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Sostanza:Res quae ita exsistit... Zio Antonio, Pacciardi, Apollinaire e la Grande Guerra. Efemeridi

Post n°996 pubblicato il 14 Dicembre 2018 da giuliosforza

Post 917

Res quae ita exsistit un nulla alia re indigeat ad exsistendum.  Da questa definizione cartesiana della sostanza restò  confermata la mia innata concezione monistico-panteistica del mondo, già liricamente trasmesssmi da Virgilio (Eneide libro VI, 19-22; Principio coelum ac terras camposque liquentes / Lucentemque globum lunae titaniaque astra / Spiritus intus alit, totaque effusa per artus / Mens agitat molem totoque se corpore miscet) e da Cristo, il maggiore, se non il primo, a possedere hegeliana Autocoscienza come autocoscienza dell’Assoluto  (Io e il Padre siamo la stessa cosa…Filippo, che vede me vede il Padre…Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue…). Ma Cartesio non ebbe animo di andare fino in fondo e, nel suo notorio donabbondiano coraggio, cavillò di due sostanze, la res cogitans e la res extensa, vera e propria contradictio in terminis. Ci volle l’ebreo di origine portoghese  Baruch Spinoza esiliato in Olanda (di cui sto rispulciando  l’Ethica more geometrico demonstrata ) per costringere la definizione cartesiana in quella più contratta e più chiara, non prestantesi ad equivoci, di una Res quae per se est et per se concipitur o, ancor più sinteticamente e seccamente,  Deus sive Natura. Questa coerenza, questo coraggio e questa chiarezza gli varranno la scomunica della Sinagoga, una vita di stenti come tornitore di lenti  e una morte prematura. Dirà con ragione il Ginevrino: chi fa voto di verità e libertà fa implicitamente anche quello di povertà.

*

Non può trascorrere questo centenario della fine della prima guerra mondiale senza ch’io renda un omaggio alla memoria di tre personaggi che furono in essa particolarmente implicati: mia zio  Antonio, Randolfo Pacciardi e Guillaume Apollinaire, che hanno rappresentato figure determinanti per le mie scelte esistenziali politiche e culturali. Della zio Antonio poco dirò che forse non abbia già detto in questo mio zibaldone. Era nato nel 1890 e ben presto era diventato, alla morte prematura del padre, il capo di una famiglia numerosa. Capomastro muratore come sua fratello, si fece tutta la guerra (caporal maggiore di fanteria nella gloriosa Brigata Alpi, nel battaglione comandato  da Peppino Garibaldi) in Italia  e in Francia dove partecipò alla decisiva ed ultima battaglia delle Ardenne, nella quale, presso Bligny, trovò la morte insieme a quattromila camerati italiani, colpito da uno schrappnell che gli troncò di netto la testa. Fu ritrovato dal fratello, che non aveva partecipato alla battaglia perché di una compagnia di riserva, il quale, recatosi  senza permesso, in compagnia del  cappellano militare, la mattina dopo sul luogo dell’eccidio; riuscì ad individuarne il corpo decapitato per via di alcuni oggetti rinvenutigli addosso - qualche lettera ed un orologio Roskopf scheggiato e fermo all’ora della tragedia- fra quelli dei i quattromila commilitoni. Per tale motivo subì la corte marziale, nella quale fu nobilmente difeso da Peppino Garibaldi, al quale avrebbe serbato  perenne riconoscenza pellegrinando ogni anno a Caprera.  Nei primi anni venti le  spoglie di zio Antonio furono da mio padre ricondotte al paese, nel cui cimitero riposano con quelle  di altri due commilitoni, gli unici delle diciassette vittime (tante per un paesino di montagna di un migliaio di persone) dell’immane tragedia scampati all’anonimato di un cimitero di guerra. Tra quei diciassette ben quattro portano il mio stesso cognome. Davvero un grosso contributo di sangue al forse inutile massacro, per noi italiani ancora più inutile per l’infame trattato di Londra manovrato  dal cowboy Wilson.   

