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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Ronsard, ecologismo lirico, corona virus

Post n°1027 pubblicato il 24 Febbraio 2020 da giuliosforza

Post 947

   Oggi ho proprio voglia di rilassarmi  (e come meglio potrei se non in compagnia di Ronsard, il principe della Pléiade?), e nel frattempo riprendermela con un ecologismo rozzo che non abbia dietro una seria filosofia, una vera e propria diversamente, perché lirica, compatta  Visione del mondo, che lo giustifichi predicando l’Unità del reale in una Coscienza cosmica (hegeliana Autocoscienza dell’Assoluto fattasi nella mia interpretazione proditoria, da logica lirica) che dia senso a un universo come mia casa (oikìa donde eco prefisso di ecologia). Nella mia ‘traslazione’, dai miei antichi amici neo-hegeliani accusata di vero e proprio tradimento, dell’Assoluto logico nell’Assoluto lirico, la riflessione non perde il suo ruolo: con Bruno nolano non solo e con Nietzsche, diventati nel tempo i miei nuovi maestri, il poetico è sempre pensante, il logico sempre poetante.

   Bel modo di rilassarsi, direte voi. Ecco perché passo subito a Ronsard e alla sua famosa elegia “Contre le bucherons de la foret de Gastine”, che qui riporto in versione originale, anche ortografica, nella mia libera traduzione, composta in occasione della deforestazione di una vasta zona, quella della Gastine appunto, ricordata come uno dei più grandi scempi naturalistici operati nella Francia del ‘500. All’epoca della mia attività di direttore di coro, è questa una curiosità che spero vi diverta, diedi ai bei versi alessandrini ronsardiani una semplice melodia a canone in sol minore, tempo 2/4, che non riesco a riprodurre qui sul pentagramma (irrecuperabili ormai le mie carenze nell’impiego dell’ordinateur- non si dimentichi che fu il francese Pascal il vero inventore di quel demonico aggeggio che  sarebbe poi  diventato il computer), che invito voi a canticchiare con me, trascritta per l’occasione in do maggiore, e secondo il metodo letterale che m’ero inventato per gli adepti ancora non in grado di leggere uno spartito:

   mi / fa mi la si / dooo si / la si sol fa / miii’ mi / fa mi sol# la / siii’ mi / fa mi la si / dooo’ mi / fa mi la si / dooo’ do / re do si la / sool fa’ mi / si do re si / miii’ mi / mi sol# la do / sii la.

   Gli apostrofi stanno per respiro, il cancelletto per il diesis. E la nota mancante all’ultima battuta è naturalmente compensata dal mi solitario della prima. Per il punto d’organo (la tenuta ad libitum) che avrei voluto mettere sull’ultima nota non ho trovato il sistema.

   Per la comprensione dell’elegia agli ecologisti nostrani farfarebbe bene una ripassatina di mitologia, senza la quale il rinascimentale Ronsard è impensabile e incomprensibile. Per essere ecologisti veri bisogna essere un poco, anzi un po’ tanto, pagani, e avvertire nella natura il respiro di una qualche pagana divinità.

   ÉLÉGIE

   CONTRE LES BUCHERONS DE LA FOREST DE GASTINE

   Quiconque aura, premier, la main embesongnée  / A te coupper, forest, d’une dure congnée, / Qu’il puisse s’enfermer de son propre baston, Et sente en l’estomac la faim d’Erisichthon / Qui coupa de Ceres le chesne vénérable, / Et qui, gourmand de tout, de tout insatiable, / Les bœufs et les moutons de sa mère engorgea,  Puis, pressé de la faim, soy-mesme se mangea: / Ainsi puisse engloutir ses rentes et sa terre / Et se dévore après par les dents de la guerre! / Qu’il puisse, pour venger le sang de nos forests, / Tousjours nouveaux emprunts sur nouveaux interests  / Devoir à l’usurier, et qu’en fin il consomme / Tout son bien à payer la principale somme ! / Que tousjours, sans repos, ne fasse en son cerveau / Que tramer pour-néant quelque dessein nouveau, / Porté d’impatience et de fureur diverse, / Et de mauvais conseil qui les hommes renverse!

