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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Giuseppe Giusti. Honegger e Valéry (musica e Architettura). Gregorovius e il Risorgimento

Post n°768 pubblicato il 22 Maggio 2014 da giuliosforza

 

Post 726

 

I Morti servono ai vivi, i vivi non servono ai morti. Avete mai visto un morto commemorare un vivo?

“Lasciate il prossimo / marcire in pace /o parolai / o epigrafai / o vendilacrime/  o spegni moccoli / sciupasolai!”.

Il trapassato a quaranta anni (1809-1849) monsummanese Giuseppe Giusti è stato troppo dimenticato. Forse anche da voi, come da me.  E’ tempo che si faccia ammenda  riprendendolo in mano nella sua integralità (edizione Utet) iniziando magari proprio dal Mementomo. Che lettura esilarante, che verve in quella satira!

 

*

Ut pictura poesia. Ut pictura et Poesis Musica. Ut pictura et Poesis et Musica Chorea.

A ciascuno di questi argomenti dedicai nel corso degli anni convegni internazionali, affrontando il tema dal punto di vista dell’educazione (nella mia particolare accezione di dis-educazione) estetica. Sarebbe interessante concludere il ciclo con Ut pictura et poesis et musica et chorea sculpura et architectura. Me ne è venuta l’idea imbattendomi. su La nuova enciclopedia della musica Garzanti, nella voce Anfione dedicata al melodramma di Arthur Honegger dall’omonimo titolo su testo di Paul Valery. Conoscevo ambedue gli autori, soprattutto Valéry, dei cui quattro Cahiers (da noi usciti presso Adelphi) mi ero nutrito in gioventù (fu là che lessi con rabbia, fra altre provocazioni e demitizzazioni, Wagner esser un autore fra i più sonniferi, e mentire chi neghi d’essersi addormentato dopo  più di un quarto di ascolto, particolarmente del Ring). Ma non avevo avuto modo di ascoltare l’opera del compositore francese, né di leggere la fonte valéryana del testo. Valèry, partendo dal mito greco di Anfione, (il costruttore della mura di Tebe, impresa per la quale l’eroe si serve di uno strumento particolare, della musica appunto: al suono della lira donatagli da Apollo, le pietre si animano e corrono a collocarsi l’una sull’altra in ordine perfetto: origine dell’architettura aus dem Geist der Musik, è proprio il caso di dire!) aveva della musica una concezione architettonica per cui “vedeva musica e architettura come arti sorelle, e il suo vecchio sogno era quello di creare un sistema rigoroso su cui costruire un’ opera priva del caotico mescolarsi di parti, mimiche, cantate, orchestrali, danzate. E che presentasse le qualità distintive delle due arti che egli apprezzava sopra ogni altra”. Honegger nel suo melodramma rispose alle sue attese e raggiunse “ un eccezionale equilibrio dei disparati elementi stilistici coesistenti nelle sue opere”.

Inutile dire che a me un tale concezione della musica e del melodramma in particolare, tutto il contrario del Gesamtkunstwerk, wagneriana opera d’arte totale, non va proprio a genio. Ma sarebbe interessante discuterne.

*                                                                                              

Se fossi uno storico dedicherei una ricerca agli anni del Risorgimento italiano visti dallo sguardo ora disincantato, ora entusiasta, ora critico  dei viaggiatori del Grand Tour o degli stranieri, artisti o politici o storici, residenti in Italia. Son certo che ne risulterebbe una Storia, magari una contro-storia, assai interessante. Al di là delle retoriche patriottarde e di quelle oscurantistiche  borboniche o papiste, lo straniero dal suo punto di osservazione. in genere disinteressato e distaccato, corre il felice rischio, innegabilmente un vantaggio, come direbbe Hugo, di poter veder bene perché vede da vicino, ma anche di veder giusto  perché vede dall’alto: due posizioni che di norma è difficile, se non impossibile, veder coesistere. Quel periodo che sempre più si tende a considerare, visti gli esiti,  una prevaricante guerra di conquista piemontese; quei protagonisti, da Vittorio Emanuele, a Gioberti, a D’Azeglio, a Ricasoli, a Garibaldi, a Mazzini ed a Cavour (ostracizzato l’uno pur essendo il più illuminato apostolo dell’unità, esaltato l’altro per la sua lungimiranza e virtù diplomatica, ma anche vituperato per il suo cinismo machiavellico) vengono dai testimoni stranieri meglio compresi che da quelli italiani. Si veda, ad esempio, quel vero e proprio Diario del Risorgimento italiano che sono i Diari romani (dei quali su queste pagine sto abusando, ma che sono troppo ricchi ed interessanti perché spesso ancora non vi torni) di Ferdinand Gregorovius, che ricoprono di quegli eventi i decisivi anni roventi(1852-1872). Delle circa settecento pagine delle edizione italiana buona parte, se si escludono quelle dedicate al resoconto dei progressi della sua attività storico-letteraria (il vero motivo del suo lungo soggiorno italiano), agli aneddoti di vita mondana, alle scampagnate nei dintorni di Roma ed ai viaggi di studio in varie città soprattutto del Nord, sono ad essi dedicate con una perspicacia ed un gusto dei particolari, quelli attorno ai quali la grande storia si organizza, difficili da  rinvenire anche nei migliori testi nostrani di Storia del Risorgimento. Sono tali e tanti gli esempi che potrei addurre che debbo rinunciarvi. Basti il seguente brano in cui si riferisce del diversissimo atteggiamento dell’alto e del basso clero nei confronti dell’ unità d’Italia e della fine dello Stato pontificio.

 

Roma, 5 gennaio 1861

Ho ricevuto oggi lo scritto, rigorosamente proibito, “Quattro parole d’un sacerdote ai popoli dell’Umbria e delle Marche. Lo scopo di questo fascicolo è di disporre i contadini all’annessione. Vi si dimostra che i liberali costituiscono il fiore del paese, che la rivoluzione mira unicamente al bene del popolo, che i principi legittimi non erano tali e che neanche il Papa lo era (…). I papi hanno acquistato il loro dominium temporale  con furbizia e violenza; lo Stato pontificio è nelle mani di monsignori e di cardinali che non appartengono alle provincie, che non amano il popolo e che non capiscono niente degli affari .Il malgoverno viene descritto in modo chiaro. La vera legittimità risiederebbe nel popolo e nella sua scelta. Gli italiani fanno la guerra non al Papa ma al principe non nazionale e dispotico che è in lui, il Re di Roma. Il patrimonio di San Pietro sarebbe un’assurdità, perché Pietro non ha posseduto niente nel mondo. Il Papa si chiama Vicario di Cristo, ma Cristo, benché di stirpe reale e malgrado che il suo popolo volesse farlo re, respinse la corona, non la volle, neppure per suffragio universale, e disse chiaramente che il suo regno era il regno dei cieli, e non del mondo. Gli italiani non fanno la guerra alla Chiesa, perché il dominium temporale non è la Chiesa, ma questa è la congregazione di tutti i fedeli (…). Lo scioglimento dei monasteri e dei beni ecclesiastici viene approvato, dato che questi non sono più conformi allo spirito dei tempi.

In tutto lo scritto non vi è niente di eretico contro il Dogma”.

 

Traduzione italiana a parte, il documento la dice lunga sul sentimento del basso clero. Un sentimento che, mutatis mutandis, può dirsi sia lo stesso che ha sempre animato ed anima gli umili “operatori sul campo” nella vigna del Signore.

 

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Chàirete Dàimones!

 

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

Chàirete Dàimones!

 

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 
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