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Costretto all'immobilità. Madonna illuminata (e illuminista?). L'educazione alla lettura secondo La Capria

Post n°864 pubblicato il 04 Agosto 2015 da giuliosforza

Post 805

 

Il mio riposo al Frainile è ormai compromesso. Sono immobile nella mia cella afflitto da una brutta artrite al ginocchio destro,  o che per essa. Mi dispiace soprattutto  per le mie ospiti francesi Pascale e Martine che dovrò rispedire a Roma senza aver potuto con esse completare i nostri pellegrinari prenestini, tiburtini, aquilani e reatini. Dommage, vraiment dommage. Ma io stesso temo di dover ritornare nella capitale per sottopormi alle cure di un osteopata.

Non intendo tuttavia “salvar … le membra dal tarlo del pensiero”. Se mai mi rilasserò trasferendo su queste pagine, in varie puntate, anche per la gioia dei miei amici, un intero capitolo del testo di Raffaele La Capria Lo stile dell’anatra, già più volte citato, che l’ormai ultranovantenne lucidissimo autore napoletano dedica a “La nostalgia della Bellezza”. Ho trovato questo capitolo così bello, così informato, così profondo e così compendioso che proprio avrei voluto scriverlo io, che al tema della bellezza ho dedicato una vita, senza mai raggiungere la lucidità e l’organicità di questo non addetto ai lavori, artista in atto ma non per mestiere critico d’arte, o filosofo dell’arte. Mi ci vorranno molte puntate di diario, ma sarà il mio modo di celebrare  la madonna dal bel titolo di ‘illuminata’ che in questi giorni si festeggia al mio borgo, una madonna che avrei preferito, mi si passi l’irriverenza blasfema, un poco …illuminista, voltairianamente e rousseauianamente theotochos, più che di un dio personale, di un dio cosmico e panico, l’iddio che piace a me e del quale sotto nomi diversi cantai e urlai già da bambino, senza averne chiara coscienza, la gloria per i colli e per le valli della mia benedetta terra.

*

E’ proprio vero, purtroppo, che la maggioranza dei nostri ragazzi non legge affatto, o legge pochissimo. E legge male quel poco che la scuola le impone di leggere.

A questo proposito riporto qui, come anteprima di e introduzione a Nostalgia della Bellezza, quanto in un altro capitolo de Lo stile dell’anatra (La memoria immaginativa) La Capria narra delle sue prime letture e  del ruolo fondamentale che ebbero nella sua formazione di uomo e di scrittore. Quanto egli dice ha una grande, neppur tanto larvata, implicita valenza pedagogica, e rappresenta una garbata denuncia nei confronti del nostro sistema scolastico, del suo provincialismo e della sua incapacità di forzare le barriere e le oggettive conseguenti ristrettezze delle menti delle giovani generazioni.

 

“Si può raccontare un personaggio, la sua biografia, non solo attraverso i fatti della vita ma attraverso le sue letture? Io ho provato a raccontare in questo modo il personaggio di Candido, un mio alter ego, e attraverso i libri che lui leggeva ho cercato di ricostruire le esperienze letterarie dei ragazzi della mia generazione, quella nata sotto il fascismo, che aveva vent’anni o poco di più quando la guerra stava per finire. Parlo della generazione che passò dal fascismo all’antifascismo per aver letto certi libri, anzi certi autori, che non si studiavano a scuola, che niente avevano a che fare con la politica (e neppure col fascismo), ma che ebbero il potere di cambiare il gusto, le opinioni, il nostro modo di vedere le cose.

Da quelle letture ho potuto tracciare il percorso comune a Candido e a tutti i sui coetanei. Su quel percorso essi incontrarono l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij, il Gregor Samsa di Kafka, il Processo e la Condanna senza colpa; Con Achab inseguirono Moby Dick e navigarono i mari e gli oceano che videro Billy Budd, il bel marinaio, appeso al pennone della nave del capitano Vere, e Lord Jim vagante di isola in isola per far scomparire il suo passato e riconquistare il perduto onore…

 

Com’era diversa invece la trafila scolastica obbligatoria! I grandi scrittori che segnavano la storia della letteratura italiana non avevano creato romanzi con personaggi cui ci si potesse affezionare, ai quali confidare i segreti del cuore riconoscendo in essi qualcosa di noi, i nostri sentimenti e le nostre pene; avevano creato “opere” in prosa e poesia dove era presente il loro io che si identificava con la loro lingua, col loro temperamento e la loro sensibilità, al punto di farli apparire non più autori ma essi stessi personaggi, anzi quasi categorie dell’anima italiana, chiare e riconoscibili,, e tipiche quanto le maschere della Commedia dell’Arte, quanto Arlecchino, Pantalone, Brighella. Detto senza nessuna irriverenza, Alfieri, Aretino, Casanova, Leopardi, Foscolo, D’Annunzio, Pascoli, Carducci evocavano per me maschere letterarie del sentimento altrettanto ben definite. Chi non aveva riconosciuto dentro di sé in certi momenti la fiera musica altisonante dell’Alfieri, la chiacchiera scurrile dell’Aretino, l’avventura amorosa di Casanova, la profonda malinconia di Leopardi,  la focosa passionalità del Foscolo, la retorica professorale di Carducci?

Riconosciuti e non proprio amati, non solo perché imposti in malo modo a scuola, ma perché oscuramente studiandoli li scoprivamo simili a noi, e non amati come noi stessi.

 

Quando leggiamo un libro lo suoniamo. “Quale vitalità rimane a uno Stradivario se non viene suonato?”. Il libro è uno Stradivario che deve riecheggiare in noi “oltre il meschino riassunto della trama”. Ma perché questo accada occorre soprattutto che il libro ci emozioni, ci confronti con la nostra esperienza della vita attraverso l’emozione letteraria che ci trasmette.. Letteratura e vita obbediscono a due leggi diverse, a due codici diversi, come le parole e le cose. Le parole non si identificano immediatamente con le cose, non sono le cose, così come la letteratura non si identifica con la vita. Ma ci deve essere un continuo gioco di rimandi dall’una all’altra, uno scambio che le arricchisce entrambe. Oggi è più facile scrivere bene che leggere bene. Tutti scrivono bene, e quanta falsa buona letteratura viene messa in circolazione ogni anno! Scrivere bene non vuol dire scrivere un buon libro, ci vuole ben altro, e si può anche “imparare a scrivere bene”, esistono per questo apposite scuole di scrittura. Ma come si fa a insegnare a leggere bene? A far sentire che una poesia è bella?” (pp. 136-138)

 

Personalmente avrei molto da ridire su alcune opinioni qui da La Capria espresse, soprattutto quelle riguardanti D’Annunzio e la  sua presunta ‘mitomaniacalità’, il  rapporto parola-cosa e  vita-letteratura, punti sui quali le mie concezioni filosofiche ed estetiche  toto coelo differunt. Ma questo è un altro discorso e non ho certo intenzione di affrontarlo qui. Quel che conta, e che è del tutto condivisibile, è il richiamo alla fondamentalità di una corretta iniziazione dell’uomo-giovane alla lettura come pregiudiziale per la formazione della sua mente critica, la dilatazione dei suoi ambiti, la presa di coscienza che “oltre la propria valle c’è del mondo”.

 

________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

   

 
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