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Keller, un pitale su Montecitorio. Messe da Requiem

Post n°1054 pubblicato il 10 Novembre 2020 da giuliosforza

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   In ricordo dei tragici avvenimenti di questi giorni (eccidi islamici di Nizza, Avignone, Vienna - come il Covid il terrorismo in questo infausto autunno sembra voler riprender l’aire) la Rai ha messo ieri sera in onda  una storica edizione della Messa da Requiem mozartiana, quella del Musikverein viennese di non so quale anno, e del suo perfetto Singverein, affidata al mio idolo von Karajan, al suo gesto compostissimo e intenso, alle sue vecchie mani artritiche parlanti, al suo sguardo profondo e raccolto da estasi mistica. La mia passione per il coro ha avuto ieri sera di che bearsi. Circa 230 elementi tra tenori bassi soprani e contralti, compresi i solisti, disposti in quattro file perfette, che non hanno bisogno di spartiti, lo sguardo incollato al Direttore ieratico, le labbra aperte non solo al canto ma al sorriso incantato - l’ho notato soprattutto nelle più giovani artiste - danno vita ad uno spettacolo la cui perfezione, per vocalità intensità ed intesa, non ha pari. Io che son giunto ad avere in uggia, per l’uso e l’abuso che ovunque  se ne fa da parte dei cori amatoriali, il capolavoro ultimo del Saliburghese, scritto quasi per una premonizione di morte imminente, mi sono riconciliato con la composizione in re minore (ma quante le cadenze in Re maggiore, la tonalità prediletta di Wolfgang, soprattutto nell’Amen che conclude il Dies Irae) che pur in sé comprendendo momenti  concitatamente funerei spesso rivela la serenità e l’abbandono che possederanno altri famosi Requiem a venire (vedi  Deutsche Requiem di Brahms, e il Requiem di Fauré - più complesso il caso della Messa di Requiem verdiana - così distanti dalle triste, cupa, disperata, apocalittica  aura cattolica). Di quell’evento straordinario, ch’ebbi la ventura di vivere di persona, ho trovato in rete il resoconto che ne fece il cronista Rino Alessi, che lessi a suo tempo su Repubblica e che mi piace qui, col suo permesso, riportare.

