Diritti e Dignità

GIUSTIZIA - Carceri, situazione desolante. Il Parlamento se ne occupi con urgenza


 estratto da Terra-Quotidiano ecologista     di mercoledì 6 luglio 2011Carceri, situazione desolante. Il Parlamento se ne occupi con urgenzadi Paola Balducci avvocato, già vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera Si parla da tempo di riforme più o meno epocali in materia di giustizia mentre altre questioni, senz’altro di preminente importanza, sembrano destinate all’oblio. Ci si preoccupa molto di più, infatti, di un malinteso senso della sicurezza, confusa come banale rassicurazione, che non di temi ben più importanti, quali quelli della detenzione sia preventiva che definitiva, considerati in questa legislatura molto scomodi. Si è arrivati a rinnegare da parte di quasi tutti la paternità dell’indulto come se quella legge non fosse stata votata da ben 2/3 del Parlamento. Se una critica deve essere fatta è piuttosto che il provvedimento di indulto non è stato accompagnato da un’amnistia, come normalmente avviene con i provvedimenti di clemenza. Di fatto oggi il panorama in Italia è desolante. In ogni caso si assiste alla prescrizione di reati anche gravi perché la giustizia non riesce a soddisfare la domanda sempre più intensa della collettività. I tempi sono lunghi e, come a tutti è noto, non ci sono risorse né economiche né umane idonee ad arginare il fenomeno. La battaglia di Pannella condivisa da tutti noi non deve essere un fenomeno isolato. Un dovere che avrà il nuovo Parlamento sarà quello di intervenire con riforme serie di sistema, che non siano, come siamo abituati, provvedimenti emergenziali dettati dall’emotività del momento. L’analisi complessiva del “pianeta carcere” è fortemente desolante: secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il numero dei detenuti nelle carceri italiane è il più elevato dal dopoguerra ad oggi. E non solo: la metà dei detenuti nelle carceri è in attesa di giudizio! Altrettanto conosciuta è poi la composizione della popolazione carceraria, caratterizzata in gran parte da situazioni di disagio e di emarginazione: circa il 27% appartiene all’area della tossicodipendenza , il 30% a quella dell’immigrazione oltre ad una percentuale del 10% rappresentata da altre situazioni di disagio (problemi psichici, alcolismo). A ben vedere, quindi, oltre due terzi della popolazione carceraria si collocano in una fascia di disagio socio-economico e psichico; si tratta in prevalenza di detenzione a “sfondo sociale” alla quale da tempo si risponde senza un progetto complessivo capace di ridurre sensibilmente coloro che ne fanno parte, specie per la mancanza di strumenti adeguati a prevenire e a riassorbire i fenomeni di devianza. Il sovraffollamento delle carceri è tale da determinare condizioni di vita intollerabili che si pongono in palese violazione dell’integrità psico-fisica della persona detenuta. Secondo il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria le strutture detentive italiane si sono ridotte a “meri depositi di vite umane”. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’agosto del 2009, ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia tra il novembre del 2002 e l’aprile del 2003. Secondo quanto accertato dalla Corte il detenuto ha condiviso una cella di 16 metri quadrati con altre 5 persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre 18 ore al giorno. La Corte europea ha affermato infatti che il sovraffollamento delle carceri rappresenta un “trattamento inumano e degradante”, incompatibile con lo stato di diritto. Il numero dei suicidi sulla popolazione detenuta continua a mantenersi su livelli elevatissimi: muore un detenuto ogni 2 giorni ed ogni anno il numero dei suicidi è più elevato rispetto all’anno precedente! E’ necessario quindi fermarsi a riflettere ed individuare con rapidità le modalità esecutive più idonee per far sì che il numero dei suicidi, ma anche degli episodi di autolesionismo decresca significativamente. Senz’altro il problema di fondo è che non si è ancora provveduto ad una riforma organica del sistema penale nel suo complesso: moltissime fattispecie si presentano infatti come inutilmente vessatorie e contribuiscono ad aumentare pericolosamente la popolazione carceraria con incrementi che si collocano tra le 500 e le 1.000 unità al mese. Bisognerebbe quindi riflettere seriamente sulla selezione dei fatti da sanzionare attraverso lo strumento della pena detentiva, aprendo finalmente la strada ad un serio processo di depenalizzazione che si impone come necessità  improcrastinabile per lo sviluppo del sistema giudiziario del nostro Paese. In un simile contesto, risulta poi piuttosto grave che la quasi totalità degli istituti di pena italiani non abbia attivato strumenti di accoglienza e “supporto psicologico” per coloro che entrano in carcere ed in particolare per i giovani detenuti per reati non gravi che sono proprio quelli più a rischio di atti di autolesionismo e suicidio. Del resto, a cosa serve il carcere se chi vi entra, nel momento stesso in cui sta espiando la pena, è già convinto che fuori di lì tornerà a delinquere perché non ha alternativa, né culturale né materiale? Una conferma in questo senso è rappresentata dall’ultimo provvedimento di indulto, i cui effetti sembrano ormai già lontani nel tempo: dei detenuti beneficiari del provvedimento di clemenza almeno un terzo sono tornati a delinquere! Intanto aspettando il piano carceri – il Ministro Alfano ha promesso la creazione di 17.891 nuovi posti entro il dicembre 2012 attraverso 48 nuovi padiglioni in carceri già esistenti (per un totale di 9.904 posti), la ristrutturazione di due istituti penitenziari e la realizzazione di 24 nuove carceri. Il tutto per un costo di un miliardo e mezzo - l’amministrazione penitenziaria continua a navigare nei debiti, con ripercussioni sulla vivibilità degli istituti di pena, sulla sicurezza e sulle possibilità di riabilitazione. Un emergenza continua che ci allontana sempre di più dai valori espressi nella nostra Carta costituzionale che all’art. 27 precisa che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”: quanto di più lontano dalla nostra attuale realtà! Quali le possibili soluzioni: limitare senz’altro l’impiego della custodia cautelare, da considerarsi come extrema ratio da qualora sussistano effettivamente i requisiti previsti dalla legge (quasi la metà dei detenuti è infatti in attesa di giudizio); potenziare il ricorso alle misure alternative alla detenzione – come stanno facendo anche gli Stati Uniti - sia nella fase terminale del trattamento, al fine di favorire il reinserimento del reo nella società, sia ab origine per i reati meno gravi, per evitare l’effetto de-socializzante del carcere: in molti casi, infatti, l’esperienza del carcere è più criminogena che rieducativa. Dobbiamo quindi pretendere che nell’agenda del prossimo ministro della Giustizia la situazioni delle carceri venga messa al primo posto: è una questione di civiltà!