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Charles Péguy

Post n°959 pubblicato il 14 Agosto 2017 da giuliosforza

Post 879

*

 

    Alba al Frainile. "Comme de longs échos qui de loin se confondent / les parfums les couleurs et les sons se répondent" (Ch. B.)

 

*

    Non so a quanti dei miei lettori possa  interessare Charles Péguy. Per me rappresenta una delle più belle figure della Francia a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo. Lo frequentai soprattutto come poeta, ma ora lo riscopro saggista di vaglia (probabilmente lessi in gioventù Notre jeunesse, ma non ne ho precisa memoria). Ed ora che avevo deciso, in queste affocate vacanze, di vacare anche dal pensare, eccomi proditoriamente piombare addosso l’ebreo “laico” di origine polacca Alain Finkelkraut, accademico di Francia e professore di Cultura generale e Storia delle idee all’École polytéchnique, col suo studio L’incontemporaneo. Péguy, lettore del mondo moderno (Lindau, Torino 2012, pp157) che, con lo scopo di recuperare l’Autore francese alla cultura libertaria contro tutti i fraintendimenti, ideologici e strumentali, della sua vita e del suo pensiero, obbliga ad un rilettura critica di tutti i personaggi  implicati nella vicenda, deyfusardi ed antidréyfisardi, progressisti e reazionari, socialisti e conservatori, filosofi e letterati, tutto il fior fiore della vita culturale dell’epoca, dai Taine, i Michelet, i Bergson, i Bernanos, gli Zola, le Arendt, gli Husserl ai Maurras, i Jauress, i Benda, i Renan, i Lazare....e quant’altri mai.  Gli anni della vita di P. furono tra i più difficili di tutta la storia di Francia, faticosamente  impegnata nel riprendersi dall’umiliante disastro di Sédan e travagliata dalla bagarre ideologica generatasi intorno all’Affaire Dreyfuss che per anni divise l’opinione pubblica risollevando non solo la questione ebraica ma alimentando un dibattito acceso su ogni tema ad essa collegato, economico, politico, sociologico, storico, estetico, religioso.

   

“Perché Péguy oggi?’, si domanda l’autore. “Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, ‘morto sul campo dell’onore’ un secolo fa nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkelkraut come un ‘profeta disperato’ del malessere spirituale moderno. Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all’orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure la sua riflessione sulla modernità – sulle implicazioni dell’affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia – è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo” (dalla nota editoriale).

«Impossibile essere moderni», scrive a sua volta Finkelkraut, «vale a dire lasciar fare al tempo. La guerra infligge alla religione del progresso un’impietosa sconfessione. Essa mostra a Péguy che tutto si muove senza che nulla cambi, che le scoperte si susseguono e le invenzioni si accumulano, ma la storia balbetta, che allo sviluppo sfolgorante della tecnica fa da contraltare il mantenimento opprimente dell’orrore: Bisogna dunque concludere che la barbarie non è la preistoria dell’umanità, ma l’ombra fedele che accompagna ciascuno dei suoi passi. Quando il nostro mondo, per il fatto stesso di dirsi moderno, afferma che dopo è sempre meglio che prima, generalizza il modello cumulativo delle scienze e delle tecniche estendendolo abusivamente a tutti i settori dell’esistenza”.

   

E Péguy: «A questo gioco oggi è giunta l’umanità, un mondo di barbari, di bruti, di villani; più che una panidiozia, più che la temibile panidiozia annunciata, più che la temibile panidiozia constatata, una panvillania senza limiti; (…) un mondo che non solo scherza, ma che non sa far altro che scherzare, che fa ogni genere di scherzi e si prende gioco di tutto».

   

    Fra le citazioni  di Finkelkraut trovano spazio anche due brani nicciani, uno tratto dall’Anticristo, l’altro da Al di là del bene e del male, che possono essere letti come ‘terribili obiezioni’ a Péguy. Ma così, naturalmente, non è, Nietzsche è l’altro spirito antimoderno di cui continua a farsi brandelli da quanti, spirti deboli, sono spaventati dalla verità tragica dei suoi paradossi. Le citazioni qui riportate sembrano scritte stamane:

«La conclusione di tutti gli idioti, che una causa per la quale taluno affronta la morte (o che, come quella del primo cristianesimo, genera addirittura bramosia di morte in forma epidemica), abbia un valore – questa conclusione è diventata una remora enorme all’indagine, allo spirito di indagine e di cautela (…). I martiri recarono danno alla verità. Ancora oggi basta un’asprezza della persecuzione per dare un nome rispettabile a un settarismo in sé ancora insignificante». E l’altra, che sconcerterà quanti, non avvezzi alle imprevedibili provocazioni (e alle benedette contraddizioni) del Folle di Röcken, contrabbandato dai grossi come antisemita (sol per aver avuto un cognato invasato ed una sorella di lui degna) e protonazista, con la quale, riferendosi alla febbre nazionalista che cominciava a infiammare l’Europa, la definì “crisi di ristupidimento”.

    Dopo aver riletto il saggio di Finkelkraut ho ancor meglio capito perché Péguy tanto piacesse al mio venerato e poi hegelianamente ‘superato’, mai rinnegato, ‘maestro’ Gabriel Marcel (al cui pensiero dedicai la mia tesi di laurea, poi pubblicata col titolo Metaproblematico e Pedagogia. Motivi pedagogici marceliani). Con Schelling fra i Romantici, Heidegger e Jaspers fra i così detti esistenzialisti (tra i quali Marcel stesso viene, contro la sua volontà, annoverato, preferendo egli dirsi un ‘socratico cristiano’) Péguy fu l’autore da Marcel più frequentato, condividendone l’antiscientismo precritico, colpevole di quel ‘trauma ontologico’ di cui è vittima il deluso adepto della religione positivistica, il concetto di ‘trascendenza, o Mistero, incarnata’, di Io assoluto, di lotta allo spirito di oggettivazione, di comunione ontologica e di molti altri che pari pari in ambedue si ritrovano.

     Se Finkelkraut sia molto o poco riuscito a recuperare ad una sinistra critica, ad un progressismo illuminato, Charles Péguy, non saprei. Ma una cosa è certa: l’aver riportato l’attenzione su di lui in epoca di Europa in crisi di identità, e averlo fatto con tanta sapienza e tanta passione, è aver fatto a tale Europa un enorme, impagabile servizio.

     

__________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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