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Solstizio. Un sogno. Osho. Tutino su Bosso. Traviata di Zeffirelli all'Arena. Concerto del CDS, Vino e amore

Post n°1006 pubblicato il 22 Giugno 2019 da giuliosforza

Post 928

  

   Solstizio d’Estate. Festa della Luce. Fascino e Nostalgia delle feste pagane, da Stonehenge all’Alaska.1986: notte magica di San Giovanni, coi colleghi del Colloquio internazionale di Estetica “Dimensions du Merveilleux”,  attorno alla grande  quercia  nella campagna osloense. Rievocazioni e riti magici  al sole di mezzanotte nel bosco in compagnia di elfi e troll e dell’Orso Valemone cavalcato dalla  principessa di cui è innamorato..

*  

   Sogno. Paese su un monte che guarda pianure ed orizzonti lontani fino al mare. Sole e neve, tanta neve a terra. Un mia giovane ex allieva volteggia nell’aria serena poi scende a danzare sulla neve a piedi nudi quasi avesse le ali, e canta. E canta  e danza e danza e canta. La rapisco sollevandola di peso e la reco al sole  fra suoi risolini e tentavi vani (finti?)  di divincolarsi dalla mia stretta. Socialisti meditabondi ai margini di una via panoramica. Sono tristi e pensosi delle loro sorti.     Chiedo: che fine hanno fatto i comunisti? Mi si risponde mestamente: sono in ritiro in Francia con Pujia (?), una sorta di santone politico, a meditar le mosse del riscatto. Mi sveglio sereno e libero dai crucci fisici e spirituali dei giorni trascorsi.

*

   “Non dovete creare un tempio o una chiesa per Dio,
   è assurdo perché Dio è ovunque!
   Per chi state creando un tempio,
   una chiesa o una moschea?
   Se volete pregare potete farlo ovunque.
   Dovunque vi inchiniate,
   vi inchinate a Dio,
   perché non esiste nient'altro”.
 
   Osho

   Copio la citazione  dalla rete e non ne garantisco l’appartenenza. Ma lo spirito e lo stile di Osho sono inconfondibili. Mi ci ritrovo totalmente. Circa i templi di pietra son portato a dissentire: ridotti a musei celebranti per la grande Arte la gloria dell’Uno vanno curati e moltiplicati, non abbattuti. Giovano alle goethiane, e prima bruniane, ‘religiosità’ del dotto e religione dell’ignorante.

 

*

   Marco Tutino è intervenuto, con tutto il peso della sua autorità (è autore, oltre che docente al “Verdi” di Milano, di diciotto opere liriche e di non so quanta musica corale e strumentale) in “difesa” della trasmissione  di  Rai3 (‘Che storia è la musica’) curata da Ezio Bosso. E’ intervenuto su fb con le parole che qui riproduco.

   “Ieri sera, un milione e mezzo di italiani hanno potuto assistere su Rai3 e in prima serata a un lungo programma che parlava di musica. Solo di musica. Al posto della usuale immondizia televisiva, Beethoven. Mentre la si eseguiva, la si commentava. Addirittura ci si poteva scherzare sopra, e comunque trattare da amica e non da solenne guardiana del Classico. Ieri sera moltissimi italiani sono un poco migliorati, e oggi forse si sono svegliati con qualche curiosità in più e qualche cattiveria in meno.
   Tra loro, alcuni su questo social si sono sfogati esprimendo uno stizzito disprezzo, una altera riprovazione. Erano tutti addetti ai lavori; e sicuramente, non l’hanno detto ma si capisce, avrebbero fatto meglio loro. Se -come sarebbe stato giusto- l’avessero chiesto a loro”.

   Se intervengo nel dibattito non è certo perché io mi ritenga un addetto ai lavori, pur se per oltre quaranta anni ho curato, con Maria Teresa Luciani, sorella del compositore Riccardo, un seminario di Educazione all’ascolto presso Roma Tre. Dico la mia da semplice spettatore che non soffre di passiva‘paticità’ da dipendenza nei confronti dello strumento televisivo.

   La trasmissione di Rai3, molto simile a quelle più giovanilmente disinvolte della BBC e della TV spagnola, da mesi se non da anni ormai trasmesse anche da noi, non mi è piaciuta (non mi riferisco alle musiche eseguite né allo stile del direttore) nel suo aspetto che dirò formale. La presenza di Mentana, di Signorini, di Bizzarri e degli altri ospiti non aveva alcun senso: dalla loro bocca, se si esclude Alfonso Signorini il cui retroterra culturale è di tutto rispetto, sono uscite solo ovvietà, triti luoghi comuni, per non dire insensatezze, che davano del fenomeno musicale l’interpretazione più banale e perciò fuorviante  che esista e che non può non ripugnare a chi sia minimamente esperto di filosofia e di psicologia musicali. La Musica è per natura esoterica (come l’Arte tutta che non sia impostura), non essoterica, ed educare ad essa il grosso pubblico non può né deve significare  snaturarla. Cosa che non ha fatto certo Bosso, che per quanto lo riguardava ne è uscito con indiscutibile lode. E’ l’impianto del programma che, dal mio modesto punto di vista, è sballato: il pro-fano deve essere indotto a varcate le doglie del tempio se vuole scoprire l’Isi velata, non il tempio deve perdere la sua sacralità. “Volgarizzare” un Einstein non è possibile. Perché ciò  dovrebbe essere possibile per Bach, Beethoven, Wagner? Forse il detto evangelico qui habet aures audiendi audiat vuol dire molto di più di quello che un certo costume ermeneutico vuol fargli significare.

