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Dendrosofia (Tiziano Fratus), antipedagoia, star wars

Post n°971 pubblicato il 28 Dicembre 2017 da giuliosforza

Post 891

    Scopro  un autore ancor giovane, Tiziano Fratus, che fa oggetto della sua poetica e della sua ricerca gli alberi, e s’è inventato la Dendroteca e la Dendrosofia. Interessante e da approfondire. Con i miei studenti, nel corso delle Passeggiate di Natura e Cultura, non si saltava mai il rito dell’abbraccio collettivo dell’albero per consentire all’energia cosmica che esso, privilegiato fra gli enti, assorbe da terra e cielo, in terra e cielo mediante radici e rami, radici aeree, profondato, di trapassare in noi. Se ancora sarò tra i viventi, a primavera riproporrò il rito ai meno immemori dei miei ex: per me rappresenterà un bel tirocinio per la ridissoluzione nella nuova dimensione dell’Essere destinatami (o meritatami), per essi una ricarica formidabile per affrontare con successo le fatiche della Vita, ‘dono grande e terribile del Dio’.

    Nella mia vita tre alberi sono stati fondamentali: lo ieroplatanos, il platano sacro, della Piazza della Peschiera del mio paese, e il grande leccio di Ponte primo, attorno ai quali avvennero tutte le mie iniziazioni; con essi il faggio solitario che veglia il mistero del Cervia sabino: lo eleggemmo, in un giorno d’ebbrezza e di invasamento, ad albero della nuova Conoscenza (la Metanoesi), attorno ad esso danzando, satiri per una volta pudichi e per una volta non discinte baccanti, ed inneggiando a Pandionisio. Ancora se ne odono gli echi per le valli intorno.

*

    Non frequento con assiduità cantautori, se non quel tanto, o quel poco, necessario a consentirmi di concettualmente collocare nello Zeitgeist quell’autoposizione, spesso confusa e caotica, dello Spirito in momento di stanca che dicono musica leggera. Naturalmente quella italiana mi è più familiare e fra essa quella della mia generazione, le cui frequenze il mio orecchio è in grado, seppure ai limiti,  di reggere. Stamane ho ascoltato per caso una canzone di Gaber, uno di quelli che con i Celentano, i De Gregori, i Guccini eccetera erano, e sono, soliti fare predicozzi, in melodie o in recitativi, dai palchi e degli schermi televisivi, d’etica e di politica. Questo Gaber che ho ascoltato per caso stamane potrebbe confortare la mia antipedagogia, o metapedagogia, assai bene, e forse avrebbe meritato ch’io lo proponessi, insieme ai classici, come testo di riflessione per i miei studenti. In versi semplici ed in altrettanto pacata melodia il cantautore demistifica, tra il serio e il faceto, tutta la pedagogia blasonata alla quale io stesso tutta la vita ho attentato, sicuramente con minor successo. Si tratta di Non insegnare ai bambini

    Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.

    Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.

    Giro giro tondo cambia il mondo.

    Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l'unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.

    Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un'antica speranza.

    Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all'amore il resto è niente.

    Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo.

    Avrei qualcosa da ridire circa il pregiudizio platonico, che sembra perdurare in Gaber, nei confronti del teatro, del bel canto, della danza, ma per il resto mi pare tutto condivisibile. Da Rousseau a Tolstoi  v’è tutto il meglio delle antipedagogie della storia dell’educazione.