   “ROMA - Già un'ora prima della cerimonia, all' interno della Basilica, le prime file sono occupate da ventiquattro cardinali -. Il colpo d' occhio, dal fondo, è di un porpora intenso, spicca - subito dietro - il nero dell'intero corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Si comincia a fare il gioco del chi c' è e del chi non c' è e ci si scambiano i nomi: c' è la signora Fanfani, i ministri Scotti, Pandolfi e Visentini, Susanna Agnelli con figlia (no, l'avvocato non c' è), il segretario del Pli Zanone, l'ex presidente della Repubblica Leone con la signora Vittoria. Ed ecco gli invitati di Karajan, millecinquecento in tutto, disposti nel transetto destro. Spiccano l'Aga Khan, la signora Elena Rothschild, l'armatore greco Stavros Niarchos (e ci si ricorda, nell' occasione, che la famiglia Karajan viene dalla Macedonia greca, solo il trisavolo del maestro emigrò in Sassonia per stabilirvisi). E poi? E poi c' è, bellissima, l'attrice svizzera Marthe Keller e il sarto Valentino che, al termine della cerimonia ha aperto casa agli invitati di Karajan, e il conte Lodolo Doria, e il Duca Portanova. In primissima fila, in nero, con veletta, la moglie di Karajan, la terza, la francese Eliette Mouret e le due figlie, Isabel, bionda come sua madre, attrice da qualche tempo, tenuta a battesimo dai Wiener Philharmoniker, gli stessi che ieri hanno suonato sotto la guida del maestro von Karajan, e Arabella, la secondogenita. Mezz' ora prima del concerto, un altoparlante fa sapere che data la solennità della ricorrenza e l'importanza della cerimonia, è fatto divieto al pubblico, e ci sono sulle quindicimila persone poco più poco meno, di applaudire nel corso della Messa pontificia. L' annuncio non impedisce a Karajan di fare un ingresso ad effetto. Non sono ancora accese le luci dei riflettori che illumineranno la cerimonia nel corso delle due lunghe ore di diretta in Mondovisione, che appare lui, il maestro, piccolo, lontano, la testa bianca che fa spicco in mezzo al nero dell' orchestra che gli è intorno, sulla destra dell' altare maggiore, del coro del Singverein di Vienna, dei quattro solisti, Kathleen Battle, Trudeliese Schmidt, Gsta Winbergh e Ferruccio Furlanetto. Sulla sinistra dell'altare l'altro coro che partecipa alla solenne cerimonia, la Cappella Sistina diretta dall' anziano Domenico Bartolucci. Si chiudono i cancelli della Basilica. Le guardie svizzere, sono tantissime per l'occasione, ma tutto lo schieramento del servizio d' ordine è molto efficiente, vietano a chiunque, elegantissimo o in hot pants, l'accesso alla Basilica. All' interno, frattanto, il pubblico è al completo. Karajan è lì, lontano certo, ma vicinissimo alla telecamera, pronto a dare l'attacco all' esecuzione della "Krӧnungsmesse", la Messa dell'Incoronazione mozartiana che il maestro ha voluto offrire a Sua Santità. Karajan, certo: è su di lui che sono puntati gli occhi di tutti. La cerimonia è una cerimonia religiosa, si festeggia la ricorrenza di San Pietro e Paolo, ma - per il gran parlare che ha fatto il ritorno di Karajan in Italia dopo quindici anni d' assenza - è la festa del maestro austriaco, della sua esecuzione musicale, del suo Mozart che per la prima volta nel nostro secolo, vede inserita nel rituale liturgico, un'orchestra e un coro da teatro d' opera. Così, e nel frattempo, si sono accese le luci dei riflettori - e siamo in diretta e in Mondovisione – l’arrivo di Papa Wojtyla passa quasi inosservato. Anche perché l'emozione di vedere Karajan è tale che tutti, fra il pubblico, hanno avuto lo stesso impulso: si sono alzati in piedi, omaggio a un maestro che a settantasette anni prosegue indomito a lottare contro i dolori atroci alla colonna vertebrale che lo accompagnano. Karajan è lì, di nuovo in Italia, ha voluto essere in San Pietro rinunciando a ogni compenso, accollandosi l' onere economico di far venire da Vienna l' orchestra filarmonica e il coro, ma riservandosi, in cambio, la coproduzione della diretta televisiva per Telemondial, la casa di produzione che due anni fa ha fondato a Montecarlo e che ha in esclusiva i diritti di produzione e distribuzione dei filmati dei concerti e delle opere dirette dal maestro. Telemondial ha curato la diretta televisiva di ieri assieme a Televisa di Città del Messico. La Messa è stata vista in tutto il mondo, esclusi i paesi dell'Europa orientale, compresa, ironia della sorte, la terra d' origine di Papa Giovanni Paolo II, la Polonia. Karajan, dunque, ha rinunciato all' applauso di rito che saluta il suo ingresso in ogni sala da concerto, in ogni teatro d' opera. E per una volta si è inchinato alla Chiesa, ha offerto la "sua" musica a Papa Giovanni Paolo II, si è messo da parte, non ha voluto, per una volta, essere lui il protagonista assoluto. E all' ingresso del Papa, al suo spargere l'incenso attorno all' altare maggiore, ecco che Karajan si inchina, assieme ai suoi Wiener Philharmoniker, alla maestà della Chiesa. La festività di San Pietro e Paolo è anche l'occasione, per la Chiesa, per attribuire il Pallio, il simbolo di una speciale comunione con la Sede di Pietro, come ha ricordato nella sua omelia Papa Giovanni Paolo II, ai nuovi metropoliti, i nuovi arcivescovi della Chiesa che erano accanto al Santo Padre, sull' altare maggiore. Erano dodici gli arcivescovi cui Papa Wojtyla imponeva il Pallio, c'era un italiano, l' arcivescovo di Chieti Antonio Valentini, e poi il neo-cardinale degli ucraini Miroslav Ivan Lubachivski, che di recente ha preso il posto del compianto cardinal Josip Slipyi, sopravvissuto a quindici anni di campo di concentramento in Siberia e ancora altri arcivescovi provenienti da Irlanda e Scozia, dalle Isole Salomone e dall' Africa, dall' America Latina e via dicendo. Sono stati loro, i nuovi dodici metropoliti, a concelebrare col Pontefice il solenne rito di San Pietro e Paolo. E sono stati loro, alla fine, gli autentici protagonisti della cerimonia. Perchè, a quel punto, la parte mozartiana guidata da Herbert von Karajan veniva a essere il prezioso commento musicale a un irripetibile rito religioso. E allora, anche fra il pubblico, l' attenzione - e qui forse chi si aspettava una grande esecuzione musicale è rimasto deluso - si è spostato sulle parole del Vangelo, prima, e del Santo Padre, poi, che nella sua omelia oltre a "gioire per la presenza dei nuovi metropoliti", ha salutato la Delegazione ortodossa che presenziava alla cerimonia, Delegazione che era guidata dal Metropolita Chrysostomos di Mira, che il Patriarca ecumenico Dimitrios I ha inviato a Roma per questa festa dei Santi Pietro e Paolo. "Il dialogo aperto tra le nostre Chiese sulla comune fede apostolica" ha detto Wojtyla "ci condurrà alla piena unità e, finalmente, a poter celebrare insieme l'eucarestia del Signore". Al termine della cerimonia, li abbiamo visti in televisione, Karajan, la moglie e le figlie hanno ricevuto la comunione del Santo Padre. Fuori, all' esterno della Basilica, ormai non c'era più la ressa delle due ore prima. Con la gente che questuava il biglietto dell'ultimo minuto e che arrivava a offrire anche quattrocentomila lire per essere lì. Un dubbio, fra il pubblico, comunque c' è stato. Forse più che essere lì, il grande spettacolo è stato davanti ai teleschermi, con i primi piani del leggendario von Karajan, con i primi piani del Papa, con la telecamera che riusciva a cogliere, fin nei minimi dettagli, le emozioni che si disperdevano negli immensi spazi della Basilica.

