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Consuntivi. Filemone e Bauci. Naufragio al Giglio nel 1858 (Gregorovius)

Post n°766 pubblicato il 08 Maggio 2014 da giuliosforza

Post 724

Mi si riaffaccia il crudele dubbio, in questa mia età di consuntivi, ch’io sia stato davvero, come vogliono i miei critici, un guitto, un ciarlatano, un cialtrone, tutta apparenza nulla sostanza; ch’io abbia molto detto e nulla fatto, che sia stato divorato da un immotivato orgoglio luciferino etc. etc.

Rimuovo il dubbio . Son contento di quel che sono e di quel che fui. Per quel che sono e per quel che fui urlai, per me e per tutti, alla Vita il mio canto, non mi persi in querule lagnanze, non m’arresi al demone della gravità, e danzai. Ed il mio orgoglio luciferino, virtù e non vizio, mi consenti di irridere  alle viltà dei rinuncianti.

Ben altre furono le mie colpe. Dovrete attendere la  valle di Josaphat per conoscerle.

 

* 

Sindromi di infrollimento cerebrale. Ali dell’imbecillità sul mio capo. Fossi almeno Friedrich. Fossi almeno Charles.

 

*

Tra le giovanili pregevoli esercitazioni pittoriche di una mia conoscente, è una tela di grandi dimensioni rappresentante una coppia di vegliardi, ripresi di spalle e vestiti in fogge ottocentesche, che insieme percorrono, tenendosi per mano, entro un romantico scenario autunnale di una località a me ben nota, una strada in salita cui fa da sfondo una montagna brulla. Sono nel dipinto una tale serenità ed una tale pace, che  sempre l’ho pensato come una reinterpretazione del delicato mito ovidiano di Filemone e Bauci che nella loro povera e solitaria capanna sui monti attendono in pace di finire insieme i loro giorni (ché  tale era stata la semplice richiesta da essi rivolta a Zeus e ad Hermes allorché i due olimpici, travestiti da poveri  peregrinanti per le strade  di  Frigia alla ricerca di un sol uomo buono, e dai due innamorati  generosamente accolti,  avevano loro promesso, come premio per l’ospitalità, l’esaudimento di ogni desiderio).

Ho sempre sognato un tramonto simile a quello di Filemone e Bauci, ma non mi è stato concesso. A quale Zeus, a quale Hermes travestiti ho sbattuto la porta in faccia? O morire soli s’addice a chi ha troppo spesso sprezzantemente condiviso il motto stoico riportato da Seneca e ripreso da Nietzsche: pauci mihi satis, unus mihi satis, nullus mihi satis?

 

Il sole si tuffa in un mare di rosa dietro i monti albani.

Su con la vita, vegliardo!

    

*

Naufragio all’isola del Giglio.

Nel precedente post promisi di riferire di un disastro navale, avvenuto nelle acque del Giglio, narrato da Ferdinand Gregorovius. In esso protagonisti furono due battelli e non, come in quello recente della Concordia,  una nave ed uno scoglio nascosto. Ma se la causa dell’errata manovra fosse la stessa, il cerimoniale dell’inchino? Nulla di più probabile.

 

«Roma, 3 ottobre 1858

Il 28 settembre mi recai a Livorno ( di ritorno da Firenze, nota mia); il mio accompagnatore era il corso Ventura. Mi condusse in casa della corsa Verico, dove alloggiai benissimo. Il 29 mi imbarcai la sera alle cinque sul vapore ad elica Hermus della Messagerie Française a Civitavecchia. Il mare era calmo, il cielo sereno, v’era ancora una mezza luna e lo splendido fenomeno della cometa Donati nel cielo nordico. Dopo le dieci, quando il ponte si vuotò dei passeggeri, prestai ancora l’orecchio al racconto di un napoletano che parlava dello scontro  fra la ‘Hercolanum’  e la ‘Sicilia’, dell’annegare dei passeggeri e della sua propria salvezza. Una mezz’ora più tardi fui svegliato da un rumore terribile, come un colpo di fulmine. Precipitandomi sul ponte vidi una grande nave al nostro fianco. L’ ‘Hermus’ aveva arpionato l’ ‘Aventino’, una nave della stessa compagnia. La scena era indescrivibile. Non sapevamo quale nave stesse per affondare -poi affondò l’ ‘ventino. Il vasto bastimento era stato spaccato in due, la prora era già sommersa dalle onde. Passeggeri ed equipaggio, spagnoli, greci, francesi tedeschi, russi, italiani si precipitarono nella nostra nave utilizzando ponti velocemente sistemati. In sei minuti tutto era passato. L’ ‘Aventino’ alla fine si rovesciò, il suo fumaiolo espulse lingue di fuoco, lanciò un ultimo urlo e con uno scoppio di tuono il bastimento affondò nella profondità del mare. Questo spettacolo indimenticabile mi sconvolse terribilmente, ma non sentii paura mortale. Un cappuccino milanese mi descrisse con l’umorismo della disperazione la sua salvezza, mostrandomi mentre rideva la sua borsa di pelle nella quale aveva tenuto al riparo quattro brandelli di vecchie prediche. Mentre fuggiva aveva ancora dato l’assoluzione ad un sacerdote tenuto prigioniero da una trave. Un professore di medicina di Berlino, giusto scappato alla morte, sembrava rimanere male perché non conoscevo il suo nome. Si vantava molto di un tema di concorso che egli aveva risolto, parlava con condiscendenza di Humboldt, diceva dell’uomo che era un dio e che i pianeti erano cose morte, ecc. Provvidi il semidio di un paio di calze: Quest’uomo non aveva salvato niente; tutte le sue collezioni fatte in Sicilia giacevano in fondo al mare. L’incidente ebbe luogo nei pressi dell’isola del Giglio verso le undici di sera. La nostra nave era molto danneggiata. Tornammo a Livorno alle sei del mattino. Lì vidi il vapore ‘Pompei’, in partenza per Napoli, e sembrava che Euforione mi facesse segno di imbarcarmi su questo mezzo senza preoccupazioni.

Il corso Ventura venne a bordo. Presi posto sul ‘Pompei’ e partii alle cinque del pomeriggio, il 30 settembre. La notte era coperta. Sulla nave si trovava lo scultore Gibson, che tornava dall’Inghilterra. Giungemmo a Civitavecchia soltanto alle nove di mattina. A mezzogiorno partii per Roma e vi arrivai alle dieci di sera., il 1° ottobre. Trovai qui, morto, il vecchio ed originale scultore Wagner. Ha lasciato la sua fortuna (furono trovate grandi somme di denaro di denaro liquido, nascoste in varie casse ed angoli) alla sua città natia di Würzburg. Stranamente egli espresse il desiderio, durante la sua malattia, che io scrivessi la sua biografia. Anche i cinici sono vanitosi».

 

La traduzione di Edita T. Imperatori non eccelle per qualità letteraria, ma il verismo della scena non ne resta compromesso. Come non ne restano compromessi l’arguzia e il distacco dell’autore, che non vengono meno nemmeno in cotanto frangente.

In quanto all’Euforione chiamato in ballo, è inutile ricordare che si tratta del mitico personaggio aereo figlio degli amori di Elena ed Achille, soggetto di un suo poema, oltre che figura centrale del Faust goethiano.

 

 

--------

 

Chàirete Dàimones!

 

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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