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Quasimodo (sogno di un sogno). Il serpentello di Toscanini. Scuse a Bruckner. Piccinini

Post n°1065 pubblicato il 11 Marzo 2021 da giuliosforza

 

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   Ho sognato di sognare.

   Io son solito fare colazione, prestissimo levatomi dopo una vivace notte di prostatico, regolarmente alle sei, per poi tornare a riposare, di norma a dormivegliare, al suono soffuso di musica classica; ma talvolta, come stamane, a ricadere in un sonno vero e proprio, spesso verace, come dicono essere dei sogni dell’alba. E nel sonno tornare a sognare.

    Ho sognato di sognare Quasimodo.

    Non vado matto per il Siculo di Modica esule in ‘continente’, né come scrittore né come uomo: modesto umanista autodidatta (l’autodidattismo in molti è un pregio in più, in lui secondo me non lo fu), dopo essersi diplomato in un Istituto tecnico-economico messinese (cappello ai diplomati di Istituti tecnici, naturalmente), si convertì alla versificazione (e dico versificazione e non dico poesia) “ermetica” e alla non solo da me discussa traduzione dei traduttori dei lirici greci. Per questo gli diedero anche il Nobel (forse perché era iscritto alla massoneria e al PCI?). I barbogi dell’Accademia svedese spesso anche essi evidentemente sonnecchiano e commettono svarioni, e premiano giullari alla Fo (il giudizio è di Harold Bloom) e pseudo-ermetici alla Salvatore Quasimodo appunto, che sosteneva che i poeti non sono i ‘manieristi’ alla Pascoli e alla D’Annunzio ma i ‘discorsivi’ come lui, quelli che ‘traggono musica dalle parole’, non sonorità. Cosa con ciò abbia voluto intendere proprio non saprei. Non so se abbia mai capito cosa sia musica e cosa sonorità: non gli servì molto aver passato una ventina d’anni (chiamato ‘per chiara fama’ questa volta dai fascisti) a insegnare letteratura al Conservatorio Verdi di Milano. Ma di ciò basta, E chiedo venia a chi non la pensa come me.

    Dunque, sogno di sognarlo. Dopo i soliti intervalli riprendo sonno all’alba durante una trasmissione dedicata da rai5 al poeta dell’Ed è subito sera e   sogno di assistere, da un angolino di una grande sala semivuota, ad una autopresentazione dello scrittore  che ci narra con la flemma ieratica che par d’obbligo in certi poeti della sua specie (degli ermetici o presunti tali, dico, che sotto tale termine spesso nascondono il vuoto di ispirazione) della sua vita e della sua opera, illustrando alcuni dei concetti della sua poetica. Ed è a questo punto che sogno di sognare. Mentre Quasimodo sognato parla mi prende un abbiocco, o una cecagna che dir si voglia, che a poco a poco diventa sonno vero e proprio, sonno profondo. E sogno nel sogno. E sogno i clivi della mia terra equa a primavera, al seguito di un Quasimodo-Pan-Diòniso che per i clivi caracolla ebbro seguito da satiretti infoiati, ninfe e driadi e menadi discinte. Durasse in eterno questo sogno! Ma in eterno non dura: improvvisamente ho un sussulto, mi par di russare, mi sveglio e mi ritrovo, quasi solo, ad ascoltare, nel sogno primo, un sempre più noioso flemmatico Quasimodo. Dal sogno sognante mi desta per fortuna una altro sussultare ed un altro soffocato russare. Apro gli occhi ed è giorno alto. Scomparso è Quasimodo, ma anche, purtroppo, Quasimodo-Pan-Dioniso con la sua schiera. E torna l’inverno, ma a guardare il sole e le piante a nuovo quasi virenti del parco e le mimose dal giallo sgargiante avverto che Persefone è in procinto di risorgere a nuovamente infiorare il mondo. E con le cose sono una volta ancora presto a intonare il mio Persefone risorse e il mondo infiora / Pan non è morto, non è morto Pan!

   Per il mio sogno nel sogno dovrò essere grato al da me tanto vituperato Quasimodo.

*

   D’ora in avanti ogni post, oltre che dal Chàirete e dalla lode bruniana agli dèi, sarà seguito dalla giaculatoria laica e religiosissima insieme, assai popolare in Germania: Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika, che io da sempre recito ma che ora il ricordo di un episodio esemplare mi spinge ad approfondire. Visitando qualche anno fa in Borgo Tanzi a Parma la casa paterna di Toscanini, ora museo, vidi, fra gli altri interessanti cimeli, anche la bacchetta che Israele donò al Maestro dopo un suo concerto. Si tratta di una bacchetta direttoriale in legno d’ebano, con punta d’oro e un serpentello (il bilico Nehutsam) avvolto nell’impugnatura anch’essa d’oro. Mi chiesi il perché del serpentello: forse perché nel deserto, pensai, prima che il popolo lo adorasse suscitando l’ira di Mosè appena disceso dal Sinai, chi contemplava il serpente di bronzo dallo stesso Mosè eretto guariva dai malanni? Il serpente evoca il potere taumaturgico della musica? Fatto a Toscanini quel dono non poteva che avere quel significato. Da allora in poi il serpente da sempre mio amico (era già nello stemma visconteo-sforzesco che porto con me effigiato in anelli cammei bastoni da passeggio, per avere egli suggerito ad Eva di mangiare, disubbidendo a un ordine improbabile di un improbabile Iddio che dopo aver creato l’uomo a sua immagine e somiglianza gli vieterebbe (contraddizione palese), il frutto della Conoscenza) mi è sempre più simpatico. E comprendo anche perché, con l’aquila e il leone, il serpente sia il terzo animale amico dello Zarathustra nicciano.

