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No potho reposare. Virginia Raggi. Nicciano e ferrarista? Autunni. Goethe e Baudelaire

Post n°1098 pubblicato il 12 Ottobre 2021 da giuliosforza

1005

Ci fu un’alba, nella mia vita, bella più dell’alba dei tempi, ci fu un’aurora nella mia vita,  più incantata di un’aurora boreale. E una voce, che ne accompagnava l’avanzare, più calda e sensuale di quella che Maria Carta e Andrea Parodi insieme fondevano per uno dei canti d’amore più belli del mondo. La ignoravo. Non ignoravo i tenores e L’Inno sardo (Conservet Deus su re, salvet su regnu sardu) che fino al 1844 fu l’Inno di casa Savoia,  Regno di Sardegna, ed altre toccanti melodie, ma non  No potho reposare. Da quell’alba spesso nei miei sogni, spesso nelle mie veglie, quelle note risuonano dentro di me e mi ristorano l’animo: ché la mia memoria è incredibilmente vigile, la gagliarda memoria ri-creante di cui fan dono gli iddii ai Vegliardi che furono loro più fedeli. Anche ora, quella voce intona dentro di me quella  melodia ed, ecco, me  la ricanto,  solitario come sempre ma non solo, accompagnandomi all’organo nei suoi registri più delicati.

 

No potho reposare, amore ‘e coro                                   

pensende a tie so donzi momentu;

no istes in tristura, prenda 'e oro,

ne in dispiachere o pensamentu.

T'assicuro chi a tie solu bramo

ca t'amo forte t'amo, e t'amo, e t'amo.

 

Si m’esseret possibile d’anghelu,

s'ispiritu invisibile picabo

sas formas e furabo dae chelu

su sole e sos isteddos e formabo

unu mundu bellissimu pro tene,

pro poder dispensare cada bene.

 

No potho biver, no, chena amargura

lontanu dae tene, amadu coro.

A nudda balet sa bella natura

si no est a curtzu su meu tesoro,

e pro mi dare consolu e recreu

coro, diosa amada prus de Deus.

 

T'assicuro chi a tie solu bramo

ca t'amo forte t'amo, e t'amo, e t'amo.

 

   Non posso riposare, amore del mio cuore, ti penso ogni momento, non essere triste, mio gioiello dorato, né dispiaciuta o preoccupata. Ti assicuro di desiderare solo te perché ti amo tanto, ti amo, ti amo.

   Se mi fosse possibile, assumerei le sembianze d'un angelo, spirito invisibile, e ruberei dal cielo il sole e le stelle e creerei un mondo bellissimo per te per poterti disporre d'ogni bene

    Non posso vivere, no, senza amarezza lontano da te, cuore mio amato, la bella natura non vale nulla se il mio tesoro non mi sta accanto a darmi consolazione e riposo cuore mio, dea amata più di Dio.

 

Ti assicuro di desiderare solo te

Perché ti amo tanto ti amo, ti amo, ti amo

*

Vicino casa mia a 'Porta di Roma' è un piccolo spazio che i residenti chiamano piazzetta. Qui dovrebbe essere in corso, mi si dice, un comizietto della ...Vergine, pardon Virginia, Raggi. Ma a chi lo sta facendo? Da una finestra non riesco a scorgere che due cani due, due solitarie bandiere e dei bambini che giocano a pallone. Ho un po' di pena per una Raggi (che, si badi, non mi è affatto antipatica) né radiante né irradiata, solo forse in procinto, sempre possibili inciuci non intervenendo, di esser dal Campidoglio ...radiata.

*   Può un vecchio nicciano essere un vecchio ferrarista? Lo può, lo può. Indomita 'Wille zur Macht'!    Così a commento di un ironico autoscatto pubblicato in rete che in cui mi travesto da ferrarista con polo rossa e cappellino sportivo dello stesso colore firmato Michael Schumacher.

   Pippo annota spiritosamente: Federico, da buon tedesco, tifa Mercedes. Mettici una buona parola tu.

