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Pascal, 'Pensieri'. Paolo Filiasi Carcano, Ojetti e il conte Primoli, il soprano Bonfadelli e Franca Valeri

Post n°1058 pubblicato il 19 Novembre 2020 da giuliosforza

 

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   Riprendo in mano i Pensieri pascaliani nell’edizione mondadoriana del 1976 curata da Paolo Serini, con una introduzione di Carlo Bo.

   Delusione. Quando, giovane, lessi per la prima volta i Pensieri, ne fui entusiasta e il suo autore diventò uno dei miei più assidui Autori di riferimento. Mi piacevano le sue ragioni del cuore, rivendicate, guardate un po’, da un Genio fisico e matematico. Poi passarono gli anni, anzi le epoche, della mia maturazione intellettuale, immutata restò la mia ammirazione per il genio scientifico (ammirazione per altro, non avendo io i presupposti per un autonomo giudizio critico, fondata sul deprecabile argumentum auctoritatis, persino per l’Aquinate, ed è tutto dire, omnium infirmissimum), per le polemiche antigesuitiche ed antipapali e la strenua difesa di Port-Royal e del Giansenismo in quanto istituzioni contestatrici e per ciò perseguitate e non per i loro contenuti dogmatici, ma totalmente dissentii dalle sue posizioni teologiche e filosofiche diventate, nella seconda metà della sua breve vita, più ossessioni da malato grave, quale egli di fatto era, che sensate riflessioni di mente lucida. Mi bastò leggere di un Pascal che scrive il nome di Gesù col suo sangue o che grida al miracolo quando una sua nipote guarisce da grave malattia dopo aver toccato, sic, una delle spine della corona di Nostro Signore finita a Port Royal e colà esposta in venerazione, per tagliar netto (faccio per dire) col giudice della Cour des Aides de Montferrand. Ignorante di fisica dei vuoti, di coniche, di teoria delle probabilità, di calcoli infinitesimali ecc ecc, che par a lui debbano tanto, per me Pascal resta, e non è poco, l’inventore di quella macchina calcolatrice (creata per facilitare i calcoli  delle tassazioni, delle entrate e delle uscite, nei contenziosi di cui suo padre suo zio e poi lui erano chiamati per il loro ruolo a giudicare) progenitrice di quella macchina un po’ più complessa detta computer e che i francesi, giustamente, ed io per dispetto con essi, chiamiamo perciò ordinateur.

   Leggere Pascal, il genio del diciassettesimo secolo, per capire e amare Voltaire e gli Enciclopedisti, i geni del diciottesimo.     

*  

    Correlatore della mia tesi di Laurea, affidatomi dal relatore Luigi Volpicelli, ebbi l’onore di avere un duca, Paolo Filiasi Carcano duca di Montaltino, ma non è per il blasone che oggi lo ricordo. Conosceva Gabriel Marcel, il filosofo oggetto della mia ricerca, insegnava filosofia teoretica e tentava una sorta di sintesi (sperimentalismo lui la chiamava) tra le varie correnti filosofiche, ma anche psicologiche, contemporanee: tra fenomenologia husserliana, pragmatismo, neopositivismo, personalismo cristiano, esistenzialismo, analisi del linguaggio, ma anche tra i vari filoni psicanalitici. Compito arduo ma assai interessante, soprattutto per me che in quei tempi vivevo una crisi di trapasso, o di superamento, da un tomismo non dico riveduto e corretto, ma nemmeno mitigato, nemmeno ‘neo’, quale studiosi illustri tentavano di riproporre. La signorilità, e non mi riferisco al titolo nobiliare, di Filiasi Carcano era a tutti  nota e da noi tutti ammirata; come ammirata era la sua cultura e quella di tanti altri professori ‘signori’, di cui era ricca la mia facoltà (prima a Genova poi a Roma), dai filosofi Poggi e Sciacca ai latinisti  Della Corte e Marmorale, dal Silva storico  al francesista Baridon, dal Piccolo filologo al Praz francesista e al Caraci geografo…In sede di esame mi fece parlare a lungo, non mi interruppe quasi mai, il mio più che un esame di laurea fu una benevola conversazione tra due generazioni e due scuole. Il suo ricordo mi è tornato alla mente osservando il mio certificato di laurea appeso accanto a quello di una mia figliola su una parete della mia casa paterna restaurata, nel mio natio borgo selvaggio, da quella figlia abitata ed amata anche per me, che troppo poco la vissi, ed erano gli anni tribolati della guerra. Amo credere che tra gli spiriti che ora la inabitano e che l’inabiteranno, il mio compreso, vi sia ora anche il duca di Montaltino, che accanto a uno …Sforza, forse di duchi progenie bastarda, non dovrebbe sfigurare.