Di Randolfo Pacciardi ho già varie volte detto in questo diario; di come, antifafascista esiliato prima, comandante del battaglione Garibaldi nella guerra civile spagnola, deputato e ministro della repubblica poi, scacciato dal partito repubblicano da Ugo La Malfa perché in discordanza con le sue scelte politiche, fondasse col generale Raffaele Cadorna comandante dei reparti partigiani, Tommaso Smith fondatore del quotidiano filocomunista “Paese sera”, Mario Vinciguerra, noto giornalista, saggista e meridionalista, il prof Caronia direttore dell’Istituto di Pediatria alla Sapienza, Giano Accame, intellettuale, storico e pubblicista di destra, ed altri, il Movimento per la Nuova Repubblica, di ispirazione gaullista, presidenzialista ed antipartitocratico, Ho anche detto altrove di come io mi fossi imbattuto nel Movimento, ben presto obbligato allo scioglimento dal fuoco incrociato della partitocrazia al potere; del rientro, in tarda età, di Pacciardi nel Partito Repubblicano, del mio averne per solidarietà accettata la tessera, tranne poi  a restituirla un mese o due dopo perché incapace di ridurre la mia collaborazione all’apertura bisettimanale di una sede del Nuovo Salario per consentire a una dozzina di vecchietti di passare il tempo giocando alle carte.. Non per questo qui lo ricordo, ma per il ruolo che egli ebbe nella prima Guerra Mondiale. Ragazzo del ’99, al suo scoppio del conflitto  era minorenne, ma riuscì a farsi accettare volontario con documenti falsi;ben presto scoperto  scoperto fu rispedito a casa per poi essere regolarmente richiamato al compimento della maggiore età. Le cronache raccontano del suo valore, delle varie medaglie conquistate sul campo, compresa una d’argento, e addirittura della proposta di una medaglia d’oro. Di questa fase della sua vita Pacciardi non parlava volentieri, mentre si intratteneva volentieri sull’epoca della guerra civile: narrava delle atrocità commesse sugli anarchici dai comunisti e (episodio esilarante insieme e sacrilego) di come facesse esercitare i giovani volontari del suo battaglione al tiro scegliendo come bersaglio una immagine sacra facilmente individuabile. Spero che Dio lo abbia perdonato.

Venendo a Guillaume Apollinaire, pochi sanno che era nato in Trastevere in un palazzo di piazza San Francesco a Ripa, dove una modesta lapide del comune lo ricorda. Fu figlio naturale di una nobildonna polacca sposata ad un ufficiale dell’ex regno delle Due Sicilie, e quando con la madre si trasferì a Parigi, dove studiò in una prestigiosa scuola privata religiosa, era già grandicello. Volontario anche lui nella Grande Guerra, fu presto gravemente ferito al capo, trapanato e congedato nel ’18, appena in tempo per esser poco dopo colpito e ucciso dalla terribile influenza spagnola, un altro dono, sembra, nonostante il nome, del del Nuovo al Vecchio Continente e al mondo.    

Di Apollinaire, entrato tardi ma con impeto nella schiera degli avanguardisti francesi, particolarmente amico di Picasso e di Max Jacob, ho amato il vitalismo, l’ottimismo, l’impeto che possiedono la sua opera, non numerosa ma ricchissima, di cui ho sempre preferito Alcools, ritenuto il suo capolavoro, e Vitam impendere Amori, l’ultima sua fatica, che non conoscevo allorché pubblicai il mio Vitam impendere Pulchro in occasione del mio pensionamento, il cui titolo non può dunque rappresentare un…plagio!

Delle sue idee estetiche trovo una breve trattazione nell’introduzione ad Alcools che ho ora fra le mani nell’edizione Larousse (17, rue du Montparnasse , 75298 PARIS) per la cura di Roger Lefèvre, e da essa attingo.