*

   Traviata con regia di Zeffirelli, ultima sua fatica, all’arena di Verona, alla presenza del Capo dello Stato (al quale da giorni Il Fatto Quotidiano chiede invano se è al corrente delle ipocrisie e delle mene che da parte politica si tramano in alto e in sede locale per la gestione degli enti lirici in generale e dell’Arena in particolare) . Il Fiorentino, che da qualche giorno  trova pace nella sua città al Cimitero delle Porte Sante accanto alla madre,  non si smentisce. ‘Barocco’ eccessivo. Daniel Oren, kippah in testa, irriconoscibile nella sua obesità, s’agita come uno scimmione indemoniato. Sembra stia dirigendo uno spettacolo gladiatorio, non una Traviata. Dei protagonisti, il migliore mi risulta ancora l’inossidabile baritono settantasettenne  Leo Nucci. La Clerici anima negli intervalli il fatuo, irriverente, infine   volgare chiacchiericcio salottiero tra i soliti invitati, lì per fare ascolto, solo preoccupati (è la stessa Clerici a farlo intendere) di vincere la concorrenza di Canale 5, impegnato in un a sua volta super volgare programma sboccacciato da avanspettacolo. Se si escludono gli interventi del tenore Grigolo, competenti e commossi, per il resto c’è da schifarsi. Protagonisti uno dei figli di Zeffirelli col Baudo, con la Ricciarelli, con  uno Sgarbi con l’avanzare dell’età sempre più …‘sgarbato’ (magia di un nome), sempre più sopra tono, sempre più inascoltabile, addirittura pietoso quando non parla di arte,  nel suo truculento linguaggio,  e con un povero sindaco di Verona obbligato ad assistere in silenzio al fuori scena e a far da bella statuina (ma altro non immagino sarebbe capace di fare). Tutti a evocare e ad avvertire, come in una seduta spiritica, la Presenza  del Maestro, continuamente evocato con dissacranti e divertiti riferimenti alla  sua vita privata. Se davvero il suo Fantasma fosse stato presente, i salottieri l’avrebbero obbligato a dissolversi.

   Tutto questo aristocratico spettacolo trasmesso  in mondovisione. Dio che vergogna!.

*

   Concerto di fine anno degli alunni  del Centro Diffusione Suono tiburtino, nell’Aula Magna del Convitto Nazionale Amedeo di Savoia, diretti da Federico Biscione. In programma  l’Ouverture dall’ “Ifigenia in Aulide” di Gluck nella versione wagneriana con finale, e nella riduzione per archi di Federico Biscione; il Concerto in Do Maggiore n.13 K. 415 per pianoforte e orchestra di W. A. Mozart, al piano il giovane, ormai più che una promessa, Andrea Riccio; il Concerto in Sol Maggiore RV 532 di Vivaldi per due mandolini e orchestra, con Marco Balduini e Francesco Cipriani alla chitarra; Danze popolari rumene di B. Bartock, che purtroppo mi son perso. Un bel Pomeriggio.

   Nella antistante Piazza Garibaldi, attorno all’inutile solenne arco bronzeo pomodoriano sovrastante una fontana asciutta ricettacolo di mozziconi e di plastiche, altra…musica: ragazzi e adolescenti  giocano a pallone, usando il muro esterno del convitto come parete respingente, incuranti dei passanti,  o caracollano sui  pattini a tutta velocità negli stessi spazi, tra una azione e l’altra dei calcianti.  Un pallone con la velocità di uno shrappnel e la potenza di una cannonata mi sfiora l’orecchio sinistro. M’avesse colpito in faccia non starei qui a scrivere queste note. Reazioni qualcuna di spavento, in maggioranza di più o meno repressa e compressa ilarità. Dei vigili    nemmeno l’ombra, naturalmente.

   Ave, Tibur… vacuum!

*

   Un’amica che vive in Germania ha ricevuto in dono una bottiglia di Falanghina (dal Sannio a Düsseldorf!) personalizzata con una etichetta che riporta alcuni versi bacchici tra i più famosi tratti dall’Ars amatoria (I, vv 237-244) di quell’Ovidio sulmonese, con Gabriele pescarese il secondo più grande “mastro” della Parola. Me ne chiede la traduzione, che è facilissima.

   Vina parant animos faciuntque caloribus aptos:
   Cura fugit multo diluiturque mero.
   Tunc veniunt risus, tum pauper cornua sumit,
   Tum dolor et curae rugaque frontis abit.
   Tunc aperit mentes aevo rarissima nostro

   Simplicitas, artes excutiente deo.
   Illic saepe animos iuvenum rapuere puellae,
   Et Venus in vinis ignis in igne fuit.

   (………)

   I vini preparano gli animi e li dispongono per gli ardori (dell’amore). Le ansie fuggono e si dissolvono col molto vino. Allora giunge il sorriso, il derelitto prende coraggio, il dolore le preoccupazioni e le rughe della fronte spariscono. Allora la sincerità, così rara ai tempi nostri, svela i pensieri, un iddio scacciando le finzioni. Lì spesso le fanciulle catturano i sentimenti dei giovani, E Venere, nel vino, fu fuoco nel fuoco.

Da notare che è esclusa l’interpretazione maliziosa dell’emistichio ‘tum pauper cornua sumit’. ‘Cornua’ sta solo ad indicare forza e coraggio…

__________________

  

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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