Dis-incanti

Campo dei Fiori, di Milosz. Ode a Bruno (autocelebrazione)


Post 895Non sono andato a Campo dei Fiori per vari motivi, di cui il primo è che gli acciacchi della vecchiezza cominciano a rendermi difficili gli spostamenti in una città caotica come Roma. Il secondo, in realtà  il principale, è che tutte le le manifestazioni di piazza e di massa non mi piacciono, come non sarebbero piaciute allo Scontroso di Nola. Inoltre non amo i ‘liberi pensatori’ dal…pensiero unico ag-gregato, e in tal modo  autorinnegantisi: sono per i ‘pensatori liberi’, anarchici individualisti. Quando con gli studenti realizzavamo le famose (per pochi biliosi famigerate) serate libertine il 17 febbraio, al Campo si faceva gruppo a noi, incuranti del chiasso di bande musicali e di altoparlanti, ci si isolava in un angolo e dopo il veloce omaggio al ’Corrucciato” (ma perché quella tonaca, se l’aveva buttata alle ortiche?), si saliva a gozzovigliare goliardicamente fino all’alba sul Gianicolo e a brindare, da quella storica altura, "sulla Roma addormentata dei necropompi, dei necrofori, dei tafei". Che tempi, amici, in cui con ogni mia energia ero teso a non ridurmi ad un allevatore di cretini! Non sono andato nemmeno, con grande rimpianto, a Nola, dove gli amici del Centro bruniano, prima delle commemorazioni culturale del 17, han festeggiato Bruno, come da anni ormai, con un simposio cultural-gastronomico voluto dall’avv. Paolino Fusco in memoria della  “Cena delle Ceneri", descritta dal Nolano nel dialogo omonimo londinese.  Sono stato presente in ispirito:  ho difatti inviato, perché fosse letta pubblicamente da Rita Alessandra Fusco, esperta d’arte e di Bruno e fine dicitrice, la celebre poesia del Nobel polacco Czeslaw Milosz intitolata Campo dei Fiori, tradotta dall'amico Paolo Statuti, che vive in Polonia, ed è traduttore, poeta, pittore, musicista, come ampiamente testimoniato dalle sua numerose pubblicazioni e dal suo bel blog “Un’anima e tre ali”. La ricondivido oggi anche qui, facendola seguire da quella mia cosuccia neoclassica che fa parte dei Canti di Pan e ritmi del thiaso, di tutt’altro stile, ma forse non del tutto discara al Nolano che in essa compiaciuto si autocelebra.A Roma in Campo de Fiori Ceste di olive e limoni, Selciato con spruzzi di vino E con schegge di fiori. Frutti rosati di mare Ammassati sui banchi, Bracciate d’uva nera Sulle pesche vellutate. Proprio su questa piazza Fu arso Giordano Bruno, Il boia accese il rogo Fra il popolino curioso. E appena il fuoco si spense, La folla tornò a bere, Ceste di olive e limoni Sulle teste dei venditori. Rammentai Campo de Fiori A Varsavia presso la giostra, Una chiara sera d’aprile, Al suono d’una gaia orchestra. La musica soffocava Gli spari dal ghetto, Volavano le coppie Alte nel cielo terso. A tratti il vento alle fiamme Strappava neri aquiloni, E la gente ridendo La fuliggine afferrava. Gonfiava le gonne alle ragazze Quel vento dalle case in fiamme, Scherzavano liete le folle Nella domenica festosa. Si dirà che la morale E’ che a Varsavia o a Roma La gente si diverte, ama Incurante dei martiri sul rogo. Oppure si vedrà la morale Nella fugacità delle cose Umane, nell’oblio che nasce Prima ancora che il fuoco cessi. Io invece pensavo allora A quelli che muoiono soli, Pensavo che quando Giordano Salì su quel patibolo, Non trovò nella lingua umana Nemmeno una parola Per dire addio all’umanità, L’umanità che restava. Già correvano a ubriacarsi, A smerciare bianche asterie, Ceste di olive e limoni Recavan nel gaio brusìo. E lui era già distante, quasi fossero secoli, La sua scomparsa nel fuoco Essi attesero appena. Di questi morenti, soli, Già obliati dal mondo, Anche la lingua ci è estranea, Come lingua d’antico pianeta. Finché tutto sarà leggenda E allora dopo tanti anni Nel nuovo Campo de Fiori Un poeta accenderà la rivolta. (1943, Varsavia) Bruno nolano sono, l’achademico di nessuna achademia. La tristezza è la mia gioia (come in Michelagnolo “la mia allegrezza è la malinconia, e mio conforto son questi disagi”). Vado lottando contro i babbuini  eterocliti , i natural coglioni le bestie tropologiche, i menchioni  