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Ferrarotti alla Rocca dei Papi. Istituto universitario "Progetto Uomo". Di uno dei miei cento bastoni

Post n°979 pubblicato il 24 Marzo 2018 da giuliosforza

Post 899

Chi non conosce la Rocca dei Papi di Montefiascone ignora uno dei luoghi più spettacolari d’Italia. Dal suo culmine tutta la Tuscia etrusca si offre all’occhio ammirato: il lago di Bolsena, nel quale si specchia, con le due isole Bisentina e Martana (luogo di prigionia e di assassinio di Amalasunta, figlia del Goto Teodorico; del martirio, secondo leggenda, di Santa Cristina  patrona di Bolsena e, più amena memoria, delle crapule di papa Martino IV a base di  anguille di Bolsena e di vernaccia -quanta mala patimur pro ecclesia sancta Dei!); i monti Volsini che alla Rocca fanno corona, oltre i quali si respira già aria di Toscana e di Umbria, i Cimini e il mare. Non meraviglia quindi che l’immensa sala della Rocca papale, miracolosamente salvatasi dalle offese del tempo, periodicamente accolga eventi di grande rilievo come loro superba ed esclusiva ambientazione. Anche  l’Istituto Universitario per operatori di comunità Progetto Uomo, affiliato alla Università Pontifica Salesiana (fondato e   diretto dal dinamico Nicolò Pisanu) che da qualche anno ha sede in Montefiascone, lo sfrutta per le sue più solenni occasioni, quali l’inaugurazione degli Anni Accademici e le varie manifestazioni culturali (convegni, conferenze, dibattiti, trattenimenti ludici) che lungo l’anno ne punteggiano l’attività. Cotanto spettacolare scenario ha accolto, in un rigidissimo ma serenissimo cinque marzo, un esterrefatto (confessa di non aver mai trovato al mondo sala più straordinaria di quella) Franco Ferrarotti splendido novantaduenne, invitato a intrattenere il pubblico studentesco su uno scottante tema di attualità: i benefici (pochi), i danni (tanti), che l’epoca della “civiltà tecnologica virtuale” (uno di più subdoli ossimori, a rifletterci bene) procura alla civiltà del libro, e, più in generale, all’umanesimo pedagogico. Le opinioni di colui che può ritenersi con buona ragione il fondatore della sociologia italiana (ero assistente volontario di Volpicelli presso il Magistero di Roma  quando  Volpicelli, di formazione gentiliana, lo chiamò giovanissimo presso l’Istituto di Pedagogia da lui diretto, superando la diffidenza attualistica nei confronti  delle nuove discipline socio-pedagogiche e psico-sociologiche,  e  così allargando il ventaglio di quelle previste nel tradizionale curriculum del corso di laurea in Pedagogia) sono ben note: nei suoi innumerevoli libri, nei suoi interventi giornalistici, nelle sue conferenze in tutto il mondo  egli conduce una strenua battaglia , pur ritenendola  persa, contro l’invadenza  dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, che considera distruttori del pensiero critico-creativo e autori del più tremendo attacco all’intelligenza, per la definitiva disumanizzazione dell’umano che minaccia, mai nella storia condotto da qualsivoglia altra orda barbarica. Con la sua nota oratoria e  l’energia di un trentenne,  Ferrarotti ha intrattenuto per oltre due ore un pubblico attentissimo di giovani figli del tempo che allo Zeitgeist può parere in partenza insensato tentar di sottrarre. Cosa che Ferrarotti ben  sa,  ma che non gli impedisce di infierire contro i responsabili della morte del libro (“vorrei salvarlo con respirazione bocca a bocca” ) e di spingere  a fondo le sue provocazioni contro le vittime inermi ed inerti dei prepotere della affabulazione virtuale. E ben fa. Insinuare il germe del dubbio nelle anime giovanili, ahimé per natura fin troppo disposte (nonostante le pose contestatrici e pseudorivoluzionarie) ai dogmatismi e ai plagi, scuoterne le coscienze già imbottite di soporiferi, è di somma importanza, se si vuole sperare che quanto di buono è, e di certo ve n’è, nelle nuove tecnologie comunicative, non sia soffocato,  estrema iattura, da quel tanto di pessimo che in esse sicuramente è.

