Dis-incanti

fanciulle in fiore, D'Annunziio e sindaco di pescxra. Lutti musicali. Principe e Maazel


Post 741 Lo spettacolo più bello, per taluni il più sconcio e sacrilego, di questi giorni di festa al borgo: un gruppo di fresche fanciulle in fiore in cortissimi ed aderentissimi hot pants stravaccate nell’ora di Pan a riposare in ordine sparso sulla base lignea del baldacchino azzurro predisposto ad accogliere la “macchina” della Madonna nella sosta della processione, quale col capo poggiato sulle gambe o sul petto l’una dell’altra, quale con la lunga capigliatura  cadente voluttuosamente dai bordi come una cascata di glicini ed edere. Ho subito pensato a Sardanapalo. Ma ho errato: ché non un’orgia erotica il quadro evocava, ma un’orgia di pura bellezza.*  Al nuovo sindaco di Pescara Alessandrini, il figlio, credo, del magistrato ucciso dalle Brigate Rosse, deve aver dato di volta il cervello. Non vuole che Pescara, immagino per nobili motivi di parte politica (di spoyls system) ,  sia più detta ‘Città d’annunziana”.  Altri grandi, dice, ci sono a  Pescara, e cita Flaiano. Ora, con tutto il rispetto per il personaggio,  il paragone fra i due è, per i minimamente alfabetizzati,  non  solo azzardato, è stupido. Chi, nel mondo, degli scrittori italiani è, insieme all’Alighieri, il più letto e studiato? Forse  il figlio del fornaio di Corso Manthoné  reso immortale proprio  da D’Annunzio nelle Novelle della Pescara? Ma nemmeno in Italia il paragone regge, tanto è il divario di popolarità fra i due: vorrei proprio contare quanti sono in Italia i lettori dell’autore di Un marziano a Roma. Cancellare d’Annunzio da Pescara è cancellarla da sé stessa, tutta la nuova Pescara, come l’antica, deve tantissimo al suo genio, alla sua generosità, al suo mecenatismo. D’Annunzio e  Pescara sono tutt’uno. Ancora Egli la reca con sé in ogni angolo del mondo,  ancora egli reca la sua terra, come tutta la terra d’Abruzzo, “alla suola delle sue scarpe, al tacco dei suoi stivali”. I pescaresi, anche i più venduti al mammona politico d’iniquità, non acconsentiranno a tanto scempio, vivamente lo spero. Come socio del “Flaiano Club Mediamuseum. Premi Flaiano”, che ha sede nei locali del vecchio tribunale di Piazza Alessandrini (sì, proprio lui,  il giudice  martire padre del sindaco)  mi rifiuto di credere che i suoi dirigenti possano essere fra gli ispiratori dell’iniziativa del primo cittadino inabitante quel Municipio che reca inciso, nel travertino del balcone prospiciente  il Fiume fatale, Ave vetus Urbis numen, Ave sacrum Vatis flumen.  Così fosse, qui pubblicamente mi dissocio e restituisco la tessera.  * Tre nuovi lutti per Frau Musika. Si sono sciolti nelle cose tre suoi sacerdoti: Carlo Bergonzi, forse il miglior tenore verdiano dei nostri tempi, Giorgio Gaslini (che ebbi modo di conoscere e di apprezzare anche come uomo, convivialmente, in un Convegno perugino negli anni Ottanta), col quale il Jazz entrò da noi nei Conservatori,  Lorin Maazel, direttore d'orchestra, "discusso, geniale e freddo" (Quirino Principe). Ricordarli forse non serve a render loro più lieve la terra, ma di sicuro a ricordare a noi che con la loro arte ci han reso più umani. Solo l'arte umanizza, in un mondo variamente impegnato a disumanizzare. *Nelle varie commemorazioni di Maazel, il direttore francese nato da una famiglia di musicisti ebrei americani, ho rilevato una grande varietà di sfumature interpretative. Che fosse un genio, dopo essere stato un fanciullo prodigio, nessuno nega, ma più di un critico avanza, se non dei dubbi,  dei distinguo. A me personalmente piaceva, senza riserve. Ne ammiravo cultura, leggerezza, souplesse  e  un grande magnetismo che conquistavano. Per questo ho letto con fastidio la commemorazione fattane  da Quirino Principe sul Sole 24 Ore domenicale del 20 Luglio. Principe è un critico assai originale e coltissimo e liberissimo che stimo e di cui ho avuto modo di parlare spesso in queste mie note, ma proprio per ciò non mi va giù quello che ha scritto, che ha tutte le parvenze di una denigrazione piuttosto che di una celebrazione. Temo che Principe avesse con Maazel qualcosa di personale.  