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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Musica di Nietzsche e in Nietzsche. E' Primavera? "En saignant on devient enseignant...

Post n°1004 pubblicato il 27 Aprile 2019 da giuliosforza

Post 925

Sono a buon punto nella revisione del blog in vista di una sua eventuale pubblicazione in versione cartacea e/o in ebook. Circa i tre quarti della lunga operazione è ormai compiuta, ma sono molti i dubbi che mi porto dietro: limitarmi alla correzione dei refusi ortografici o lasciare il diario alla sua spontaneità senza  intervenire sulle esuberanze, le ripetizioni, le sciattezze, o le ricercatezze, stilistiche, l’abuso delle citazioni ecc? Decido per la seconda opzione. E’ la  più comoda ma anche, per la natura stessa di un diario, la più ovvia. Come, diversamente, si divertirebbe l’eventuale lettore?

   Revisionando mi imbatto nel post 681 che dice della musica in Nietzsche e di Nietzsche, delle sue composizioni e della funzione fondamentale che egli alla musica conferisce, sopperire alle carenze della scienza nel suo approccio alla realtà; una posizione molto prossima  a quella di Gabriel Marcel, l’altro filosofo nel blog citatissimo, sul quale mi laureai, che alla musica affida il compito vanamente tentato dalla religione e dalla scienza di attingere l’essenza stessa del reale. Ripropongo qui quel post, che oltretutto mi ricorda l’epoca forse più interessante e vivace della mia attività didattica e di ricerca.  

  

   “Così suonò Zarathustra, grazie a Savinio”.

   E’ il titolo di un servizio giornalistico di Marco Guidi sul “Il Messaggero” del 3 - XII - 92, che trovo in un ritaglio tra le pagine consunte del mio adelphiano Ditirambi di Dioniso e poesie postume, che sto per l’ennesinma volta risfogliando in preparazione del prossimo corso accademico che dedicherò al tema “L’educazione dopo Friedrich Nietzsche. Ag-gregazione e de-gregazione”.

   Andrea Francesco Alberto de Chirico, in arte Alberto Savinio, fratello di Giorgio, è uno degli uomini più complessi del Novecento, certo uomo ed artista “totale”, direi rinascimentale, più del celeberrimo fratello. L’ideale tardo goethiano del Teilmensch non lo tocca. Scrittore, pittore, compositore porta nella sua arte quanto d’orfico e di simbolico rinviene in fondo alla sua anima, formatasi certo fra le mille esperienze di un perenne vagabondare, ma traspirante le atmosfere elleniche respirate negli anni della formazione (era nato ad Atene nel 1991 e vi era rimasto fino al 1905). Purtroppo di lui ho letto solo Dico a te, Clio, un trasognato resoconto di viaggio in Etruria e in Abruzzo del 1939, e totalmente ignota m’è la produzione musicale. Diplomato in pianoforte e composizione a pieni voti nel capoluogo ellenico, non compose moltissimo in vita ma, a differenza del suo Nietzsche, non smise mai di comporre: l’opera radiofonica Cristoforo Colombo e Serenata per pianoforte sono del 1952, l’anno stesso della morte. So che molti critici supponenti e saccenti, soprattutto nostrani, storcono il naso di fronte alla sua musica, come di fronte a quella nicciana (il folle di Röcken ha almeno l’attenuante del totale autodidattismo, dicono), il che mi rende ancor più curioso di conoscerla, sicuro di trovarvi molto di buono. Ma di ciò un’altra volta. Ora mi piace riprodurre nella sua interezza, per i miei amici nicciani e non, il pezzo giornalistico di Guidi, dove fra l’altro si afferma che “a Ferrara le sue composizioni (di Nietzsche) saranno finalmente eseguite”. Il Guidi non sa che l’anno prima, un ignoto professorino di una Università romana, in occasione di un convegno internazionale dedicato alla Metantropologia, alla Metanoesi  ed alla Metapedagogia che ne consegue, aveva già fatto cantare vari Lieder del Filosofo da Claudia Toti Lombardozzi accompagnata al pianoforte da Luca Palazzolo, e che nella stessa occasione Marco Lo Muscio, oggi organista e compositore di fama internazionale, aveva interpretato al piano il complesso Ermanarisch. Symphonische Dichtung, nella sua versione a due mani.

  

   “La musica delle idee“

   Così suonò Zarathustra, grazie ad Alberto Savinio. E la città non poteva essere che quella degli Este e della Metafisica. Che Friedrich Nietzsche avesse composto musica lo sapevano in tanti, che questa musica fosse eseguibile erano in meno a crederlo.

   Per fare un concerto di musiche del padre della Volontà di potenza ci voleva Emanuele Zanella, laureato al Dams, specializzato in regia lirica, una lunga esperienza divisa tra teatro, lirica e cine-tv.