    Escoute, Bûcheron, arreste un peu le bras: / Ce ne sont pas des bois que tu jettes à bas; / Ne vois-tu pas le sang, lequel dégoûte à force, / Des Nymphes qui vivoient dessous la dure escorce ? / Sacrilège meurtrier, si on pend un voleur / Pour piller un butin de bien peu de valeur, / Combien de feux, de fers, de morts, et de détresses / Merites-tu, meschant, pour tuer nos Déesses? / Forest, haute maison des oiseaux bocagers! / Plus le cerf solitaire et les chevreuls légers / Ne paistront sous ton ombre, et ta verte crinière
Plus du soleil d’esté ne rompra la lumière. / Plus l’amoureux pasteur sur un tronc adossé, / Enflant son flageolet à quatre trous persé. / Son mastin à ses pieds, à son flanc la houlette, / Ne dira plus l’ardeur de sa belle Janette : / Tout deviendra muet ; Echo sera sans vois ; / Tu deviendras campagne, et, en lieu de tes bois, / Dont l’ombrage incertain lentement se remue, / Tu sentiras le soc, le coutre, et la charrue. / Tu perdras ton silence, et Satyres et Pans, / Et plus le cerf chez toy ne cachera ses fans. / Adieu, vieille forest, le jouet de Zephyre, / Où premier j’accorday les langues de ma lyre, / Où premier j’entendi les flèches resonner / D’Apollon, qui me vint tout le cœur estonne ; / Où, premier admirant la belle Calliope, / Je devins amoureux de sa neuvaine trope, / Quand sa main sur le front cent roses me jetta, / Et de son propre laict Euterpe m’allaita. / Adieu, vieille forest, adieu, testes sacrées, / De tableaux et de fleurs en tout temps révérées, / Maintenant le desdain des passans altérez, / Qui, bruslez en l’esté des rayons etherez, / Sans plus trouver le frais de tes douces verdures, / Accusent tes meurtriers, et leur disent injures! / Adieu, chesnes, couronne aux vaillans citoyens. / Arbres de Jupiter, germes Dodonéens, / Qui, premiers, aux humains donnastes à repaistre ; / Peuples vrayment ingrats, qui n’ont sçeu recognoistre / Les biens receus de vous, peuples vrayment grossiers, / De massacrer ainsi leurs pères nourriciers ! / Que l’homme est malheureux qui au monde se fie! / Dieux, que véritable est la philosophie. / Qui dit que toute chose à la fin périra, / Et qu’en changeant de forme, une autre vestira ! / De Tempe la vallée, un jour, sera montagne, / Et la cyme d’Athos, une large campagne: / Neptune, quelquefois, de blé sera couvert: / La matière demeure et la forme se perd.

 

   “Colui che per primo, o foresta, avrà, per tagliarti, la mano appesantita da un’ascia, possa impiccarsi con le sue stesse mani e sentir nello stomaco la fame di Erisittone, che tagliò la quercia sacra a Cerere e che, di tutto ghiotto, di tutto insaziabile, sgozzò i buoi e i montoni di sua madre per poi, spinto dalla fame, divorare se stesso; e allo stesso modo possa inghiottire le sue rendite e la sua terra e autodivorarsi  con ferocia belluina. Che possa, per vendicare il sangue delle nostre foreste, dovere all’usuraio sempre nuovi prestiti e sempre nuovi interessi, e alla fine consumare ogni suo avere per pagare la somma totale dovuta. Che insonne trami senza tregua nel suo cervello sempre nuovi inutili disegni, spinto da impazienza e follia, e sempre nuovi rovinosi disegni per sé e per gli altri. Ascolta, boscaiolo, trattieni il braccio, perché non è legno quello che a colpi d’ascia stai abbattendo: non vedi sgorgare a fiotti il sangue delle Ninfe che vivevano sotto la dura scorza? Carnefice sacrilego, se si arresta un ladro per un modesto bottino di poco valore, quanti roghi, quante catene, quante morti, quante torture meriti tu, assassino di Divinità? O Foresta, immensa casa degli uccelli boschivi, alla tua ombra non pasceranno più il cervo solitario e gli snelli caprioli, e la tua verde criniera non farà più da riparo al torrido sole estivo. Non più il pastorello innamorato, addossato ad un tronco, soffiando nel suo piccolo flauto a quattro fori, il cane ai suoi piedi, il vincastro a lato, griderà all’arie in suoni il suo ardente amore per Janette; diverrai muta, Eco sarà senza voce, diventerai campagna, e al posto dei tuoi alberi, la cui ombra incerta lentamente si sposta, sentirai il vomere, il coltro e l’aratro; perderai il tuo silenzio, e alitando di spavento né Pan né i suoi satiri ti s’accosteranno. Addio, antica foresta, gioco degli zefiri, ove primo accordai le corde della mia lira, dove primo udii sibilare le frecce d’Apollo che veniva a sconvolgermi il cuore, ove primo ammirai la bella Calliope, mi innamorai delle sue nove compagne, quando la sua mano mi incoronò di cento rose ed Euterpe mi allattò del suo latte. Addio antica foresta, addio simulacri sacri un tempo ricoperti di fiori e di immagini: ora solo la rabbia dei passanti infuriati, che soffocano ai raggi ardenti del sole agostano senza più trovare sollievo al fresco delle tue dolci verzure e accusano i vostri delitti e li maledicono. Addio Querce, corona ai valenti cittadini, alberi di Juppiter, germogli dodonici, che prime agli umani donaste riparo, gente veramente ingrata, che non ha avuto riconoscenza per il bene da voi ricevuto, gente davvero ripugnante, se così massacra chi ci diede la vita. Sventurato l’uomo che fa affidamento sul mondo! O dei, quanto è vera la filosofia, che afferma che tutto alla fine perirà, e che cambiando forma un’altra ne assumerà. La valle di Tempe un giorno sarà montagna, e la cima d’Athos una vasta campagna, e il mare prima o poi sarà ricoperto di grano. La materia permane, la forma svanisce”.

