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Frau Musika. Pedemonte. Promeneur solitaire. Voici venir la nuit. Corbière

Post n°980 pubblicato il 29 Marzo 2018 da giuliosforza

 

Post 900

Quanto io abbia amato Frau Musika, la donna che mai ho tradito e da cui non sono stato mai tradito, tutti sanno. Come ad essa, particolarmente nella sua dimensione sinfonica e da camera, da Beeth in poi al suo culmine Wagner (nel quale la voce è strumento tra strumenti, con essi dialoga senza prevaricazioni e  privilegi,  per cui anche l’Opera è in realtà tutta una  lunga sinfonia) ed ai suoi epigoni, abbia dedicato tutti i miei pensieri di uomo e le mie riflessioni di teorico del fatto estetico in generale e di quello poetico e musicale in particolare (Ut pictura poesis, ut pictura et poesis musica, ut pictura et poesis et musica chorea), tutti sanno. Ma non tutti sanno che di essa io mi sono nutrito come del pane quotidiano, dentro e fuori casa, per tutta la vita. Ed ora che la vecchiezza non mi consente che rarissimamente di recarmi a venerarla nei suoi santuari, in questo tempo della grande Attesa la mia casa stessa ho trasformato in suo santuario. Tutto il giorno il mio stereo è sintonizzato sul quinto canale Rai Classica, ch’io sia presente o assente, che riposi o che vegli, intento alle faccende domestiche, alla lettura o alla scrittura. Desidero che le pareti della mia casa e tutto quanto in essa contenuto se ne impregnino, e ne traspirino, e ne risuonino anche quando avrò cambiato dimora, disciolto nelle cose o proiettato nell’Urklang di un universo allietato dai concerti delle schiere angeliche. Questo il mio desiderio, questa la mia speranza. E che un misericordioso Iddio li esaudisca.   

 

*

Leggo con piacere che una stele a ricordo del maestro Giacomo Pedemonte, a mezzo secolo dalla scomparsa, è stata scoperta nella chiesa di Sant'Ambrogio, o del Gesù, di piazza Matteotti a Genova, dove l'insigne musicista, nativo di Pontedecimo e al quale Genova ha intitolato una strada a Sampierdarena, fu apprezzato organista per oltre 52 anni. La stele, opera di Andrea Dagnino, è stata offerta dagli ex allievi Eugenio e Rossana Albertoni e riporta le parole di apprezzamento a Pedemonte da parte del cardinale Siri. 
Dopo che con Clemente Pagliassotti, primo violino al Santa Cecilia di Roma, e Pegreffi (il padre di Elisa, secondo violino del famosissimo Quartetto italiano e violinista egli stesso al Carlo Felice) ebbi la fortuna di studiare con lui armonia e contrappunto negli anni Cinquanta. L’avevo conosciuto un 8 Dicembre di non ricordo quale anno nella basilica dell’Immacolata in Via Assarotti ad un concerto al Grande organo a quattro tastiere: suonava una fuga di Bach (mi par la notissima in re minore) ed un pezzo per sola pedaliera, un pezzo di bravura non ricordo di chi ch’era miracolo ch’egli, minuto com’era, potesse eseguire. Ma lo fece, e magnificamente lo fece. Da quel giorno ci frequentammo, non mancai a un sola delle sue esibizioni, ma quando gli chiesi che mi desse lezioni fu titubante: conoscendomi sapeva quanto io fossi disordinato, capriccioso e restio a stare alle regole. 

G. Pedemonte aveva studiato al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano diplomandosi in pianoforte e organo, e dal 1922 tenne la cattedra d'organo nel Liceo Paganini; scrisse molte e apprezzate pagine per organo e opere vocali. Una di queste, inedita, è in mio possesso: un inno religioso di squisita fattezza, semplice e complesso insieme, capace di coniugare con estrema eleganza classicità e modernità.

Giacomo Pedemonte: un’altra grande figura che mi piacerebbe ritrovare in uno dei paradisi che sogno, settore Artisti, dove vivono la loro vita eterna i pochi uomini superiori della cui sensibilità e del cui pensiero è, stando a Gabri, rappresentazione il mondo e che ebbero come unico ufficio la celebrazione e la difesa della bellezza.