   Caro Pippo, Friedrich in realtà odiava i tedeschi. La sua opera trabocca di improperi contro di essi. Amava dirsi, forse con ragione, discendente di una nobile famiglia polacca protestante di nome Nietzsky obbligata ad emigrare per motivi religiosi, e in tutta la sua opera, ma soprattutto in Al di là del bene e del male, ragiona sull’importanza degli antenati e della stirpe, e perciò del patrimonio genetico, nella determinazione della nostra personalità. E poi amava immensamente l’Italia, che considerava con la Grecia sua patria. E in essa spesso pellegrinava per ritrovare la salute del corpo e dell’anima.

*

   Dopo quanto ho scritto qualche giorno fa, quello che scrivo ora potrà apparire, da queste prime righe, incongruente, contraddittorio, dissonante. Ma che potete aspettarvi da un 'poli', non    semplicemente 'bi-polare' come me; e che posso farci se oggi "E' fosca l'aria, il cielo è muto / ed io sul tacito veron seduto / in solitaria malinconia / ti guardo e lacrimo / Venezia mia"?  Arnoldo Foà Fusinato mi perdoni se faccio concludere i suoi versi con "ti guardo e lacrimo", Anima mia”.

   Per il resto confermo in tutto e per tutto (e già cambio quindi polo) quanto scrissi dell'autunno su un giornale mille anni fa e poi pubblicai in "Studi Variazioni Divagazioni" (Bulzoni 1986):

   “Autunni

   “L’altipiano è un lago di nebbia fitta e pesa che non sale ai miei ‘irti colli’. La finestra della mia bicocca somiglia all’oblò dell’arca di Noè. Una piccola finestra rotonda che a stento contiene la mia testa e le mie spalle. Mi è caro guardare dalla mia finestra la tristezza contenta della prima pioggia autunnale, abbondante e pia. Mi è caro guardare l’autunno e la tristezza degli autunni: gli autunni delle cose, gli autunni degli uomini, gli autunni del cielo, della terra, del mare. Gli autunni della mia anima.

   “Caratteristica degli autunni è una pacata tristezza, che è figlia del tempo, anzi gli è costituzionale: una nudità stanca, che è dentro le cose da quando le cose sono, ma che si rivela solo in certi momenti come gli autunni.

   “Guardo gli autunni della tristezza. Poiché la tristezza, essenza del tempo, delle cose e dell’uomo fatti di tempo, ha le sue stagioni.

   “A primavera essa si addolcisce in sostanza vergine e delicata di fiori, che portano in sé la malinconica coscienza della propria fragilità, di cui si compiacciono come un decadente dell’etisia.

In estate essa rumorosamente si camuffa dietro sfacciate espressioni di vita. Si ubriaca di profumi, di calori e di colori per non vedere, e non sentire, le sue rughe , come cretti profondi.

   “D’inverno gela in dolore autentico e perde coscienza di sé, come si perde coscienza d’un arto congelato. E impazzisce di spasimo ove non riesca completamente a ghiacciare, ove non riesca la sua coscienza ad intorpidire.

   “Ma d’autunno la tristezza è se stessa. Per questo amo l’autunno che guardo dalla mia finestra.

   “L’autunno è la verità di tutte le cose. E’ il volto verace di ogni vita. È la santità trasparente degli esseri che non hanno linguaggi fittizi, che non usano bugiarde convenzioni e non esigono che sian guardati con la compassione di chi sa il gioco e deve sforzarsi, per delicatezza, di non svelarlo.

   “In autunno le cose non si guardano con compassione; o si guardano con quella compassione che è partecipazione. O addirittura le cose non si guardano. Si è, semplicemente, le cose. In autunno le cose, e noi con esse, buttan la maschera. L’autunno è un’orgia di sincerità universale”.

*  

   Ma l’autunno è anche il mese del vino, delle castagne, dei funghi (meglio se porcini) con ‘sagne’ (le  fettuccine senza uovo, solo acqua e farina). Del vino, soprattutto, del cui mosto tornano a profumare le cantine di qualche antico borgo. Forse a ciò pensava Baudelaire quando scriveva in Le Spleen de Paris, ou petits poèmes en prose il suo invito all’ebrezza: Il faut être toujours ivre, che  ha precisi echi goethiani. Aveva di fatti Goethe scritto nell’Westöstlicher Divan (‘Das Schenken Buch’):