Di Rino Alessi. 30 giugno 1985”.

   Due figure gigantesche emergono da questo dettagliato resoconto dello straordinario evento. Quale delle due io preferisca e più veneri non ho bisogno di specificare.

*

   Cento anni fa precisi, in questi giorni (due mesi prima del Natale di Sangue) stava per aver termine l’impresa fiumana ad opera delle cannonate del Boia di Dronero Giovanni Giolitti. Per l’ennesima volta ripenso con nostalgia a quell’epopea, avrei voluto farne parte, da piccolo avevo avuto tempo di farmene inoculare nell’anima la passione. Nelle pagine di questo diario l’ho più volte celebrata, ne ho ricordato fasti e nefasti, ho esultato per il suo nascere, ho pianto per la sua fine violenta. Prima che questo anno anniversario termini, anno di una peste meno difficile da combattere di quella politica dalla quale i Legionari col loro Capo tentarono, illudendosi, di liberare Europa e mondo, voglio ancora ricordarlo con due episodi assai significativi tratti dal romanzo Greta Vidal di Antonella Sbuelz Carignani, episodi storici, anche se leggermente mutati, come a romanzo s’addice, nei nomi dei protagonisti. Il primo episodio è esilarante, e ancora se ne ride da chi non ha la memoria troppo corta e ha l’animo sgombro; il secondo riassume in una paginetta i propositi, per taluni i vaneggiamenti, dei legionari e del loro Capo quali emergono dalla Carta del Carnaro. Eroicomica dirò l’impresa  che nel maggio 1920, nei giorni di quell’iniquo Trattato di Rapallo che per volontà del ‘cowboy’ Wilson e la vile connivenza di Francia e Inghilterra negò l’annessione di Fiume all’Italia, vide protagonista Giulio Keller, nel romanzo Giulio Kepler, che sul suo biplano trasvolò  Roma e, dopo aver lanciato fiori su San Pietro e sul Quirinale, sganciò su Montecitorio un pitale colmo di rape e carote (finito per un lieve errore sul tetto del vicino Hotel Milan, a due passi dal Parlamento) insieme a un biglietto intestato: Al Parlamento italiano, S. P. M. sul quale era scritto:

Giulio Kepler

dona al Parlamento e al Governo,

che si reggono da tempo con la menzogna e con la paura,

la tangibilità allegorica del loro valore.

