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Passeggiata con Juliette, Le style c'est l'homme? 'Viaggio a Reims', 'La fiaccola sotto il moggio', l'amor mio Anna Moffo

Post n°1127 pubblicato il 02 Giugno 2022 da giuliosforza

 

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   Torno dalla mia passeggiata mattutina per le strade del mio quartiere medio-alto-borghese per censo, ma assai basso per civiltà in alcune sue zone, come si evince dai marciapiedi imbrattati di escrementi canini che ti obbligano ad un pericoloso slalom, dai vasti verdi selvaggi, infestati da cinghiali e da serpi, che lo contornano, e dai frequentatori dei loro bar, in buona parte villani male inciviliti, caciaroni e volgari. Io cerco per questo di seguire sempre gli stessi itinerari, i più riservati, ove incrocio per lo più giovani mamme che, prima di recarsi al lavoro, che immagino impiegatizio o serenamente casalingo, portano a spasso i bimbi nelle loro carrozzelle o tenendoli per mano ad aiutarli nei loro primi passi. Una giovane bella e distinta signora, che ama evidentemente i miei stessi orari quasi antelucani, gradevolissimi in questo inizio di calura estiva, spesso incrocio, la cui bimba, ormai abituatasi al Vegliardo dal passo antico, sempre diversamente e bizzarramente vestito, dagli strani cappelli e foulards e i non meno strani bastoni, mi dà il buon giorno (quale più gradito buongiorno?) con uno smagliante sorriso e uno sguardo che abbaglia, come quello della mamma di cui possiede le stesse pupille perlacee incantatrici. Ma la bimba, che ha nome Juliette (nome che amo non tanto perché è il femminile del mio ma perché è lo stesso della Binoche, l’attrice mia prediletta) ed ha un babbo francese che pendola più volte al mese come se niente fosse tra Orléans a Roma, oggi per la prima volta incontrandomi non mi sorride, anzi dalle labbruzze increspate e dagli occhioni lucidi accenna a un pianto presto calmato dalla carezza materna. Richiesta da me e dalla mamma del perché delle sue lacrime, indica l’impugnatura del mio bastone. Già, perché il bastone che mi fa oggi un po’ da compagnia e un po’ da sostegno è uno dei più strani e impressionanti tra quelli che posseggo. Lo trovai presso un rigattiere che tiene negozio nello spazio di ristoro e di rifornimento della A24 presso l’uscita Carsoli-Oricola, dal quale nel tempo altro, di più o meno valore, etnico o d’antiquariato o ambedue le cose insieme, nel corso del tempo acquistai. L’origine del bastone mi fu denunciata incerta, africana o indonesiana. Un bastone talmente leggero da parer vuoto come un bambù, ma che   invece risulta  assai compatto e, leggermente incurvandosi e affinandosi, giunge, fra un intaglio e l’altro ad anello, a toccar terra quasi a punta: una punta anch’essa dura e resistente quasi fosse di ferro come quella del mio bastone animato di Normandia (ricordo d’un memorabile tour degli anni Ottanta in quella terra, ciceroni di lusso Jacqueline e Claude Held, poeti e scrittori per l’infanzia celebri nel mondo) tanto da poter essere usato anche come una pericolosa arma di difesa e di offesa. L’originalità del bastone, non tanto gradita a Juliette, consiste nell’impugnatura ad angolo retto, dello stesso legno ma posticcia, terminante in un teschio sogghignante, un sogghigno tra il riso e il cachinno rivolto a chi lo guardi. Quando lo porto nelle mie passeggiate, fa di solito pendant con un grosso anello d’argento massiccio anch’esso raffigurante un teschio, ma nella postura classica poggiante su due rinsecchite ossa di femore (un memento mori davvero superfluo per uno come me che con la Morte-Vita convive) acquistato in un elegante negozio di indianerie in piazza Garibaldi a Pescara, a due passi dalla casa paterna del Vate, anch’egli amante de Teschio (a lui  si ispirarono gli Arditi per farne uno dei loro simboli -a noi la morte non ci fa paura!).

   Ma Juliette ha tutti i motivi per piangere: pur se nascendo ha anche lei iniziato a morire, alle sue pupille perlacee solo rose purpuree in questo maggio della sua vita s’addicono, e tutti fiori che, pur essi destinati presto a marcire (se son rose …s-fioriranno!) son chiamati a farle corona.

   Che tu viva, Juliette, e canti, memore che solamente cantando e suonando dimezzerai, se non annullerai, le fatiche del vivere. La salvezza è in Frau Musika.

    Arbeitest Du bei Sang und Klang – wird die Zeit Dir halb so lang.

    Conserverai tu questo ricordo del Vegliardo dimenticando il suo bastone a Teschio?

 

*    

Lievi (!) pensari mattinali.