morali e contro gli asini anagogici. Un grandissimo nutro desiderio di conoscer costumi nuovi e ingegni e nuove verità, di cognizione per confirmar buon abito, di cosa mi manchi per accorgermi e cercare. Un eroico furore mi possiede di cogliere nel mondo le fattezze di Dio e d’esperire l’infinito dentro il finito e nel particolare l’universale, infine tutto in tutto. Con l’aiuto di Lullo il pane frangere della scienza vorrei per ogni pargolo. In Dio coincidentia oppositorum le contraddizioni del reale risolvo ed intelletto universale lo predico; lo canto un intelletto uno e medesimo che tutto riempie, che l’universo illumina e indirizza la natura a produrre le sue specie sì come si conviene; e dico artefice interno perché forma la materia  e la figura dal di dentro, come da dentro il seme e da radice manda esplica il stipe e il stipe poi da dentro i rami caccia. Mens insita omnibus predico Iddio e Mens super omnia (questo residuo di trascendentismo solo forse non è contraddizione  o un modo d’aggirar l’Inquisizione) e non posso non predicar l’Effetto della stessa natura della Causa e dire il mondo eterno ed infinito (aguzza i ferri padre Bellarmino!). Predico l’eternal vicissitudine delle cose, e sull’alta sua coscienza la qual di dominarla mi consente atteggio la mia azione e moralmente m’elevo. In tale consapevolezza sono tranquillità e serenità, è trionfo della vita sulla morte. Pel gioco della saggia Provvidenza ogni minuzzaria si ricompone nella Ragione dell’Uno-Ente-Vero. E si fonda Ragione su Natura (Natura che non è ribalderia) Fortuna su Natura indi Virtù su la Fortuna che Virtù sollecita. Delle segrete cause delle cose sono curioso ed a nimio sciendi desiderio non quiesco. Odio chi dice: “Che vi val, curiosi, di studiare voler sapere quel che fa la natura, se gli astri son pur terra, fuoco e mare? La santa asinità di ciò non cura; ma con man gionte e in ginocchion vuol stare aspettando da Dio la sua ventura”. L’anima “di colui che tutto muove per l’universo penetra e risplende in una parte più e meno altrove”. Così “spiritus domini replevit orbem terrarum” … così “intus alit totoque se”, ut ait Vergilius, “corpore miscet”. Sono così con me d’accordo il Saggio antico, Dante, il Mantovano -anima ho scritto io là dove gloria il Fiorentino scrive; ma che vale la differenza?- E più risplende, è chiaro, nell’uomo che simìle ad Atteone va a caccia di divino per le selve, i piani, le montagne, le convalli, lancia i suoi cani (i suoi pensieri) dietro la deità pudica (o solo sadica) che accende la passione, va ostentando le sue divine forme e poi sparisce  per le intricate redole del tempo- Atteone che i cani infine sbranano avendo in lui riconosciuto il dio ch’egli fuori di sé cercando va. Oh raptamento atteonico, oh furore eroico dell’attimo in cui il limite dilegua e l’infinito dilagando per i meandri della finitudine li colma e la coscienza solitaria affoga dentro al pelagos polý dell’Uno-Ente-Buono-Bello-Vero! Bruno nolano sono, nelle tenebre dell’ignoranza brillo come un faro di sapïenza ed ardo come un astro nel firmamento. Il vento le mie ceneri oltre il campo disperse per le vie per le piazze pei fori per le ville per i colli e dai colli alla campagna triste e possente e tenera del Lazio (“Forza del Lazio quanto sei soave! come scrive Gabriele a me sì caro!) dalla campagna al mare. Chi me cerca chieda alle notti illuni e alle tormente chieda alle albe e ai tramonti, chieda ai fiori chieda agli alberi, interroghi gli uccelli. Sono la brezza che spira dal mare, sono la folgore che spezza il cielo da Gianicolo a Celio, son la voce dei venti che si schiantano tra cupola e cupola ed in vortice sul colle che Vaticano ha nome imperversando i sonni fanno inquieti al Pescatore. Sono Bruno nolano, son la voce che invoca l’essere, sono la voce dell’essere che provvido risponde. Sono Bruno nolano, sono il Cristo della novella età che i nuovi Caifa arsero al Campo in un rigido giorno e nubilo d’inverno. Ma nel cielo, chiaro ai confini d’orizzonte, già s’apprestava a danzare Primavera.__________________Chàirete Dàimones!Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)