Io, che gli anni  e le vicende del pensiero han reso disincantato, ho seguito Ferrarotti con autentico piacere ascoltando dalla sua voce, diversamente e brillantemente detto, quanto avevo fin da giovane letto in Gabriel Marcel, l’autore col quale ebbi il piacere di corrispondere in occasione della stesura della mia tesi di laurea, poi stampata col titolo di Metaproblematico e Pedagogia. Motivi marceliani. Marcel, convertito dall’hegelismo a una sorta di socratismo cristiano (socratico cristiano egli desiderava, se proprio necessario, esser definito e non esistenzialista cristiano, come i manuali amavano ed amano etichettarlo) aveva dedicato ai temi della disumanizzazione, del massismo e dell’egualitarimo abbrutenti ( figli della “scienza” e della sua figlia maggiorata, la tecnica, causanti un trauma ontologico, prima esaltante poi deludente) le sue pagine più belle, contrapponendo ragione partecipativa a ragione oggettivante, mistero a problema, riproponendo, in linguaggio filosofico o drammatico sempre suggestivo, temi classici come Amore, Comunione Ontologica, Fedeltà, Speranza, di cui con eccessiva superficialità e non impunemente l’umanità si è disfatta; al problematico contrapponendo il metaproblematico, allo spirito di oggettivazione lo spirito di partecipazione che il Mistero ontologico garantisce. Ferrarotti, seppur con parole diverse, ha riproposto quei temi, per altro intonando un inno, quasi una trenodia, alla fine dell’Homo Humanus’ destinato  fatalmente a soccombere. Io, più ottimista, spero s’inganni, fiducioso che una qualche Provvidenza, o una qualche  hegeliana List der Vernunft , travolga l’Homo cyberneticus e lo restituisca alle chiarità dell’alba dei tempi,  quando gli astri del firmamento danzavano in coro e i figli degli uomini lanciavano grida d’allegrezza”.

P. S.

Mi auguro che l’Istituto Progetto Uomo, a cui voglio bene per avergli dedicato, spero non disonorevolmente, dodici anni, lunghissimi e brevissimi, del mio post pensionamento da Roma Tre, poco per volta si impadronisca di tutta la Rocca Rocca, sottraendola all’assedio dell’Istituto del Verbo Incarnato (una congrega, mi si dice, ma è sicuramente una vile calunnia, di fondamentalisti pericolosi per le sorti della Conoscenza) che la stanno insidiando dalla parta bassa di essa, in cui si sono saldamente insediati.    

 

*

 

Il bastone con cui oggi sono uscito, uno dei miei cento dieci bastoni personalizzati (tale e tanta  è, evidentemente, la mia inconscia necessità d’appoggio e di sicurezza!), non è uno dei più belli né dei più robusti, ma certamente uno dei più ricchi di senso. Ha come impugnatura un volatile dal variopinto piumaggio che potrebbe far pensare a un pellicano (pie pellicane, Jesu Domine, me immundum munda tua sanguine!) ma che a me all’epoca (anni ottanta?) piacque pensare come una fenice, l’uccello che ogni cinquecento anni muore bruciato per poi risorgere dalle sue ceneri; un uccello dall’alta simbologia, dunque, degno di  un altrettanto alto e nobile commento poetico  (non i miei soliti versicoli). Ricorsi così al Goehte del West-östlicher Divan e di Sprüche und Aphorismen,  e alla Gaspara Stampa del Canzoniere. E trascrissi sul bastone i nove versi seguenti, otto del Francofortese ed uno (citato ne  Il libro segreto dannunziano) della Cortigiana veneta, che hanno a che fare col fuoco, il divenire e le rinascite, temi cari al Vegliardo da sempre ma soprattutto, e ben se ne comprende il motivo, nei melanconici giorni dell’Attesa.

 

Sagt es niemand, nur den Weisen,
Weil die Menge gleich verhöhnet,
Das Lebend'ge will ich preisen,
Das nach Flammentod sich sehnet
.

(Non ditelo ad alcuno, ditelo solo ai saggi, ché la plebe ne riderebbe: voglio elogiare il vivente che brama la morte tra le fiamme).

 

E dagli Aphorismen:

 

Und so lang du das nicht hast,

dieses Stirb und Werde,

bist du nur ein trüber Gast

auf der dunklen Erde.

(E finché non hai ben in mente impresso Muori e divieni, sei soltanto un ottuso ospite sulla buia terra.)

 

Di Gaspara infine, contemporanea del Nolano, il verso che ho sempre immaginato poter essere all’Arso vivo del Campo dedicato: Vivere ardendo e non sentire il male.

 

_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 

 

 
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