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Papini e Socrate nel 'Giudizio Universale'

Post n°1138 pubblicato il 01 Ottobre 2022 da giuliosforza

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   Papini. Un Bastian contrario illuminato.

   Come i miei lettori ben sanno Giovanni Papini è uno degli autori più ricorrenti in questo Diario. Ed è loro anche chiaro il motivo di questo ricorrere: si tratta di una delle menti più lucide, di uno degli intelletti più illuminati, di uno degli scrittori più fecondi, di uno degli spiriti più angustiati più liberi (anche dopo la sua discussa conversione, sulla soglia di quarant’anni, ad un Cattolicesimo in apparenza rigidissimo) non solo del Ventesimo secolo ma di ogni tempo. La sua erudizione non ebbe confronti, come non li ebbe la sua vis polemica: ed anche per questo fu amatissimo ed odiatissimo, ed invidiatissimo. Fu insomma Unico. Ed io per ciò, pur avendo fatto un percorso intellettuale e spirituale opposto al suo, pur non condividendo spessissimo le sue posizioni, lo ebbi per il più caro dei Maestri fino all’ultimo dei suoi giorni.  Per tutta la vita il suo modello alimentò il mio anarchismo mentale, fui con lui “d’ogni legge nemico e d’ogni fede”, “a Dio spiacente e a li nimici sui”. Il suo modello mi fu di sostegno nei periodi più difficili della mia vita, quando fui indotto ad operare scelte opposte alle sue. Anche in questi giorni di rilassamento il suo Giudizio universale, la più voluminosa e complessa delle sue opere postume, mi fa compagnia, mi diverte e mi fa riflettere nei suoi aspetti più paradossali. Il volume a mia disposizione è quello mondadoriano del 1966, 1027 pagine in elegante carta india, circa quattrocento personaggi divisi per categorie, noti o meno noti, che si presentano al giudizio dell’Angelo, e rovesciano quasi tutti l’opinione e il giudizio su di essi correnti: una davvero violenta emozione per gli spiriti deboli e impreparati. A mo’ di esemplificazione trascrivo le pagine dedicate ad Anito, l’avvelenatore di Socrate, all’Imperatore Carlo V, a suo figlio Filippo II e a Don Carlos, quattro delle figure più controverse della storia.

ANITO

Angelo:

  “Il tuo nome è legato a una delle più inique sentenze di morte dei più remoti tempi della terra. Per istigazione tua fu condannato a bere il veleno, in nome della giustizia, un vecchio che per millenni dipoi fu giudicato il modello dei giusti. Molti furono i tuoi errori; di questo solo devi scolparti

Anito

   “Non da me soltanto fu accusato Socrate ma di buon grado prendo su di me l’onore di quell’accusa. Se le cose del mondo, come taluni pensarono, ricominciassero punto per punto il loro cammino e una seconda volta mi ritrovassi ad Atene in quel medesimo anno e dinanzi ai medesimi uomini, alle medesime congiunture, io rifarei senza dubbi e timori quel che allor feci perché fosse data morte al malefico figlio di Sofronisco. E s’egli è qui e mi ode né mi sgomento né mi pento e cianci pure a sua posta con quei suoi ammaestrati discepoli, usi a dir sempre di sì. Come quei somari di coccio che si davano per balocco ai fanciulli.

   Ho sperimentato l’ingiustizia umana durante la mia vita, e più, dopo la mia morte; spero d’esser giunto alfine in un luogo dove regna la divina giustizia.

   Ascolta dunque le mie parole di verità.

   Quell’omniciarlante Socrate, da tanti pappagalli compianto come un miracolo di saggezza, io lo conobbi assai bene. Non era, in verità, che un artista mancato: in gioventù tentò di aiutare suo padre a rifinire statue, dopo volle aiutare Euripide a comporre tragedie ma era negato tanto per la scultura che per la poesia. Da vecchio il suo dèmone gli consigliò di studiar musica ma era ormai troppo tardi e son certo che neppure in quell’arte avrebbe fatto buona prova perché le Muse non vollero mai sorridere al suo ceffo camuso.

   Ma codesto artista fallito non volle mai acconciarsi a divenire un utile artigiano. La sua passion dominnte era di parlare, discettare, disputare, tender lacci e panie di parole per gloriarsi poi di facili vittorie. Avrebbe potuto essere uno di quegli oratori che nelle pubbliche assemblee guidavano e illuminavano il popolo ma fece difetto a Socrate ogni senso politico e il vero amore della patria. Era loquace e garrulo, non eloquente. Si divertiva a pungere come una vespa molesta gli innocenti cittadini, per mettere in piazza l’ignoranza loro, colla scusa che anche lui nulla sapeva. Dopo il suo fallimento come artista, fu attirato dalla filosofia, o meglio dalla sofistica perché non era null’altro che un sofista, al par di quei sofisti che egli un po’ per invidia e un po’ per ipocrisia, combatteva. Più furbo di loro in verità, ché non si faceva pagare e non sdegnava di parlare coi più umili e ignoti, pur di soddisfare la sua mania ch’era quella di stuzzicare le menti degli ingenui e di esibire la propria virtuosità nella caccia alle definizioni.

ANGELO

  E ti parevan queste ragioni bastanti per far condannare a morte un uomo come nemico della religione e corruttore della gioventù?

ANITO

   Scusami: ho indugiato troppo nel colorire il ritratto di quel ciarlatano. Non ho detto ancora tutto; ora vengo al punto che dovrà persuaderti.