«Leggevo Savinio - spiega Zanella – e mi colpì molto la sua affermazione che  definiva Nietzsche uno dei più grandi lirici esistenti. Cominciai a leggere Nietzsche e scoprii la sua passione per la musica. Per lui la musica era stata ciò che per Platone fu la poesia. Cioè la prima ispirazione, poi abbandonata per seguire il cammino della filosofia. Un’ispirazione davvero profonda, se si considera che, ormai sprofondato negli abissi della follia, Nietzsche riusciva ancora a suonare a memoria al piano l’opera 31 di Beethoven, il musicista che egli amava di più».

   Da queste riflessioni, da queste curiosità nasce questo après-midi d’un filosofo musicista (…). Un avvenimento eccezionale anche per come è stato costruito. Si apre con un intervento di una star della filosofia, che è anche un profondo studioso di Nietzsche: Massimo Cacciari. Il filosofo veneziano ha una sua tesi sul fatto che le opere musicali di Nietzsche siano tutte incompiute*. Per Cacciari si trattò semplicemente di una carenza tecnica. Emanuele Zanella pensa invece a una volontà romantica che lo faceva rifuggire dalla sistematicità, dal compiuto.

   Dopo Cacciari sarà la volta di Thomas Walker, docente a Princeton e all’Ateneo ferrarese, che esaminerà brevemente la forma del Lied, che fu la forma di composizione preferita dal Nietzsche musicista.

   Poi lo spettacolo vero e proprio. Tredici brani musicali, quasi tutti Lieder, intervallati da letture significative: aforismi tratti da un’opera fondamentale del filosofo tedesco, Umano, troppo umano. Aforismi dedicati a tre argomenti tipicamente nietzscheiani: la incapacità della scienza di fornire la conoscenza oggettiva delle cose, l’arte confinata dalla società al solo tempo libero, l’assurdo in arte che per un attimo sospende le ferree leggi della abituale rappresentazione del mondo. Accompagnerà la lettura degli aforismi una rielaborazione al computer di brani composti da Nietzsche.

   Secondo gli organizzatori del pomeriggio musicale la musica è forse la miglior chiave per penetrare l’opera del filosofo.

   In un momento in cui ferve la polemica su di lui e sull’uso (strumentale?) che il nazismo fece delle sue teorie, forse cercare di capire in proposito qualcosa di più non è un male. Ma che tipo di musicista fu Nietzsche? Un autodidatta di buoni studi, uno che suonava e improvvisava insieme versi e musica fin da quando aveva nove anni e che compose quasi tutte le sue opere musicali nei primi venti anni di vita, anche nel famoso collegio prussiano di Pforta, vera e propria fabbrica di funzionari statali. Né egli volle mai che le sue musiche giovanili fossero ritoccate o corrette. “Esse rispecchiano nella loro verginità il carattere fondamentale della mia vera natura”, disse e scrisse.

   Quando si pensa a Nietzsche e alla musica si è tentati automaticamente di attribuire la sua passione, i suoi sforzi compositivi e l’influsso in questo campo alla contrastatissima amicizia con Richard Wagner. Invece, quando i due si conobbero, il più (musicalmente) per quel che riguarda il filosofo era già stato fatto. I suoi modelli  oltretutto furono Beethoven e Schumann. E le sue opere ricordano proprio quelle di Schumann e, in qualche passo, portano echi di Liszt. L’aspirazione nietzscheiana era quella di arrivare a un’opera totale, che fosse insieme melodramma, opera buffa, spettacolo serio, tragico e comico. Insomma, anche in musica, l’aspirazione di Nietzsche era l’assoluto.

   E ora per la prima volta, crediamo, si può avere un saggio del Nietzsche compositore, proprio in un momento in cui l’interesse per la sua musica sta rinascendo. In America è appena uscito, presso la Newport Classic, un cd delle sue composizioni pianistiche a 4 mani. Il risultato non deve essere eccellente se chi se ne intende definisce tout court le musiche ‘rimaneggiate orribilmente’.

   Ora a Ferrara si vuole invece offrire un’immagine corretta e circostanziata di un aspetto della personalità di uno dei padri del nostro tempo. Tutto questo, va detto, non sarebbe stato possibile senza la partecipazione di un gruppo di giovani talenti partoriti quasi tutti dalla città estense. Si va da Roberto Becheri, cui si devono le elaborazioni musicali, al violino Lorenzo Gorli, al pianoforte Alessandro Comellato, al soprano Maria Gabriella Munari, tutti diretti da Maurizio Pagliarini; né va dimenticata la voce recitante Marco Cavicchioli”.

