestie telefoniche nell'aprile 2004. Una denuncia per vari reati fra cui diffamazione aggravata, viene sporta contro ignoti.

 

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