 

*

 

Da Aristotele, Montaigne, Rousseau, Beethoven, Baudelaire, Nietzsche, Walter Benjamin ho appreso a pensare passeggiando. Anche in quest’alba il Parco delle Sabine, trasformato in un immenso tappeto giallo dalla finalmente risorgente Persefone, m’avrà  pensoso promeneur solitaire, o svagato flȃneur.  Lo spirito di Jean-jacques particolarmente, che da troppo tempo trascuro, mi sia di compagnia, e con lui Michel, Ludwig, Charles, Fritz, Walter. Lo Stagirita, che non mi è particolarmente amico, può anche non scomodarsi. Il Mistero della Vita che da sotto le zolle riesplode a colorare il mondo, e che anche nelle mie membra  torpide penetrando, e aprendosi faticosamente la strada per i meandri delle vene semioccluse, attinge cuore e cervello, avrebbe bisogno di ben altro cantore. Ma ecco io me ne lascio avvolgere, e lo respiro a pieni polmoni, incurante dei legnosi scheletrici runners (così “barbaramente” amano dirsi) tutti intenti al calcolo dei battiti cardiaci e delle calorie consumate,  solo attento ai bambini (da cui, fiori tra i fiori, il Mistero della Natura  rinnovantesi più traspira) che si rincorrono o rincorrono merli e cornacchie, non avendo più gentili volatili non ancora trasmigranti a disposizione. E intono col Francofortese il canto della Primavera e con lui ne godo l’incanto.

Wie herrlich leuchtet / Mir die Natur! / Wie glänzt die Sonne! / Wie Lacht die Flur!

Es dringen Blüten / Aus jedem Zweig, / Und tausend Stimmen / Aus dem Gesträuch.

Und Freud und Wonne / Aus jeder Brust. / O Erd’, o Sonne! / O Glück, o Lust.

…………………

Come magnificamente risplende per me la Natura! Come brilla il Sole/ Come tutta la vegetazione sorride! Spuntano fiori da ogni ramo e mille voci da ogni cespuglio. E gioia e incanto da ogni petto.  O Terra, o Sole, O felicità, o Volutta!

*

E’ questo, decisamente, un pomeriggio di gaudiose, e malinconiche, nostalgie. Ho appena terminato di scrivere di Pedemonte che alla radio ascolto due melodie valdostane struggenti: Voici venir la nuit (elaborazione per quattro voci di Arturo Benedetti Michelangeli) e Montagnes  valdôtaines, dal 2012 inno regionale ufficiale. Nostalgie perché? Non solo perché le ascoltai e le cantai già negli anni adolescenziali, ma perché, nella mia elaborazione per quattro voci dispari, furono due dei pezzi non dico forti, ma sicuramente d’effetto, del mio Coro Metanoesi ai suoi primordi. Un buon motivo per tentare di riunire i frammenti del gruppo e trascorrere una intera giornata di rievocazioni, magari al caldo del caminetto, attorno ad una polenta fumante (una delle mie specialità, polenta alla salsiccia di fegato stagionata) nella mia casetta di montagna. Ragazzi, preparatevi e ripassate. Eccovi i testi. Ne troverete facilmente lo spartito in rete.

1)

Voici venir la nuit là-haut sur la montagne / et le soleil s’enfuit à travers la campagne. / et l’on entend / le montagnard / chanter dans la prairie / le doux refrain d’amour / qui charme mon amie / et tralala…

Voici la fin du jour et les jeunes bergères / pensent à leurs amours en disant leurs prières. / Et l’on entend….

La cloche du hameau résonne en distance / le son du chalumeau nous invite à la danse. / Et l’on entend…

2)

Montagnes valdôtaines vous êtes mes amours, / hameaux, clochers, fontaines, vous me plairez toujours. / /Rien n’est di beau que ma patrie / rien n’est si doux que mon amie. / Ȏ montagnards, ô montagnards, / chantez en cheur / chantez en choeur / de mon pays de mon pays / la paix et le bonheur./ Halte-là halte-là halte-là / les montagnards les montagnards / halte-là halte-là halte-là / les montagnards sont là / les montagnards les montagnards / sont là.