    Si dice sia di Bouffon, in occasione del discorso di saluto al suo ingresso all’Académie. Per altri di Pascal: Le style c’est l’homme (leggi: lo stile fa l’uomo). Dissento. Meglio si direbbe: l’homme c’est le style (l’uomo è lo stile, leggi l’uomo fa lo stile). Spunto per una riflessione più vasta sul Soggettivismo antropocentrico. Per l’Io il sistema tolemaico non cessa di valere. L’io (empirico) si pensa nell’Io, e pensandosi pone se stesso e il mondo. E Dio. Cogito, ergo Deus est. Cartesio prevaricato? No. Cosa difatti un mondo senza un Io che lo pensi e l’affermi? Cosa un Dio senza un Io che lo pensi e lo affermi? Semplicemente il mondo non sarebbe, Dio non sarebbe: la sua esistenza e l’esistenza del mondo dovrebbero demandarsi a una trascendenza (vedi Berkeley) garantista, quella dei tre storici monismi, che dal monismo escludono poi il Reale che dall’Uno si irradia e dell’Uno si sostanzia, trascendenza che, nell’atto stesso in cui la pensi, pensandola neghi. La trascendenza è un atto di fede, ripugna alla Ragione, alla suprema Ragione. Errore del vescovo anglicano irlandese ed empirista Berkeley, a cui l’aria la luce il mare di Ischia schiarirono, e nello stesso tempo, oscurarono, le idee, che volle bypassare  (non ho colpa dell’orrido anglismo) l’Io per esigere direttamente un Dio che per tutti gli Io pensi, garantendo l’esistenza di un reale e dei ‘singoli’ io. Una Mente che pensi per tutti. Ma tale mente non può trascender l’Io, non può autotrascendersi. Un Io che si autotrascenda, nell’atto stesso in cui si pensa, è una contraddizione in termini. Dunque: il trascendimento del sistema tolemaico in metafisica fallisce, nei riguardi dell’uomo soggetto pensante-creante persiste. Io-centrismo. Il lutto non s’addice all’io, che pensando si coglie Io. La morte dell’io sarebbe la morte dell’Io, la morte di Dio. Sempre dall’io-Io parte la luce che irradia e irradiando pone il reale e come tale, come Sé, lo configura.

*

   Viaggio a Reims. Allestimento della Scala del 2009. Regia di Luca Ronconi, scenografia di Gae Aulenti, direzione Ottavio Dantone. Opera buffa o?

   La fiaccola sotto il moggio 1965 regia di De Lullo con Romolo Valli, Rossella Falk, Ilaria Occhini, Carlo Giuffrè. La tragedia che con La figlia di Iorio più respira abruzzesità, quella che respirai con l’aria da bambino, l’aria che il gigante Velino inutilmente si sforzò di impedire mi giungesse, la tragedia che Gabriele più di tutte amava. Normale, per uno che “portava la terra d’Abruzzo sotto il tacco dei suoi stivali”. Ambientazione: Anversa degli Abruzzi, Gole del Sagittario, Villalago, Scanno, Cappadocia…  Alcuni dei miei luoghi dell’anima.

   Ah, perché non son io con i miei pastori?

*

   Una delle rubriche periodiche che di Rai Storia preferisco è “Ieri e oggi” dove illustri personaggi (per esempio quel geniaccio polivalente di Luttazzi, quella maschera sorniona del grande Foà, quel distintissimo signore e porgitore di Alberto Lupo ed altri pochi dominatori del Medium televisivo) ricordano in immagini, presenti i protagonisti, i momenti salienti delle loro prestazioni sia canore sia prosastiche. Questa volta Luttazzi presenta in presenza la soprano Anna Moffo, Milva e un formidabile xilofonista di colore, il cui nome mi sfugge, col quale trova anche modo di esibirsi al piano in un pezzo jazzistico a quattro mani di grande virtuosismo. Ma i miei occhi e il mio orecchio sono fissi sulla Moffo che è cresciuta con me (ha solo un anno più di me), che ho seguito incantato in tutte le tappe salienti della sua carriera artistica, e con grande dolore ho visto premorirmi per il solito assassino che delle donne  è solito assalire le parti più delicate e nobili.

    Ho ritenuto la Moffo non solo una delle più belle cantanti liriche, ma soprattutto una delle più brave e delle più naturali e signorili nell’ emissione della voce: pochissime come lei possono affrontare ogni partitura, anche la più complessa, con una naturalezza ammirevole: ella canta come parla, non sfigura, cantando, il volto con smorfie volgari, non spalanca la bocca  inverecondamente dando a veder il cavo orale in ogni suo anfratto, quasi si fosse in un laboratorio dentistico od otorino loringoiatrico e non su un palcoscenico. Ella canta come canta un usignolo, quasi facendo emergere la voce dall’anima e non dalle corde vocali. Unica la Anna, in ogni senso, che di senso, con poche altre e pochi altri, ha arricchito la mia vita. Non posso accettare che ella sia definitivamente sparita nell’immenso oceano del Nulla e che la sua Voce non risuoni più in qualche landa dell’Universo, ad abbellirlo.

____________________    

   

    Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

  Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 

 
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