Per il piacere del lettore riporto il trafiletto  integralmente. “Come è previsto dalle Norne e tradotto in metafora da Omar Khayyàm, i grandi direttori ultraottantenni stanno cadendo uno dopo l’altro nella scatola del Nulla. Dopo Abbado, questa volta è toccato a Maazel, morto nel pomeriggio di domenica 13 luglio 2014 nella sua tenuta modello di Castleton-Farm, in Virginia. Il Maestro stava seguendo le prove e la preparazione per il suo annuale “Castleton Festival”, quando  una banale malattia invernale, di quelle che azzannano anche i vegliardi, lo ha portato via.  Lorin Varencove Maazel, nato a Neuilly-sur-Seine presso Parigi giovedì 6 marzo 1930, portava un nome e un cognome che da soli irradiavano riflessi di apolide. Era un apolide culturale, non giuridico, un po’ come il romeno-ukraino-moldavo-austro-ungarico Roman Vlad, anche se di Vlad il nostro era assai meno simpatico  e affabile. Certo un apolide di lusso: superdotato, hanno scritto alcuni, e certamente le qualità non gli mancavano, né gli mancavano i lati insopportabili della personalità affabile. Più che non superdotato, noi diremmo: eccezionalmente e forse eccessivamente fortunato. Sappiamo tutti che fu di una intelligenza superiore, di memoria leggendaria, di capacità e talenti a lui concessi dalla Natura in profusione. Ritornato bambino con i suoi negli Stati Uniti, ebbe la chance di correre lungo una liscia e oliata corsia di maestri giusti: i migliori e tagliati sulla sua misura, come Karl Molidrem con cui cominciò a studiare violino a cinque anni di età e il russo Vladimir Bakaleinikoff che lo mise in grado di dirigere un’orchestra a sette anni. Nel 1941 diresse,su invito di Arturo Toscanini, la NBC Symphony Orchestra: sono rimaste famose le parole God bless you pronunciate dal Maestro italiano dopo averlo ascoltato. Nel 1942, dodicenne, diresse il  New York Philharmonic Orchestra. Di ogni sua direzione,  fosse Berlioz o Sibelius, Mozart o Johann Strauss junior, Verdi o Wagner, Mahler o Giulio Viozzi, si finiva per dire:’Perfetta!’. Ma poi, che cosa c’era da aggiungere? Forse, l’eterno volto sprezzante (se non addirittura atteggiato all’odio), l’immutabile corruccio e corrugamento da Sua Maestà offesa, la postura alla Bagnasco. Ci siamo domandati, ascoltandolo direttamente in concerto o all’Opera, tra momenti di delizia freddamente cerebrale e zone adombrate da strati lucenti e lisci di déja vu’, se Maazel, conoscitore di ogni atomo o neutrone o spin del linguaggio musicale, amasse veramente la musica  Quando abbiamo ascoltato e veduto alla Scala la sua opera teatrale 1984, abbiamo risposto al bellissimo spettacolo, a quella musica maazeliana che ci appariva quella sì geniale (geniale, sempre,come musica applicata,come musica-spettacolo, al limite della grandissima musica per il cinema), con un sobbalzo. Che fosse quella la vera strada che avrebbe dovuto seguire? Compositore principalmente e in linea secondaria Kappellmeister? Forse la chiave della risposta è in una scelta esecutiva: Maazel ha diretto molto Mahler, e noi crediamo che Mahler sia stato il compositore meglio diretto dal Maestro franco-ebraico-americano, essendo quello che ha dato maggiori gratificazioni a Maazel in nome della dea Nevrosi. La sfera poetica mahleriana riserva una zona molto ampia alla possibilità che il genio generi empatia, ma non simpatia”.___________ Chàirete Dàimones!