*

    Invitato da un mio nipote adolescente sono andato a vedere, ci credereste mai?, in una stipatissima sala, una delle quattordici di un affollatissimo  centro commerciale, Guerre stellari 8. Credo sia stato il primo, da intendere il solo, film di fantascienza della mia vita, e il bello è che mi sono pure divertito, dopo un primo breve appisolamento, apprendendo anche qualcosa: per esempio che il may the force be with you con cui i miei nipoti, giocando sul mio cognome, che vorrei fosse anche il loro, usano salutarmi, viene da lì, pronunciato da una splendida guerriera della resistenza; che al di là di tutte le diavolerie tecnologiche la trama resta sempre la stessa: quella semplice e gracile della guerra, che qui diventa cosmica, tra buoni e cattivi (questi destinati naturalmente, come in tutte le fiabe che si rispettano, a perdere); che la spada luminosa, che credo nessun bambino non possegga nel suo armamentario, è quella che la Walchiria della galassia impugna e con la quale compie mirabilia. Se nella seconda parte del film ho abbandonato non è stato per stanchezza, ma per altre immaginabili senili esigenze. Solo che mentre nel freddo quasi polare raggiungevo a piedi la mia dimora, a quel luogo prossima, e incrociavo altre famigliole dirette allo spettacolo successivo, e vedevo spade  come lucciole accendersi e spegnersi nella notte precoce di quest’inizio d’inverno, e udivo gridolini di battaglia, il ‘mestiere’ riprendeva il sopravvento e mi chiedevo quello che da sempre, senza avere risposta, mi chiedo allorché immagino nei così detti cattivi i bambini che furono, e osservo i loro sguardi puri e i loro sorrisi e i loro infantili vezzi: a chi e a cosa si deve la loro trasformazione in “mostri” del Male, quale perfido Iddio li ha predestinati, quale Caso, o quale assurdo uso (tale in fine la scelta autolesionistica del male) di libero arbitrio? Come può darsi una corruptio optimi pessima? Come può da un insieme di uomini nati buoni generarsi una società cattiva? Per la prima, grazie a Starwars, dubito anche del Ginevrino.

P. S. per chi è preoccupato della fine della serie. Tranquilli. Mi pare di aver capito che la resistenza riprenderà!

*

    Sogno sognante un sogno sognante un sogno. Sogno alla terza potenza. Somnium nec somniatum nec somnians (L’Io come Assoluto, l’Essere impersonale, la cui sostanza è il Sogno), Somnium somniatum somnians (l’io empirico Giulio Sforza sognate una fanciulla divina…),  Somnium somniatum somnians (la fanciulla divina semidiscinta sognante una vecchia…),  Somnium somniatum nec somnians (la vecchia laida non sognante oberata di stracci maleodoranti). Strano proodos, ancor più strana epistrophé. Dal Sublime l’osceno. Dall’osceno il Sublime. Plotino, Scoto Eriugena,  Francesco Colonna, Immanuel Kant, Enneadi, De divisione naturae, Hypnerotomachia Poliphili, Kritik des Urteilskraft  in un sol colpo confutati dai vaneggiamenti senili d’inizio inverno del Somniun somniatum somnians

*

    A proposito del mio Somnium alla terza potenza, modellato, tra il serio e il faceto, sul concetto di Natura una e triplice, anzi quadruplice, dell’Eriugena, di coincidentia oppositorum, di Natura naturans e Natura naturata, di mondo come Deus contractus o explicatio Dei, e di Dio come implicatio mundi susaniani  (cryppffsiani!), di conseguente Mens super omnia e Mens insita omnibus  del De Uno et innumerabilibus  bruniani, ecc  ecc (in sostanza di Uno-molteplice e del Molteplice- uno, di Immanenza trascendente e di Trascendenza immanente, tutti concetti in apparenza contraddittori – ma fui forse io ad inventarmi il Credo quia absurdum?): a proposito di ciò molti amici preoccupati mi hanno chiamato con la scusa degli auguri, in realtà per accertarsi del mio stato di salute mentale, per verificare se cominciassi a dar segnali di senile confusione. E li ringrazio per questo, li capisco. Ma debbo rassicurarli: mai la mia mente fu più vigile, mai come in queste luminose albe natalizie le mie idee furono, nonostante gli impacci corporei della (turpe?) vecchiezza, più “chiare e distinte” , mai i segnali luminosi delle albe eterne trapassarono a tingere con più vigore di rossi intensi i tenui rosa del mio tramonto. Non furono forse questi un giorno i Giorni del Sole invitto? Chàirete, Dàimones!

*

    Copio da una citazione in rete di Raffaella Canovi (Il secondo amante di Lucrezia Buti):

    "Oggi, dopo lo sforzo severo della tragedia adriaca, mi rimetto a scrivere per me, per me solo, pel mio piacere, pel mio gioco, per la mia ricerca; e, in terra toscana, invento una sintassi volubile che sembra animata da una brezza mattutina odorosa di spigo e di salvia, come un certo drappare in certi disegni di maestri toscani ch′io so.
Ho preso il fanciullo di Pescara, e me lo son messo su le spalle."

Ma quando mai il nostro amatissimo birbante smise di scrivere per sé solo? E con ragione! Scrivere per il proprio piacere non è forse la prima condizione per piacere?

__________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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