  *

   Cecchina o la buona figliola di Niccolò Piccinini.

   Ora capisco perché il Conservatorio di Bari, dove per anni ha insegnato composizione il mio caro geniale amico e quasi discepolo, ma non di musica, Federico Biscione ora al Marenzio di Brescia, sia intitolato a Piccinini. Barese, grande operista classico e non solo, Niccolò, di cui rai5 ha trasmesso la prima opera, leggera e frizzante come i diciotto anni dell’autore, era destinato ad avere un ruolo fondamentale nel passaggio dal manierismo barocco, attraverso un pacato classicismo, alla rivoluzione romantica. Mi piace. E subito di seguito mi sono goduto le vicende di Edgard, in un’altra opera giovanile ma di Puccini, combattuto tra la dolce Fidelia e la zingara Tigrana, e, sempre del lucchese la lieve, come il volo della Rondine dà il titolo alla composizione, Magda, assetata di libero amore e di una vita senza regole e senza freni, una vera e propria Carmen nostrana.

   Per quanto riguarda la musica sinfonica ho rivisto con piacere Georges Prêtre e le sue straordinarie mobilità ed espressività facciali, osservando le quali non v’è più bisogno di seguire il movimento della bacchetta. Dirige Prêtre Strauss Richard splendidamente e Ravel. Ma mi commuove rivedere un altro grande uomo, prima che direttore d’orchestra, dalla curiosità intellettuale insaziabile, il compositore saggista medico e archeologo Giuseppe Sinopoli alla guida della 4 di Schumann e della 4 di Brahms in una ripresa di fine anni Novanta. Come è noto sarebbe stato stroncato, non molto tempo dopo, da un infarto a Berlino durante la direzione dell’Aida. Il giorno dei suoi funerali, il 20 aprile 2001, avrebbe dovuto laurearsi in archeologia alla Sapienza. Era nella stessa lista di mia figlia Fiammetta, in ordine alfabetico subito prima di lui. Ero presente alla discussione, turbato per l’evento, e sconvolto dalla superficialità dei membri della commissione e del suo presidente, che non tradiva la minima emozione per l’assenza del candidato più illustre e continuava, come avviene ahimè, e io ne so qualcosa, durante e negli intervalli delle sedute, a celiare e ridere irriverentemente.

*

   Oggi voglio umiliarmi contrito davanti ad Anton Bruckner, e chiedergli perdono per averlo  a lungo in gioventù saccentemente disprezzato come un inutile bigotto cattolico, epigono mediocre wagneriano, allineandomi, senza ancora saperlo, sulle posizioni ostili di Brahms e dell’odioso Hanslick, il critico che passò tutta la vita a tentar di distruggere, meschinello, Wagner e i wagneriani, tra i quali l’Austriaco di Ansfelden. La Ottava sinfonia bruckneriana, che ascolto in una versione diretta da Wolfgang Sawallisch, mi prende dal profondo. Non solo in essa sono echi wagneriani, addirittura mi pare di avvertire anticipazioni del miglior Shostakovich. Berlioz, Liszt, Wagner la celebrarono come un capolavoro. Ma nella immensa produzione bruckneriana è posto per tenti altri capolavori. Fra questi il grandioso Te Deum occupa per me un posto di privilegio: la sua solennità, il sentimento del profondo e del sacro che ne emana sono tali da forzare al raccoglimento persino un immanentista irredimibile come. Quando scrissi, al termine del mio ‘Hymnus an das Leben’: “D’umile grazia un inno sempiterno / Fu mia vita. E Sarà. E saprò di morte / stessa fare un Te Deum che nessun Bruckner / seppe intonare. La mia vita bella / e ardita prende slancio / per la mia eternità” ero sincero, ma peccavo di superbia. E la sconterò. 

    Nato nel 1824 (11 anni dopo Wagner), Bruckner come questi muore a 70 anni nel 1894 prendendo anche Lui, così, slancio per la sua Eternità. Ma a ben vedere non ne ha bisogno ché già il tempo, anche attraverso Frau Musika, ha vissuto boezianamente sub specie aeternitatis.nton AntonA

   ____________

    Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musik

 

 

 
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