   Trunken müssen wir alle sein! / Jugend ist Trunkenheit ohne Wein; / Trinkt sich das Alter wieder zu Jugend, / So ist es wundervolle Tugend. / Für Sorgen sorgt das liebe Leben, / Und Sorgenbrecher sind die Reben. ( Gethe, Divan occidental-oriental, traduit, préfacé et annoté par Henri Lichtenberger, Aubie, Paris 1950)

   Dobbiamo essere tutti ebbri. La giovinezza è una ebbrezza senza vino. La vecchiaia col vino ridiventa giovinezza, è una virtù meravigliosa. A darci preoccupazioni ci pensa la cara vita, a scacciarle ci pensano le viti.

   E Charles Baudelaire così raccoglie, interpreta e sviluppa:

   Énivrez-vous.

   Il faut être toujours ivre. / Tout est là: / c’est l’unique question. / Pour ne pas sentir / l’horrible fardeau du temps / qui brise vos épaules / et vous penche vers la terre, / il faut vous énivrer sans trêve. / Mais de quoi? / De vin, de poésie, ou de vertu, à votre guise. / Mais énivrez-vous. Et si quelquefois, / sur les marches d’un palais, / sur l’herbe verte d’un fossé, dans la solitude morne de votre chambre, / vous vous réveillez, / l’hivresse déja diminuée ou disparue , demandez au vent, / à la vague, / à l’étoile, à l’oiseau, /à l’horloge, / à tout ce qui fuit, / à tout ce qui gémit, / à tout ce qui roule, / à tout ce qui chante, / à tout ce qui parle, / demandez quelle heure il est; / et le vent, / la vague, / l’étoile, / l’oiseau, / l’horloge,  vous rèpondront: / “Il est l’heure de s’énivrer! / Pour n’être pas l’esclave martirisé du Temps, / ènivrez-vous; / énivrez-vous sans cesse! / De vin, de poésie ou de vertu, à votre guise”.

  Ubriacatevi. Bisogna essere sempre ebbri. È tutto qui il problema. Per non sentire l’orribile fardello del tempo che vi spezza le spalle e vi piega a terra bisogna che vi inebriate senza sosta. Ma di che? Di vino, di poesia, di virtù, secondo i vostri gusti. Ma inebriatevi. E se qualche volta sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fossato, nella cupa solitudine della vostra stanza vi risvegliate con l’ebrezza già diminuita o sparita, chiedete al vento, all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che ruota, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, domandate che ora è; e il vento, l’onda, la stella, l’uccello, l’orologio, vi risponderanno: è l’ora di ubriacarvi! Per non essere gli schiavi e i martiri del Tempo, ubriacatevi; ubriacatevi incessantemente! Di vino, di poesia o di virtù, a vostro piacimento.

   Per mia parte, anche quando ancora ignoravo (intendo dire: non ne ero ancora intimo) Goethe e Baudelaire, condivisi sempre il loro invito. Ma non ne avevo bisogno, perché io lo nacqui, ubriaco e drogato, soprattutto di musica e di poésia. E le mie droghe furono i miei interni dèmoni. E se non disdegnai il vino, lo dominai, fino a poter farne del tutto a meno. E, per lo stesso motivo, non ebbi bisogno di altri stimolanti, naturali o di laboratorio. Sì, fui fortunato. E per questo motivo ritengo la lotta contro il concetto in sé di droga, quale è condotta da ogni pulpito da psicologi, preti, ‘educatori’, prima che inefficace stupida, inefficace perché stupida. Chi la conduce è uno s-venturato, un sine  ventura. Senza droga non si vive. La lotta contro il concetto in sé di droga-dèmone, senza il quale lo spirito è acqua stagna che nessun vento, nemmeno di Spirito Santo, riesce ad agitare, è da inetti, prima che  da beceri.

   Trunken mùssen wir alle sein, il faut être toujours ivre, furono dunque e sono i motti della mia Dis-educazione estetica, fondata sui concetti di de-gregazione e di s-regolamento, immillamento, dei sensi interni ed esterni. Con scandalo di molti, soprattutto di quelli che mi misero, onorandomi oltre ogni attesa, all’indice degli autori proibiti.

*

­­­­­­__________________ 

    Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et        absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika!

 

 
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