Scrive Lefèvre:

«Uno dei primi articoli di Apollinare (che fu anche un ottimo e zelante critico, nota mia) è consacrato a “Picasso pittore e disegnatore” (1905) (periodi blu e rosa): Già compare l’idea che, attraverso l’arte,, l’uomo, se rifiuta d’essere schiavo della natura, trova nel suo spirito il divino, che è l’umano autentico e libero».

«Se possedessimo  Conoscenza, tutti gli dei si sveglierebbero. Nati dalla coscienza profonda che di sé l’umanità possedeva, i panteismi adorati che le somigliavano si sono assopiti. Ma malgrado i sonni eterni, ci sono degli occhi in cui si riflettono delle umanità simili a fantasmi divini e gioiosi.

Quegli occhi sono attenti come dei fiori che vogliono sempre contemplare il sole. Oh gioia feconda, ci sono degli uomini che vedono con tali occhi.

Picasso ha guardato immagini umane fluttuanti nell’azzurro  delle nostre memorie e che partecipano della divinità. (…)»

Ancora Lefèvre: “Questa intuizione di Apollinaire  s’è arricchita di un’analisi più precisa nei seguenti aforismi posti  come prefazione al catalogo di una esposizione presentata a Le Havre nel giugno 1908: le Tre Virtù plastiche:

 «Le virtù plastiche: la purezza, l’unità e la verità dominano la natura (?) (…) Tuttavia, troppi artisti e particolarmente i pittori adorano ancora le piante, l’onda o gli uomini.

Ci si abitua presto alla schiavitù del mistero. E la schiavitù finisce per creare dei dolci passatempi (…)

Il pittore deve innanzitutto darsi lo spettacolo della sua propria divinità, e i quadri che egli offrre  all’ammirazione degli uomini  conferiranno loro la gloria di esercitare anche e momentaneamente la loro propria divinità (…).La tela deve presentare questa unità essenziale che, essa sola, provoca l’estasi (…) Ogni divinità crea a sua immagine, così dei pittori. E i fotografi solo costriscono la riproduzione della natura (…)».

Lefèvre: «Questi concetti sono nati dalla contemplazione delle opere di Braque quanto di quelle di Picasso, come dimostrano gli estratti di questi articoli del novembre 1908 intitolato Georges Braque».

«Attingendo in se stesso gli elementi dei motivi sintetici che egli rappresenta, è divenuto un creatore.

Egli non deve più nulla a ciò che lo attornia. Il suo spirito ha provocato volontariamente il crepuscolo della realtà, ed ecco che si elabora plasticamente in lui stesso e fuori di lui una rinascita universale (…) Per il pittore, per il poeta, per gli artisti (è questo che li differenzia dagli altri uomini e soprattutto dai sapienti) ogni opera diventa un nuovo universo con le sue leggi particolari.».

 

Io no so quanto in tutto ciò sia provocazione e/o farneticazione e  quanto di verità e di seria convinzione. Ma il concetto dell’artista che crea come Dio ex nihilo sui et subiecti mi è sempre piaciuta, e l’ho trovata, anche in ambito pedagogico, assolutamente proficua, non fosse che per la sua capacità di instillare nell’animo dell’uomo giovane quel minimo senso di autostima e di autoesaltazione senza il quale ogni opera di costruzione, come autocostruzione, di una personalità è destinata miseramente a fallire.                                                                                                                                               

 

*

Efemeridi

 

Può anche accadere di sognare Lev Tolstoi. Ma non il patriarca filosofo misantropo e dis-educatore di Jasnaia Poliana, bensì lo scrittore disincantato umorale e cinico della Sonata a Kreutzer e dell' Anna Karenina che ti dà il buongiorno con un bel pensiero positivo, uno di quelli che ci volevano per rasserenare questo plumbeo cielo novembrino: "Tutte le famiglie del mondo si somigliano: ognuna è infelice a suo modo " (Incipit dell'Anna?). 
Buona giornata comunque