Fiume – Roma, maggio 1920

 

   Il secondo episodio riguarda un colloquio concitato tra la giornalista francese Claire, che confonde l’isola di Cherso, dirimpettaia di Fiume, con la Corsica, e Paul Forst (nella realtà Henry Furst, marito di Orsola Nemi, brillanti penne del futuro longanesiano Borghese, antifascista durante il Fascismo, nostalgico dopo) sul senso e sulle aspettative della impresa fiumana; un colloquio che avviene mentre l’Elettra di Marconi, giunto a Fiume a salutare il Vate e ad esprimergli la sua solidarietà, riprende lentamente il largo.   Così riassume l’americano: «A Fiume si stanno ideando progetti assolutamente nuovi che potrebbero rivoluzionare l’assetto intero della società: un organismo internazionale di opposizione all’imperialismo, una piena uguaglianza delle donne, una forma di democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo, la revisione del sistema carcerario, una scuola aperta a più lingue e a tutte le religioni. E una costituzione moderna, basata su principi così nuovi da spaventare non soltanto i più retrivi tra i conservatori: il divorzio, il voto femminile, la salvaguardia del lavoro col diritto a un minimo salariale. Ma ci sono anche altri motivi: Fiume è una città latina, occidentale, alle soglie dell’Oriente, dei Balcani. E è una città che domanda - e lo domanda da parecchi mesi – che venga ascoltata la sua voce. E allora non le sembra sia un buon punto, dovendo averne uno, per partire?». Si tratta, è evidente, di un sunto alquanto striminzito: fuori dal contesto della Carta, della sua complessità, del suo ineguagliabile stile il progetto fiumano perde molto, rende a fatica la ricchezza e la complessità dell’originale. Soprattutto non rende giustizia al ruolo che l’Arte in generale, la Musica in particolare, hanno nella Carta costituzionale fiumana, in vista della formazione dell’uomo nuovo come Homo aestheticus capace, mediante la liberazione, la purificazione, il rinnovamento, il potenziamento dei sensi, di tutti i sensi, esterni e interni, di reinventarsi, dopo la fase del dilaniamento e della frammentazione, come Totalità. Il Pulchrum come suprema categoria dello Spirito, rovesciamento della classica triade dialettica, che pone l’arte, in quanto momento soggettivo e particolare dello spirito, al suo gradino più basso (anche se nella dialettica dello Spirito non ha senso parlare di gradini e fasi, arte religione filosofia ponendosi come un Unum dello Spirito in ogni suo farsi).  

*

   Più passano i giorni più la mia mente s’immerge, come è naturale, in pensieri di ‘tempo’ e d’‘eternità’ (ma ho forse fatto altro fin dal primo istante in cui ho iniziato a pensare?) taluni assai originali, se non nella sostanza, nel metodo, nella natura e negli esiti. Stamane, per esempio, durante la mia breve passeggiata per le strade poco trafficate del mio quartiere, e quindi non del tutto disadatte al raccoglimento, ho sviluppato una riflessione che ritengo non banale, anche se non nuova certo perché implicitamente contenuta in tutto il pensiero che sono andato negli anni elaborando, ma in maniera mai così esplicita. E ho pensato quanto segue, tra il serio e il faceto, tra il sensato e lo stravagante.

   Kant, come è risaputo, nella Ragion Pratica tenta il recupero della eternità dell’anima personale, impossibile da dimostrare in termini di Ragion Pura, come esigenza (postulato) delle tensioni morali che alimentano la vita, le quali sarebbero prive di senso se dovessero con la morte essere interrotte. Una tensione interrotta non è una tensione. E perciò una vita senza fine si richiede per l’anima che nello Streben si definisce, nelle aspirazioni che senza Dio, Immortalità dell’anima e libertà (postulati, appunto, non verità) non avrebbero senso. Ora nella mia semi seria riflessione peripatetica io ho saltato pari pari la Ragion Pratica per collocarmi nell’anima stessa della Ragione Estetica (ché tale è la Critica del Giudizio, e non so perché il peripatetico di Kӧnigsberg non l’abbia così denominata - forse per non confondere l’’estetica trascendentale’, teoria trascendentale della sensibilità, della prima Critica, col ‘giudizio’ estetico della terza?). Perché dunque la mia Kritik der aesthetiche Vernunft dovrebbe postulare l’immortalità dell’anima personale? Perché solo un’eternità consente di rincorrere ascoltare venerare ringraziare i grandi Spiriti che si son fatti e continueranno a farsi, in queste o in altre delle infinite galassie, per me tramiti dell’Harmonia Mundi, figlia dell’Urklang, per le mie orecchie ad essa fin dal concepimento tese, che essa si esprima in suono puro o in verso, esso stesso Suono ritmante il respiro del Tutto che, vulcano mai spento, del suo calore inonda e scalda l’Universo in che si espande. Insomma, la mia anima deve essere immortale per godere della infinita Bellezza fatta Suono où les parfums les couleurs et le sons se répondent. Poco?