   Non poche sono le imprecisioni e le approssimazioni rinvenibili nel testo di Guidi. Per esempio l’affermazione che la maggior parte delle opere musicali di Nietzsche sia stata composta nei primi venti anni di vita. Nel Werkverzeichnis del Der musikalische Nachlass, una ventina e più delle composizioni sono datate dopo il 1864; l’ultima, l’Hymnus an das Leben su parole di Lou Salomé addirittura nel 1887, l’anno prima del crollo. Il  rapporto, poi, Nietzsche - Wagner, inscindibilmente umano teorico ed artistico insieme, è ben più complesso di quanto qui emerga. Ma da un reportage giornalistico non si può esigere troppo.

 

*

   Dunque è Primavera. Proserpina è risorta. Il suo alito spira nell’aria e penetra ogni cosa. Der Frühling webt schon in den Birken, / Und selbst die Fichte fühlt ihn schon; / Sollt er nicht auch auf unsre Glieder wirken? (Mit Goethe durch das Jahr, 22 Freitag 2019, Todestag Goethes): la Primavera spira tra  le betulle, anche i cipressi ben l’avvertono; non dovrebbero anche le membra del nostro corpo avvertirla?  E un ultragoethiano Steiner: Wenn aus den Seelentiefen / Der Geist sich wendet zu dem Weltsein / Und Schönheit quillt aus Raumesweiten, / Dann zieht aus Himmelsfernen / Des Lebenskraft in Menschenleiber / Und einet, machtvoll wirkend, / Des Geistes Wesen mit dem Menschensein ( Seelenkalender, ultima settimana): se dal profondo dell’anima lo Spirito si volge all’universo, allora dai remoti cieli si riversa la forza della vita nei corpi degli uomini e unifica, operando potentemente, l’essenza dello  Spirito con l’essenza dell’uomo. Ma proprio in ogni cosa Persefone respira? Tutto con lei risorge o tutto continua a morire? Morire a Primavera è diverso che morire in ogni altra stagione? I miei pensieri sono confusi oggi, come il cielo che, dopo due giorni di esplosione di luce e di calore, e di due notti di luna piena a tal punto sfolgorante solitaria  da  oscurare ogni altra luce stellare, già oggi è di nuovo solcato da una flotta sparsa di nubi sfrangiate. Ecco, oggi la mia ennesima primavera non ‘brilla nell’aria’ né ‘per li campi esulta. È la primavera del passero solitario leopardiano che nella sua  torre antica’  schiva gli spassi, canta, e così trapassa dell’anno e di sua vita il più bel fiore; e di quello pascoliano che nella sua ‘torre avita’ lancia i suoi tre trilli nella notte come la monaca le tre note d’organo echeggianti nel silenzio claustrale. Con la differenza che  Tu solingo augellin, venuto a sera / Del viver che daranno a te le stelle, / Certo del tuo costume / Non ti dorrai; che di natura è frutto / Ogni vostra vaghezza. / A me se di vecchiezza /La detestata soglia / Evitar non impetro, / Quando muti questi occhi all’altrui core, / E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro / Del dì presente più noioso e tetro, / Che parrà di tal voglia? / Che di quest’anni miei? Che di me stesso? / Ahi pentirommi, e spesso, / Ma sconsolato, volgerommi indietro. ( Da Canti e operette morali, riproduzione in fac-simile dell’edizione Starita 1835 con correzioni e aggiunte autografe dell’Autore, pp. 59-61, passim).

   Mai fui leopardiano. Che dunque m’accade?

P. S. Ieri 22 marzo ricorreva l’anniversario della morte di Goethe. Il Francofortese moriva nel 1832, pochi mesi dopo Hegel (+14 novembre 1931). In quella circostanza Heine, corrispondente da Parigi della Frankfurter Allgeneine Zeitung, scrisse: Les Dieux s’en vont. Wir behalten di Könige, gli Dei se ne vanno, a noi restano i re.

 

*

   Trovo sul blog di m.a.r.y.s.e, una mia gentile visitatrice residente a Parigi che saluto caramente, una interessante vignetta in tre fumetti che recitano: “C’est en commandant qu’on devient commandant, c’est en étudiant qu’on devient étudiant, c’est en saignant qu’on devient enseignant” (sanguinando si diviene insegnanti). Uno di quei simpatici giochi di parole, facili col francese per via dei molti termini che solo la scrittura diversifica mentre hanno a un di presso la stessa pronuncia, di cui maestri soni i miei amici poeti e scrittori di letteratura giovanile Jacqueline et Claude Held. Ricordarlo ai miei allievi d’Università ed a chiunque si sia votato al martirio scegliendo l’insegnamento! Vale tutto un trattato di pedagogia.

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Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 
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