Una pipa...storica.
In occasione del Capodanno 1968 Leonid Breznev, succeduto nel '64 a Krutschev alla guida del Partito e dell'URRS, regalò all'ambasciatore italiano a Mosca questa originale pipa in radica che raffigura, scolpita a mano, la testa di un leone. La figlia dell'ambasciatore, allora mia allieva di terza in un prestigioso Classico privato romano dove, non essendo ancora di ruolo all'Università, insegnavo filosofia per malamente sbarcare il lunario (e mio collega di italiano era un bravissimo e signorilissimo Giorgio Almirante, che insegnando si riposava, diceva, dalle fatiche della politica), ne fece dono a me, sapendo che il leone era il mio segno zodiacale, ma soprattutto conoscendo, la birboncella, le mie non proprio simpatie per la falce e il martello. Avrebbe fatto, quella pipa, la gioia del mio papà, fumatore accanito di pipa, e comunista e garibaldino irriducibile. Ma egli aveva avuto il cattivo gusto di andarsene a trovare negli ardenti empirei il suo Garibaldi, il suo Stalin e il suo Trilussa qualche mese prima. Così per alcuni anni la fumai io, in sostituzione delle terribili Gauloises, e la sua radica, incredibile a credersi, è ancora impregnata del profumo del tabacco aromatizzato con cui la alimentavo.

Ognuno si consola come può della turpe vecchiezza. Me anche in questo caso ha sempre aiutato ed aiuta quella vituperata e dai più irrisa retorica di cui tutto in me, dallo stile di scrittura al comportamento, trasuda. E così anche qui impudentemente retoricizzo, sdoppiandomi ed il me doppio oggettivando nell’aquila zarathustriana, alla quale  (qui ritratta, nell’impugnatura di  uno dei miei  bastoni da passeggio, stremata ormai ma non vilmente abbandonata alla lagnosa disperazione) così mi rivolgo:“Aquila senex, aquila lassa – in temporis vinclis iacens – pinnis unguibus fractis – quam coeli quam aëra – quam solis ictibus perculsa cacumina – Iovis fulminum tempestatumque victricem habuēre – nunc nigra vallis umbrarum –nunc quies asperrima noctis – nunc tenebrae habent et mors pallida habebit. – Sed patris Zoroastris pietas – cineribus aeteri traditis –validiori corpori animam committet. – Et rursus cum ventis decertabis – et in pecorum gregem precipitem impetum facies. – Et ridebit pater, teque se rursus oblectabit”. (“Aquila vecchia, aquila stanca, dalle ali e dagli artigli  spezzati, che i cieli e i venti e i picchi colpiti dai dardi roventi del sole ebbero vittoriosa sui fulmini di Giove e sulle tempeste, ora ti ha l’oscura valle delle ombre, l’asperrima quiete della notte, ora ti hanno le tenebre e presto ti avrà la pallida morte. Ma la pietà del Padre Zarathustra, disperse le tue ceneri al vento, consegnerà la tua anima ad un nuovo più valido corpo, e di nuovo combatterai coi venti, e a precipizio piomberai sulle greggi a valle belanti. E risorriderà il Padre, e di nuovo con te si compiacerà”.

Il testo latino è riportato, con inchiostro indelebile, sul fusto del bastone (quasi ogni mio bastone testimonia,  nella fattura e nella scritta sovrapposta, un momento saliente della mia vita spirituale).

Sorridete, se vi piace.

Lo stesso bambino, otto anni a dicembre, che tempo fa mi straziò il cuore singhiozzandomi al telefono: "E' tristissimo essere bimbi ", torna a straziarmelo se possibile ancora di più risinghiozzandomi " Non voglio andare a scuola! E' noiosissima la scuola, è preferibile la camera a gas!"
Senza parole.
San Platone, san Jean-Jacques Rousseau, san Jean-Paul Richter, san Giuseppe Lombardo Radice e voi tutti santi della descolarizzazione aiutatelo voi. Salvatelo da una scuola e da una società assassine.

________________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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