Divagazioni

La riforma di cui si parla poco.


1. La discussione sul risanamento dell’economia del nostro paese rimanda al tema delle ‘riforme’. Fra esse la riforma della Pubblica Amministrazione (PA), senza la quale nessun’altra funzionerebbe. Gli attori in campo la riducono alla rimozione della burocrazia, dietro la quale si nasconderebbero i dirigenti con i loro stipendi fuori misura e gli impigati fannulloni. E’ un approccio superficiale. Perché trascura le cause rprofonde dei mali delle amministrazioni pubbliche. Consapevole che una riforma della PA è necessaria, questa nota - proprio partendo dal concetto di burocrazia fra genesi e modo di essere - prova a suggerire un approccio diverso. 2. I prodromi della burocrazia risalgono all’Impero Romano. Nel 1° secolo d.c. l’Imperatore Claudio, per meglio governare gli spazi dell’Impero creò i Liberti, i quali, secondo Tacito, già da allora “esercitavano poteri regali con animo da schiavi”. Le leggi e le regole che via via si formavano per controllarne l’attività sono confluite, poi, nel Corpus Iuris, trasformandosi da un lato in astrusità, cavillosità e pedanteria e da un altro in potente arma di difesa dei gestori: si agiva solo secondo legge, naturalmente nell’interpretazione dei gestori. Nel tempo il fenomeno si è evoluto, ma la sostanza è rimasta identica. Nel XX secolo, con l’opera di Max Weber ha preso il nome di burocrazia, con valenza neutra. Successivamente, affermandosi come esercizio di potere rigido, lento, inefficace ed inefficiente, ha assunto l’attuale valenza negativa, con le conseguenze che da ogni parte si denunciano.Per Max Weber il potere burocratico, con le sue conoscenze, le sue regole e la sua cultura, era garanzia di buona amministrazione. Anzi, se fosse stato piegato a volontà politiche, avrebbe finito per svilire la sua funzione. Lo stesso spoil-sistem, per il quale oggi la politica si sceglie la propria burocrazia, avrebbe fatto inorridire lo scienziato. Quando si è occupata della nostra PA, la Costituzione Italiana ha fatta propria la teoria weberiana e l’ha fissata in forma di principi generali: la PA si svolge secondo legalità, imparzialità e buon andamento.Questo è lo stato dell’arte della PA. Si dice che non funziona, e nessuno potrebbe negarlo. Vediamo in che senso non funziona, poi, magari, vedremo anche come si potrebbe intervenire per farla funzionare.3. La PA funziona bene se la sua azione è conforme alla Costituzione, cioè, se rispetta le leggi, è imparziale e segue un buon andamento. Sulla legalità dell’azione amministrativa tanti hanno qualche idea. Se non che la questione è più vasta di qualche idea. L’azione amministrativa è legale innanzi tutto se osserva le leggi penali: ed è fatto che i più accettano. I problemi nascono quando siamo costretti a sapere che la stessa azione amministrativa deve essere anche legittima, cioè,  deve svolgersi secondo leggi amministrative. Perché non tutti siamo pronti ad accettare che le leggi amministrative di riferimento siano fattre di cinque ordini normativi distinti: leggi ordinarie, leggi delegate, decreti legge, decreti ministeriali e, last bat not least, circolari ministeriali. E non tutti immaginiamo che fra le leggi ordinarie primeggi la complicata legge di Contabilità dello Strato. Infine, non tutti siamo pronti ad accettare che la non corretta applicazione di una soltanto delle norme disseminate nei diversi ordini, spesso, può rendere l’atto amministrativo illegittimo. Senza tacere, poi, delle difficoltà legate, per esempio, alle incongruenze, sempre in agguato, fra norme di rango diverso.Ma non è tutto. Che significa che l’azione amministrativa deve svolgersi con imparzialità e secondo buon andamento?L’azione amministrativa è imparziale quando garantisce a tutti identico trattamento. Se, per esempio, l’azione consiste nell’applicazione di una legge nazionale, i funzionari chiamati ad agire sul territorio, ovunque agiscano, devono assicurare le stesse modalità di applicazione; perché ciò si verifichi, è necessaria una circolare ministeriale che interpreti la legge e fornisca istruzioni per l’applicazione. Più complessa è la questione del buon andamento. Secondo una consolidata dottrina il buon andamento dell’azione amministrativa si ha quando l’azione è efficace ed efficiente: è efficace se raggiunge lo scopo che si prefigge; è efficiente se rispetta il principio del massimo edonistico, cioè se costa il meno possibile. E’ questione annosa in economia se efficienza ed efficacia possano convivere nelle aziende pubbliche, come si verifica nelle aziende private. Il controllo di gestione, che misura ad un tempo efficacia ed efficienza della gestione, mentre funziona nelle aziende private, per quanto riguarda le aziende pubbliche si rivela quasi impraticabile. Per la semplice ragione che in esse non esistono ricavi da mettere a confronto con i costi. Nelle aziende pubbliche, insomma, è quasi impossibile dar conto dell’efficienza. Un esempio è utile a chiarire il concetto. L’ufficio certificati X dovrebbe rilasciare 1000 certificati al giorno; l’unico addetto riesce a rilasciarne 500: è un ufficio inefficace. Per renderlo efficace bisognerebbe dotarlo di un secondo addetto e un secondo computer; raddoppiando, però, i costi, a tutto danno dell'efficienza.4. Da quanto precede si desume che la burocrazia intesa nella sua accezione negativa esiste, ma per gran parte è conseguenza della sua struttura organizzativa e delle leggi che la governano. Di che tipo di riforma c’è bisogno?Primo. Come si è detto, la burocrazia è vecchia di secoli. Ed è impensabile che possa essere estirpata. Perché, almeno fino a quando non degenera negli eccessi che oggi si denunciano, è garanzia di terzietà e, quindi, d’imparzialità dell’azione amministrativa. Se è così, va solo governata. Per renderla tendenzialmente stabile, e adeguata alle finalità che la PA persegue. Inoltre, nella misura in cui sconfina negli eccessi, va contenuta, per ricondurla alla sua primigenia funzione di garanzia.Secondo. La PA è organizzata gerarchicamente per uffici, e si svolge mediante procedimenti. Un’organizzazione gerarchica, si sa, è di per sé causa di depotenziamento dell’azione e, quindi di burocrazia. A questo vanno aggiunte le negatività dei procedimenti, fra le quali la ripetitività degli atti, indipendentemente dagli scopi. Se questi sono i limiti, la struttura organizzativa della PA va ripensata su basi nuove. Per farlo c’è bisogno di una nuova disciplina del modello gerarchico, di talché il potere decisionale sia meglio distribuito lungo le linee di comando. Inoltre occorre disegnare un’azione amministrativa che si dispieghi non più per funzioni permanenti ed immutabili, ma per obiettivi e carichi di lavoro. Infine occorre regolamentare l’attività, per far operare gli uffici non più per procedimenti amministrativi, ma per processi di lavoro, su programmi e progetti e verifica dei risultati e, perché no, con budget tarati sui risultati.5. Con gli interventi sommariamente accennati, molti discorsi in tema di Riforma della PA, dalla burocrazia, alla dirigenza, ai trattamenti e anche al suo funzionamento generale sarebbero superati. Perché, finalmente, sarebbe possibile parlare di organigrammi (insieme di mission e risorse materiali ed umane), nel senso voluto dalla Scienza dell’Organizzazione.