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Pensieri corsari sull'8 Settembre. Cronaca minima

Post n°991 pubblicato il 07 Settembre 2018 da giuliosforza

 

Post 912

Domani ricorre l’8 settembre e già immagino le orge di retorica  con la quale si celebrerà quella data. Che fu una data infausta per uno come me che era cresciuto col latte della Lupa. 

Era il quarto anno di guerra, avevo dieci anni e servivo messa a Monsignore. Formazioni di “fortezze” volanti anglo americane stracariche di bombe, protette da agili caccia che si esibivano attorno ad esse, a protezione, in arabeschi nei cieli della Piana del Cavaliere, rombavano giorno e notte sulle nostre teste, dirette a distruggere, oltre che milioni di vite umane, quanto di più civile ed artistico, dall’Italia alla Germania, abbelliva il Vecchio Continente. I “perfidi” albionici lanciavano bambole e penne stilografiche esplosive, e più di un mio compagno ne restò mutilato.

Avevo appena dieci anni, dunque, ma ero già in grado di pensare con la mia testa e di comprendere il dramma del fascismo, della guerra e dell’evento che oltre  alla guerra ci faceva perdere anche l’onore. Sia ben chiaro: se un irriducibile anarchico mentale quale io ero e sono avesse vissuto il Ventennio da uomo ed intellettuale maturo qual sarebbe poi stato, sarebbe finito sicuramente al confino, in un confino di quelli tosti ove si spargevano lacrime e sangue, non in quelle specie di villeggiature gratuite di lusso in paesi caratteristici e in amene isolette del Mediterraneo che toccarono in sorte ad alcuni intellettuali dissidenti di mia conoscenza (qualcuno dei quali, come il filosofo Calogero, ebbi anche modo di frequentare). Le mie considerazioni sono quelle di un uomo libero, che ha appreso il fascismo sulla sua pelle di ragazzo, e non dai libri scolastici postbellici, faziosi e precritici non meno di quelli prebellici, i cui autori in maggior parte erano e sono, non meno dei piaggiatori del Duce, dei servitori ossequiosi dei nuovi subdoli regimi pseudodemocratici (oclocratici, dove popolo sta per folla), ed altre fonti non conoscono  che la storia scritta dai vincitori.

Suonarono all’improvviso le campane del borgo  a festa, quel giorno, all’annuncio  della resa incondizionata che chiamarono bugiardamente armistizio (ché non di cessazione provvisoria delle ostilità- come il termine suona- si trattò, bensì di un vile -così in molti ancora  ritengono- tradimento grandiano, savoiardo e badogliesco, di un cambio di fronte che ci avrebbe additato al disprezzo di vincitori e vinti) ed io, da capochierichetto, fui convocato per servire la messa e cantare col popolo il Te Deum di ringraziamento in quel gregoriano rimaneggiato, una specie di falso bordone, in verità  di ottimo effetto, che consentiva a maschi e femmine (zeppe erano allora le chiese, e ancora si cantava al borgo, in chiesa e nelle osterie e alla Sballata nelle notti, illuni o di luna piena, di giovanile ’giurgiulea’) di dare sfogo a tutta la potenza delle loro corde vocali, e accompagnato a orecchio all’organo Rieger  da Isidoro fra il vociare dei giovanotti che azionavano coi piedi il rumoroso mantice a pedale. L’officiante era ‘Monsignore’, storico parroco dalla corporatura imponente, dalle mani e dai piedi possenti e lesti a colpire, e dalle idee chiare, che s’era trovato a gestire con criteri, ieri ed oggi variamente giudicati, gli atroci eventi della Grande Guerra, dell’epidemia  detta Spagnola che ne seguì e che fece più vittime dei cannoni, dei disordini che aprirono le porte al Fascismo, della guerra d’Africa, e infine del secondo Conflitto ancora in atto che egli, come tanti, si illuse sarebbe cessato dopo l’’armistizio’ inaugurando finalmente un’epoca di pace; che avrebbe invece aperto, con la guerra civile, uno dei periodi più sanguinari della storia d’Italia. Monsignore si illudeva, ma non mi illudevo già io, mentre nervosamente turibolavo in sacrestia in compagnia di Zio R. Era zio R. un fascista doc sansepolcrista, che aveva pagato cara la sua ortodossia all’interno del Regime prima, con la persecuzione e l’esclusione da cariche e prebende, e dopo, con l’epurazione, a guerra finita. Aveva sposato la nipote di Monsignore, del quale accusava in quel momento,  nervosamente misurando a passi concitati in lungo e in largo l’angusto spazio della sacrestia,  la cecità che gli impediva di rendersi conto di quale catastrofe incombesse sull’Italia come conseguenza fatale dell’’armistizio’.  Ché, anche fosse stato un errore nefasto l’alleanza con Hitler, per altro imposta da una real Politik alla quale sarebbe stato impossibile sottrarsi (pura utopia immaginare la neutralitù di una nazione come la nostra posta al centro del mediterraneo, strategicamente essenziale: avremmo fatto in pochi giorni la fine della Francia; e d’altra parte allora impensabile una alleanza con Inghilterra Francia ed, in seguito, America, traditrici delle giuste attese italiane a Versailles e perciò dirette corresponsabili dell’avvento del Fascismo) pagammo cara la defezione:  come zio R. e già io profetizzavamo gli alleati teutonici divennero nemici  ed in pochi giorni ci trovammo occupati, con tutte le conseguenze che dagli eredi dei prussiani di Bismarck sentitisi colpiti alle spalle non era difficile attendersi.

Non mi si chiedano dunque celebrazioni. Condannerò le atrocità da ognuna delle due parti commesse (fascisti o antifascisti, partigiani o repubblichini) e venererò la memoria delle vittime (con studiata intenzione evitando la parola martiri) degli opposti schieramenti. Di più non mi si chieda.

*

Tanti anni or sono, quando il leone Giulio ancora un poco ruggiva, come omaggio per il suo compleanno Lilli Nike fece dipingere per lui da una amica artista la belva protettrice, ruggente solitaria nel vasto silenzio di una natura attonita, che il destinatario moltissimo gradì e con la solita modestia così si autodedicò:

"Rugientem dentibus leonem
noumenon spiritusque yerodominatum
impotenti vi
ad mysterii ostia 
defendentem
amici
inimici
Iulium Sfortia caveatis" .

Il leone al suo tramonto malinconicamente e nostalgicamente ne sorride

 

*

Catturata da un vecchissimo sbiaditissimo film (tra i protagonisti Fred Astaire) di cui mi è sfuggito il titolo, la seguente affermazione, attorno alla quale tutte le vicende del film girano: "Caso è il nome che gli sciocchi danno al Fato". Io sono tra quegli sciocchi e persisto. Diversamente non potrei, con Ludwig v. B., "afferrare il Destino per la gola". Se dire caso il destino è da sciocchi, dire destino il caso è da ignavi.

*

Con piacere , dopo sette anni (un attimo e una eternità) vedo riproposto da Andrea Cristofari, su FB, uno tra i miei più fissi pensieri, che l’attento discepolo annotò da una mia lezione, e che rappresenta il compendio della mia filosofia.

"Compendio della mia filosofia: vuoi Dio? Spremilo dalle cose." (Giulio Sforza)

Pericoloso per gli spiriti deboli

________________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 

 

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