*

   La follia di Lucia, nella gigantesca struttura della Lucia di Lammermoor, è indubbiamente il momento più lirico e drammatico. Me lo sono goduto in tv nella interpretazione della soprano Stefania Bonfadelli, la figlia adottiva di Franca Valeri, brava ma con qualche problema negli acuti, del baritono Roberto

Frontali nel ruolo di Enrico, e del tenore argentino di Cordoba Marcelo Alvarez in quello di Edgardo. L’edizione era quella genovese del 2003 affidata alla bacchetta di Patrick Fournillier e alla regia di Graham Vick.

   La Lucia è sicuramente l’opera più conosciuta di Donizetti; ricordo che  persino i contadini analfabeti del mio paese ne citavano il nome, e il motivo ne era che la tradizione volesse qualche prova della Lucia Donizetti averla fatta nella nostra piazza della Peschiera nel breve periodo ellastivo che  il compositore bergamasco trascorreva a Riofreddo, il paese molto prossimo al mio di cui era oriunda la moglie Teresa Vasselli, una povera martire che tutta la vita dovette sopportare i continui tradimenti del marito; al quale, ahilui,  sarebbero costati cari: i suoi ultimi anni furono di fatti  tormentati da follia da sifilide e da un lungo, poco piacevole  soggiorno nel manicomio d’Ivry-sur-Seine, ove avrebbe trascorso gli ultimi anni prima che amici lo riconducessero a morire a Bergamo. Riofreddo, già altre volte mi par d’averlo ricordato, oltre alla memoria donizettiana ne vanta una garibaldina per via della grande villa appartenuta a Ricciotti Garibaldi, ora Museo, in parte ancora periodicamente abitata dalla nipote Annita (sic, due enne, con una enne sola si chiama una cugina) Garibaldi Jallet figlia unica di Sante morto in Francia.

(Mentre scrivo Rai Cultura omaggia il grandissimo, dicono, regista, attore, medico ecc. Jonathan Miller nel primo anniversario della morte avvenuta a 85 anni, con la riproposizione delle sue Nozze di Figaro del 2003 con Zubin Metha al podio del Maggio musicale fiorentino. Lo so che è un oltraggio usare la musica, soprattutto quella grandissima, come sottofondo. Ma con me ad ascoltare essendoci oggi anche Donizetti mi ritengo perdonato. Se poi la musica è stata il sottofondo di tutta la tua vita… Ora Susanna sta cantando un   lungo recitativo, una sorta di incantata serenata alla natura, alla luna e al suo amore. Stupenda).

   Questa Lucia, anche se interpretata da attori giovani, forse proprio per questo, non mi dispiace. Conobbi la Bonfadelli a Rieti al teatro Flavio Vespasiano una ventina di anni fa in occasione del concorso internazionale intitolato a Mattia Battistini, il celebrato baritono morto nel 1929 nella sua villa di Contigliano, a pochi chilometri da Rieti. V’era anche la Valeri, sua madre adottiva, organizzatrice e patrona del festival. Non ricordo che spettacolo si desse quella sera. V’era presente anche Bruno Cagli, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, probabilmente membro o presidente di giuria, che si disse come me soddisfatto. Allora la Bonfadelli era una bella promessa. Peccato non si sia dedicata esclusivamente alla lirica.

*

   Ho sopra accennato al museo napoleonico di Ponte Umberto 1° a Roma perché in esso abitava il noto francesista Mario Praz, che lì ebbi modo di conoscere non ricordo in quale circostanza (forse per una consulenza circa la mia tesi di Laurea su Marcel, che egli ben conosceva). Ora leggo che il palazzo era appartenuto al grande collezionista d’arte conte Giuseppe Primoli, nipote di Napoleone Bonaparte, perché sua madre Charlotte era figlia di Luciano principe di Canino, fratello minore dell’Imperatore. Fu il Primoli che, morendo, donò al comune di Roma la sua stupenda collezione. Un grande piazzale, a metà del percorso di Via Ojetti, lo ricorda nel Quartiere Talenti (che in più parti di questo diario ho particolareggiatamente descritto, dopo Flaiano che prima di morire ebbe modo di assistere alla sua costruzione) ove abitai e nei cui pressi ora abito. Il padre di Ojetti, Raffaello, notissimo architetto, aveva restaurato la facciata del palazzo Primoli abbattuta in occasione della costruzione dei muraglioni del Tevere. Ora capisco perché nel Quartiere Talenti il viale principale sia dedicato ad Ojetti figlio, e a Primoli un grande piazzale a metà circa del suo percorso: il critico d’arte giornalista e scrittore Ojetti, e il collezionista Primoli si richiamano a vicenda. Dopo la guerra Ugo Ojetti fu uno dei grandi epurati, punito dalla damnatio memoriae per aver aderito al Fascismo. Per una volta gli odonomasti capitolini non furono meschinamente e puerilmente faziosi e resero onore al merito dedicando al conte la più bella strada del nuovo Quartiere.      

 ________________

  Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 
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