   Non celebrerò con lodi eccessive questa elegia: assai affannoso in molte parti il suo respiro, eccessivamente cerebralistica in altre. I versi più belli mi sembrano indiscutibilmente i tredici che iniziano da “Escoute bucheron”, e solo perciò essi io facevo cantare nel mio semplice canone.

   Fissato col canone, di un altro peccato di vecchiezza mi resi colpevole: d’aver forzato a canone il motivo del ringraziamento nella Sesta di Beeth applicandovi tre strofe del goethiano Lied Maifest, le cui prime tre strofe soprattutto esprimono, con versi la cui semplicità è pari alla loro profondità, la gioia l’estasi la voluttà dei sensi e dell’anima al risveglio della Natura a Maggio. Ma di questo peccato non mi pento: in maniera talmente perfetta essi si adattano al motivo beethoveniano che, non fossero stati scritti una trentina d’anni, nel periodo ancora sturmistico del Francofortese (1775 e dintorni), prima della Sesta ‘Pastorale’ che è del 1807-8, si potrebbe pensare che i novenari piani e tronchi che la compongono siano stati sul ritmo di essa ricalcati (ma sarebbe anche ipotizzabile essere stato Ludwig a ricalcare Wolfgang).

 *

   Mentre scrivo queste idilliche cose sulla Natura, una nuova terribile peste sembra stia per infestarla, che minaccia di fare più vittime di una guerra mondiale (come fece la spagnola a Prima Guerra Mondiale appena terminata): il coronavirus incombe sul mondo. Vendetta della Natura, che intende sfoltire, soprattutto di noi vegliardi, il sovraffollato pianeta, o follia di un mastodontico untore (la Cina?) o di molti Untori (le industrie farmaceutiche) o di un capo di stato di grandi potenze insanito intenzionato a condurre una guerra non dichiarata contro anche troppo facilmente individuabili bersagli? Non so. Ma se il corona virus prodest, mi chiedo, cui prodest? Una cara informata e attivissima amica mi ha risposto, e col suo permesso pubblico quanto mi ha scritto, condividendolo in toto:

   “Io sposo in tutto la tua posizione su questa follia inventata e assurda della presunta pandemia. Non nego che vi sia attualmente un alto tasso di contagio, ma se si sta complessivamente bene, senza grandi problemi di salute, non si muore di polmonite.

   Tu chiedi cui prodest?

   Interessa le multinazionali farmaceutiche, che ormai hanno i destini del mondo nelle mani e che dopo aver impaurito ben bene le masse immagino proporranno un vaccino che i governi, servi, compreranno e (Dio non voglia!) imporranno.

   Non ho creduto mai alla pandemia ma ho iniziato a preoccuparmi quando ho visto che l’Italia è il primo, e finora il solo, paese europeo ad aver adottato misure simili a quelle cinesi: tre cittadine in quarantena, campi allestiti della protezione civile. Ma siamo matti?  

   Mi preoccupo perché, guarda caso, l’Italia è il solo paese europeo dove ai neonati vengono somministrati 10 vaccini.

   L’Italia, per volontà degli USA, è il Paese che coordina a livello internazionale le campagne vaccinali e temo che ben presto ci diranno che occorrerà vaccinarsi contro il coronavirus che è un ceppo e come tale muta e quindi vaccinarsi non serve a nulla se non ad ingrassare le multinazionali del farmaco.

   E i nostri governanti sono servi e corrotti. e ci stanno svendendo a questi interessi.

   Ma io me ne infischio.

   Per mio conto sto intensificando le mie piccole attività di corretta informazione e contrasto, partecipando e proponendo webinar, meditazioni collettive, innalzamento del livello vibrazionale della coscienza collettiva.

Come diceva anche il nostro amico nolano è il pensiero che crea la realtà. Dunque, corretta informazione e pensiero edificante possono fare la differenza”.

Così la mia amica. Non ha forse ragione? 

    ______________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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