*

Ho studiato teologia, ma non sono un teologo, ho studiato e scritto di filosofia ma non sono un filosofo, ho studiato e scritto di musica, ma non sono un musicista, ho studiato e scritto di poesia e ne ho io stesso prodotto, ma non sono un poeta. Che dunque sono? Sarebbe troppo semplice rispondere: un dilettante d’ingegno che gode a raccoglier come Matelda fior da fiore, o un cialtrone della cultura curioso di tutto ma incapace di andare a fondo di nulla. Troppo facile e troppo semplice. Innamorato (antistoricamente?) dell’uomo totale, che dissi Ganzmensch in ossequio a i miei padri spirituali di Turingia, coi francesi i più diletti, pensai non potersi più concepire, con buona pace di Platone e di Goethe, l’uomo-parte, l’uomo di un sol mestiere, il Teilmensch, o il rousseauiano homme fractionnaire, nell’epoca dell’alienazione, dell’ansia asfittica dell’Homo faber tecnologico, che ha visto fallire l’ideale ambizioso del così detto umanesimo del lavoro (contraddizione in termini, ché se il lavoro si umanizza cessa di essere lavoro e si fa ludus), riducendosi ad arida appendice  della macchina programmatica che qual truce Cerbero graffia gli spirti, ed iscoia e disquatra (Inferno, VI, 18); nell’epoca della heideggeriana denkende Dichtung, del pensiero poetante, della poesia pensante. Ma non mi voglio prendere troppo sul serio. E diletto il lettore con una citazione di Tristan Corbière (uno dei poètes maudits raccontati da Verlaine), autore di un sono libro, ma che libro!, dissacratore: Les Amours jaunes, Gli Amori gialli, che tutte le librerie mi danno per fuori catalogo e che perciò posso citare solo nella traduzione italiana di Giuseppe Montesano, l’autore di quel tomo di 2000 pagine uscito da Giunti, e di cui tempo addietro dissi su questo Diario, dal titolo Lettori selvaggi. In questi versi-non versi che riporto, il poeta-non poeta del dolcefarniente, l’unico tra i maudits che con Isidore Ducasse conte Lautréamont poté permetterselo, spinge i suoi paradossi (sotto i cui colpi di “metronomo impazzito…si spezzava la logica della Poesia: rotta e  fratturata da trattini usati ossessivamente come segnali di interpunzione; rintronata da assordanti e pre-céliniani punti esclamativi che suonavano come bacchette metalliche su una smisurata percussione; interrotta da traits-d’union che formavano parole per devastare i significati univoci: «falso-fiore», «farfalla-papavero», «Venere-Cotone»; scucita da punti sospensivi che sgretolavano metrica e ritmo in salti logici, e mandavano in tilt la sintassi… (in Montesano, ivi p. 971) fino a irridersi, con effetti logici e comici sorprendenti, e a irridere il lettore, in questo caso me, appena reduce dall’essermi posto la domanda: chi sono?, e dall’essermi risposto in modo artificioso. La vera risposta fosse  nei cinque tetrastici degli Amours jaunes che seguono?:

Don Giovanni d’ideale, - senza idea; / Ricca rima, e – mai rimata; / Senza essere stato, - ritornato; / Ritrovandosi dovunque perduto.

Poeta, a dispetto dei suoi versi ; / Artista senz’arte, - a rovescio, / Filosofo, - a casaccio.

Un buffone serio, - per niente buffo. / Attore, non seppe il suo ruolo; / pittore: suonava la musette; / e musicista: - con la tavolozza.

Una testa! – ma senza testa: / Troppo folle per saper essere idiota; / Prendendo per un motto di spirito la parola issimo; / -i suoi versi falsi furono i soli veri.

Fu un vero poeta: non sapeva cantare. / Morto, amava la luce e disprezzò il lamento. / Pittore: amava la sua arte – Dimenticò di dipingere… / Vedeva troppo – E vedere è un accecamento ( in Montesano, ivi, pp. 973-974)  

_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 




 

 

 

 

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Chàirete Dàimones!

Laudati  sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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