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verità e menzogna. agnese. scerndere dalle stelle?

Post n°535 pubblicato il 04 Gennaio 2012 da giuliosforza

Post 512

 

Scegliere tra verità e menzogna. Ma cosa è verità? Cosa menzogna? Menzogna è tutto ciò che non è Dio, natura nec creata creans. Negare l’essere per il divenire, cioè  per il farsi. E’ menzogna ciò che, attraverso me e con me, non si fa Dio. Falso sono quando non son fatto atto creatore. False sono le cose quando non emanano dal mio atto creatore, quando non sono scintille della mia fiamma (se fiamma del mio incendio non le assale, parafrasando, e stravolgendo, le parole di Beatrice). Tutto è vero della mia verità, tutto è falso della mia falsità.

*

Et ecce venio ad te quem amavi, quem quaesivi, quem semper optavi.

Quod concupivi iam video, quod speravi iam teneo; ipsi sum iuncta in coelis quem, in terris posita, tota devotione dilexi.

Ritrovo questi appunti fra le mie antiche carte. Sono tratti dalla liturgia di Agnese, cui bastarono tredici  anni per scegliere la sua verità. Si osserva la Martire prima desiderare il compimento delle sue brame amorose, poi affermare d’averle, in Cielo, raggiunte. In realtà Agnese professa in terra la sua fede, in terra la sua speranza, in terra proclama la pienezza del compimento che fa già della Terra Cielo, dell’Aldiqua l’Aldilà, dello Hier, del da il jaspersiano e marceliano Jenseits. Speranza e Fede (paolino-dantesca “sostanza di cose sperate/ ed argomento delle non parvent”i) si fondono. Desiderio e soddisfazione del desiderio sono lo stesso atto. Lo stato d’animo che si proietta al di là si vive al di qua. Trascendenza come metafora di  immanenza.

*

Cara L. che mi inviti a scendere dalle  stelle ed a sporcarmi un poco le mani con le cose di questo mondo, non ti accontenterò.

Se mi avessi sistematicamente seguito su queste pagine, sapresti che più volte l’ho fatto. Ho più volte detto ciò che penso di ciò che mi chiedi, dell’attuale situazione  internazionale, europea, italiana in particolare; anche troppo, per i miei gusti, ho detto; sicuramente quanto basta  per non tradire l’impostazione di un blog nato con precisi intendimenti di riflessione critica, di visione da lontano e dall’alto di ciò che una visione da  vicino rende, se non del tutto falso, ingannevole e deforme, sicuramente limitato. Sono dunque più d’una volta intervenuto, esprimendo liberamente il mio pensiero, e non sempre la mia posizione di anarchico mentale è piaciuta, sicchè più di un lettore ho perso per strada alla cui attenzione particolarmente tenevo. La cosa era prevista e quindi non eccessivamente deludente. Non si può imporre a tutti di avere come unica guida il proprio cervello, come unico …capo la propria testa, non si  può chiedere a tutti di non dover rispondere che a sé stessi, di disporre della propria vita autonomamente. Mi dispiace aver perso dei lettori, ma non più di tanto. Chi mi ama mi segua, come usa dirsi, gli altri se ne facciano una ragione, come me la son fatta io. Perdono e commisero chi, incapace di pensare se non in termini di do ut des, mi ha offeso insinuando che io abbia ricevuto dal machiavellico principe di Arcore, per averne distaccatamente detto fuori da ogni coro, vergine di encomio servile e di oltraggio codardo, chissà quali regalie. L’unica che ho ricevuta è quella di essermi vista rifiutata la stampa dei miei testi poetici e non da sua figlia Marina (di cui, ad perpetuam rei memoriam, conservo le lettere) amministratrice di quel mastodonte che ha nome  Mondadori (fagocitatore di un numero sconfinato di editrici minori e non, in primis di quell’Einaudi alimentatrice per anni del sacro fuoco cui si scaldava la nostrana intelligencija, la crema dei nostrani in-intellettuali   progressisti e salottieri dalla erre moscia); mastodonte che non si è vergognata e non si vergogna di pubblicare (e i grandi autori delle sue collane dovrebbero ammutinarsi sdegnati nel vedere il proprio nome accanto al loro) la paccottiglia raccogliticcia di avventurieri scopiazzatori di tesi di laurea e di materiale di varia, sempre sospetta, origine, da presentare ai concorsi a cattedre pilotati.

Dunque me ne resterò, cara L., fra le mie stelle, a colloquiare di stelle con le anime grandi in cui  mi è stato da esse consentito di reimbattermi nella mia sera, a ragionar di infiniti e d’eterni, e d’avatars di dèmoni e di dei. Non scenderò più dalle mie altezze, non abbandonerò i miei illimiti spazi per le valli anguste di una terrestrità de-divinizzata.

Non ho più tempo, cara L., che per i convivi della Conoscenza ove ci si nutre d’iddii. Non ho più brama, L., che di teofagie. Vuoi prender parte al truculento Rito?

 

Chàirete Dàimones!

 

 

 

 
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