   Voglio essere giusto anche per Socrate. Egli si proponeva, e forse era sincero, di render migliori gli uomini. Ma i mezzi da lui scelti a tal fine erano assai più pericolosi e perniciosi dei vizi ch’egli affermava di voler divellere. Erano, come ognun sa, i concetti, i sillogismi, i ragionamenti, i metodi inquisitivi, i giochi di prestigio di una capziosa dialettica. Egli s’era fitto in testa che per ben operare bisogna ben ragionare, che òa conoscenza del vero è la stessa cosa della pratica del bene. Spaventoso errore, delitto evidente contro l’umanità e soprattutto contro la giovinezza.

   Per cambiare l’uomo, per farlo virtuoso ben altre armi occorrevano. La morale fondata sul ragionamento fu sempre imperante fra gli uomini, Per convincerli, per trasformarli occorreva la magia dell’arte, il calore dei sentimenti, la spinta delle passioni, il soffio dell’entusiasmo e soprattutto la forza dell’esempio. I concetti generali sono troppo vaghi e gelidi, tagliole logiche equivoche che vogliono tutto abbracciare e nulla stringono. I bruti umani potevan essere trasformati in veri uomini dai poeti, dai cantori, dai profeti, dai santi, dagli eroi non già dalle sofisticherie generiche di un sofista punzecchiatore e puntiglioso. Socrate spengeva nelle anime la vera sorgente della moralità eppoi pretendeva che si volgessero alla virtù. Questo artista mancato respingeva e soffocava tutto quel che nello spirito umano poteva portare all’eroico furore e alla pazzia del sacrificio, al divino paradosso della virtù disinteressata.

   E le sue dottrine erano esiziali per i giovani. La gioventù è immaginazione, fuoco, impulso, spontaneità creatrice. Socrate, il malefico Socrate, si circondava di giovani che voleva ridurre a una precoce vecchiezza, insegnando loro il dubbio, il primato del freddo giudizio, la cautela e l’analisi, remore fatali d’ogni azione generosa.

   Socrate, insomma, voleva fondare la morale sulla pura conoscenza razionale epperciò recideva gli unici fondamenti attivi della morale; aguzzava le menti ma disseccava i cuori. S’egli fosse riuscito nel suo intento ogni profonda energia vitale si sarebbe estinta nei giovani ateniesi. Questa era la corruzione della gioventù e non ho alcun rimorso di averlo accusato davanti ai giudici e di averlo fatto condannare.

   Socrate non compensava il veleno del suo metodo con l’esempio della sua vita. Non si curava dei pubblici affari, non praticava nessun mestiere, abbandonava tutto il giorno la moglie e i figli per recarsi a vagabondare nelle piazze e nelle botteghe per ciambolare a suo talento e rotare la sua coda di pavone filosofico dinanzi agli sfaccendati. Era un ozioso orgoglioso che turbava la coscienza e la vita dei buoni cittadini. La sua umiltà era una finta. Si compiaceva di citare l’oracolo che lo dichiarava il più sapiente degli uomini e durante il processo osò dire ch’egli meritava, per il bene fatto ad Atene, d’esser mantenuto nel Pritaneo a spese dello stato.

   Se l’albero si deve giudicare dai frutti si veda chi fossero i suoi discepoli preferiti. Uno, Alcibiade, collesue folli imprese, fu la sventura della patria e finì col recarsi a combattere insieme ai nemici di Atene. L’altro, Platone, istillò nelle menti il dubbio sull’esistenza del mondo visibile, e distolse molti giovani dalla realtà del mondo e perfin della vita.

   Anch’io fui discepolo, in gioventù, di Socrate ma presto mi accorsi del mortale pericolo del suo insegnamento e l’abbandonai. E soltanto dopo molti anni, conoscendo i progressi del male, mi decisi ad accusarlo. Aveva settant’anni e aveva ormai detto tutto quel che voleva dire e alla cicuta, cioè a me, dovette almeno metà della sua postuma gloria.

   Io, invece, fui la sua vittima. Non si volle vedere in me che il sicofante, l’accusatore di Socrate. Eppure anch’io fui accusato ingiustamente e a grande stento mi salvai dalla morte. Nonostante fui compagno di Trasibulo per liberare Atene dal giogo dei Tranta Tiranni e n’0ebbi lode da tutti i buoni. Ma la plebe è così mutevole che dopo la morte del nefasto corruttore mi convenne fuggire dalla patria che avevo salvata e rifugiarmi a Eraclea dove mi toccò una morte assai più acerba dei quella di Socrate: fui lapidato da un popolo straniero.

   Fui vittima dell’ingratitudine e della ferocia degli uomini ma nessuno compatisce la mia sorte, nessuno mi commisera, i più mi insultano. Lauri e lodi son tutti per Socrate, per l’avvelenatore della vita, me vollero seppellire sotto una mora di pietre e di calunnie.

   Purtuttavia non mi vergogno né mi pento, come ti dissi, di quel che feci e tornerei domani a rifarlo. Socrate, colla sua maschera di saggezza, era un portator di veleno per la gioventù e per la salvezza della patria: era sommamente giusto che morisse di veleno. E la maggior parte degli ateniesi, in quel giorno, furon d’accordo con me. I posteri ignari glorificarono Socrate e infamarono Anito ma son certo che il Giudice degli umani giudici mi renderà finalmente quella giustizia che da tanti secoli aspetto.

 

   Non so quanti dei lettori condividano la condanna senza appello di Socrate da parte di Papini. Io in buona parte sono con lui, anche se tante delle accuse da lui rivolte a Socrate, in primis quella di cialtroneria e ciarlataneria, le sento rivolte anche a me. E non spero in nessuna revisione di giudizio e nemmeno nella concessione d’una qualche attenuante. L’Angelo Pubblico Ministero sarà con me implacabile: io fui della schiera del Portatore di Luce. Né il Milton del Paradise lost, né il Papini de Il Diavolo possono far nulla per me.

__________________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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