*

   Il cielo è carico di nubi con qualche sprazzo di sereno. Fa freddo. Le mie antiche ossa sono sempre più doloranti, e io rifiuto calmanti, per non appesantire ulteriormente il carico di medicinali al quale il mio fegato finora ha gagliardamente resistito, e per quel tanto di stoicismo - oggi volgarmente detto masochismo - che in me sopravvive. Accendo il riscaldamento per le mie ossa, ma soprattutto per asciugare il san Bernardo di peluche a grandezza naturale reduce dal bagno (Jacopo Numa Leon, che finalmente si diverte e si danna attorno a un cucciolo vero che sul cagnone amava farsi i denti, me lo ha reso). Ma soprattutto accendo la tv e m’imbatto nell’Amico Fritz di Mascagni, colui che dicono One opera man, stupidamente, con riferimento alla Cavalleria rusticana. E la musica, come sempre, mi scalda membra cervello e cuore. Non penso al coprifuoco, parola che solo un presidentino di consiglio che ignora cosa sia una vera guerra vissuta sulla proprio pelle da bambini  tra gli otto e gli undici anni, quando coprifuoco significava fortezze volanti anglo-americane scaricanti a pioggia migliaia di bolidi sul mondo addormentato, e pattuglie di SS che dalla ‘Lacciara’ e dalle ‘Vagli’ spegnevano a raffica di mitragliatrici ogni minima fioca luce accesa nelle case e per le strade deserte del Borgo, poteva cinicamente evocare. Siamo pochi ormai i sopravvissuti a quelle tragedie, ma meritiamo comunque compianto, se non rispetto, e che le nostre piaghe non rinciprigniscano.

   Anche nei confronti del mite Mascagni fu operata la damnatio memoriae e da un galantuomo come Parri gli fu negato il funerale di Stato, ma non furono damnati Marconi, Pirandello, Quasimodo e i molti altri meno noti che come lui avevano aderito al Fascismo ma s’erano affrettati a cambiar casacca. Incidenti che capitano, non è da meravigliarsene, ma non è nemmen superfluo rammentarli. 

   L’amico Fritz segue subito la Cavalleria rusticana, ma non ne …cavalca di proposito il successo, non è più un’opera del tutto verista, non è ripetitiva e proprio perciò ne guadagna, non ne perde, in fluidità e leggerezza, già nel titolo. Quel tanto di romanticismo che in essa rivive ne fa un riposante idillio, adattissimo per chi viene dalle inebrianti e faticose …cavalcate beethoveniane e wagneriane. Rai 5 in genere riprogramma spesso in questo periodo le opere messe in palinsesto. Provare per credere.  

*

Dopo un anno, incoscientemente ripresumendo delle mie forze, ho riazzardato una passeggiata pomeridiana fra le sterpaglie delle vaste zone di verde, abbandonate dall'incuria capitolina e delle ditte costruttrici da ormai vent'anni in irrissolta lite di competenze, del mio quartiere di Porta di Roma. Ho temuto di non uscirne vivo. Nemmeno un cane, tranne me, numerose le forre e i saliscendi non visibili se non quando ti ci sei avventurato, pericolo di qualche cinghiale (recentemente ne sono stati avvistati nelle vicinanze, provenienti dalla riserva della Marcigliana). Insomma, un incubo, e una bella prova per il mio cuore. Ma eccomi qua, è andata. Alla prossima sfida.
Nel frattempo una bella soddisfazione. Ho appena ricevuto la copia zero del due volumi di Dis-Incanti. Due chilogrammi precisi di carta. Così poco e così tanto valgono dunque i miei pensieri?

   ________________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 
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