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« Mit Goethe. Il Dante di ...Calligrafia ed altro. »

"Heldenplatz" di T. Bernhard, "La cantatrice calva" di Jonescu, Emma Dante regista

Post n°1062 pubblicato il 09 Febbraio 2021 da giuliosforza

 

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   Mi ero imbattuto in  Thomas Bernhard, nel suo turbato e conturbante Spirito, mediante la lettura di Grandi Maestri, un libro anarchico e ribelle nello stile e nei contenuti, ed ero rimasto sconvolto, positivamente sconvolto, dalla potenza e dalla libertà del suo pensiero, dal suo coraggio civile, dalle sue denunce a catapulta, da suoi attacchi feroci alle istituzioni (civili e religiose, Chiesa cattolica in particolare) ritenuti responsabili dell’appiattimento estetico, morale, intellettuale, culturale e umano in genere dell’Austria postbellica, insomma del  suo re-imbarbarimento. Le ‘insolenze’ bernhardiane non furono bene accolte, come ci si poteva attendere, e lo scrittore fu accusato dalla stampa di ogni colore di essere un Nestbeschmutzer, uno che insudicia il nido dove è stato allevato, più volgarmente uno che sputa nel piatto dove ha mangiato. Ma il bello e il forte è che Thomas proprio sulla natura del nido, sulla natura del piatto ce l’ha! Non salva nemmeno il Kunsthistorisches Museum, dove il protagonista va settimanalmente a fare le sue considerazioni; solo un poco si salva il Musikverein, il tempio della Musica, dalla quale solamente, dice, forse ci si può attendere un minimo di salvazione.

   Rai5 ha inteso celebrare la Giornata della Memoria (sulla quale ho troppe volte espresso la mia opinione, perché stia qui a ripetermi), trasmettendo il capolavoro della sua drammaturgia, Heldeplatz, Piazza degli eroi, che i curatori dell’edizione televisiva hanno per così dire sforzato alla circostanza. Si tratta, come ho accennato, di una delle opere drammaturgiche più celebrate di Bernard, che era destinata debuttare a Napoli al teatro Mercadante, debutto poi rimandato per i regolamenti anti-covid. Secondo i curatori vorrebbe rappresentare “una riflessione sulle macerie del '900 e sul ritorno di nuovi fascismi o nazismi” e la trama lo giustificherebbe.  Ma nell’intenzione bernhardiana la Piazza è qualcosa di più che un luogo reale. Essa si dilata metaforicamente fino a comprendere l’intero mondo ove una umanità trascina una vita insulsa e tragicamente ridicola, se osservata dal punto di vista della morte: Es ist alles lächerlich, wenn man an den denkt.
   Questa in estrema sintesi la trama. Vienna, 1988. Il professor Schuster, intellettuale ebreo, torna nella sua città dopo un esilio iniziato al tempo in cui Hitler annunciò l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Accadeva 50 anni prima, nella piazza che dà il nome all’opera di Thomas Bernhard. Rientrando in patria, Schuster ritrova un paese incattivito, dove l’odio avanza nuovamente. Non potendolo sopportare, pone fine alla sua vita, precipitandosi da un palazzo affacciato sulla Piazza degli Eroi.
  «Piazza degli Eroi - scrive il regista Roberto Andò - è un capolavoro che, inspiegabilmente, in Italia non è stato mai messo in scena. Oltre a essere il testamento di Thomas Bernhard, lo si può considerare il suo testo più politico, pur consapevoli che questo autentico genio ha sempre declinato la politica in termini esclusivamente poetici. Qui Bernhard colpisce con il suo furore indomabile la zona più oscura del nostro tempo, il ritorno in campo di una destra fascista o nazista. Nel disegnare il suo estremo congedo dalla vita e dal teatro, Bernhard sceglie di dare un nome e un tempo all’ottusità brutale che vede avanzare. Ma come accade nelle opere più profonde profetiche, l’Austria di Bernhard è un luogo concreto e, contemporaneamente, una metafora. Così come lo è la piazza che dà il nome al testo, la stessa in cui nel 1938 Hitler annunciò alla folla acclamante l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al destino nazista della Germania». «Se è venuto il tempo di rappresentare in Italia Piazza degli Eroi - continua il regista - è proprio perché, a dispetto della inedita precisione realistica di Bernhard, per comprendere oggi il senso di questo testo visionario e catastrofico non occorrono indicazioni di luogo e di tempo. Gli spettatori che assisteranno a Piazza degli Eroi, capiranno subito che l’azione si svolge in una qualsiasi piazza da comizio, di una qualsiasi città d’Europa».

*

  A completare il lauto menu di questi giorni non poteva mancare Eugen Ionescu con la sua Cantatrice calva e il teatro dell’assurdo.

   Tra i grandi rumeni che ho avuto modo di frequentare Ionescu non è stato il mio prediletto. Il suo ‘teatro dell’assurdo’ non mi ha mai convinto e conquistato. Diversamente è stato per  gli altri esuli come lui Emil Cioran de L’inconvénient d’être né, Vintila Horia di Dio è nato in esilio, il poeta e filosofo Lucian Blaga, il grande antropologo, filosofo, storico delle religioni Mircea Eliade, il suo discepolo Ioan Petru Culianu (che un anno dopo aver partecipato con Elemire Zolla al Colloquio internazionale -Roma, Arsoli, Vivaro- uno dei tanti organizzati dalla mia Cattedra  e dall’Associazione culturale di Varia Umanità e musica  ‘Vivarium’, al suo rientro a Chicago fu assassinato da un sicario forse di Ceausecu. Il titolo del Colloquio era Dialogo delle Civiltà”, Religioni ed Educazione ed ebbe grande risonanza sulla stampa.

*

Un’altra chicca di Rai5: Il Lago dei Cigni.

   Si tratta del balletto classico più amato messo in scena nel 2004 al Teatro degli Arcimboldi, con la direzione musicale di David Garforth. Sul palco due star assolute della danza internazionale: Roberto Bolle e Svetlana Zakharova, nei panni di Siegfried e Odette/Odile. La coreografia è firmata da Vladimir Bourmeister, lontano discendente di Cajkovskij, che la realizzò nel 1953 basandosi sulla partitura originale del balletto. Le scene e i costumi sono di Roberta Guidi di Bagno, mentre la regia televisiva è di Tina Protasoni.

 I miracoli esistono. Sono le gambe  le caviglie le punte dei piedi della Zakharova. La Zakharova è la Danza nella sua perfezione. Sconfitta la forza di gravità. Danza di Nietzsche.

*  

 “Argerich and Friends”: di Shostakovich, Sonata per violoncello e pianoforte (Mischa Maisky cello, Argerich piano); di Peter Heidrich, Variazioni sul tema di Happyburtday; di Saint-Saens, Carnevale degli animali (Due pianoforti -Pappano Argerich- e complesso da camera), questa l’offerta di oggi pomeriggio di Rai5. Raffinatissima. Un Pappano così bravo pianista non lo immaginavo, come direttore lo amo, ma le smorfie scomposte che fa con la bocca, quasi fosse sotto l’effetto di un continuo riflusso gastrico, me lo rendono talvolta insopportabile.

*

   Rai5 mi tiene sveglia la mente mentre diletta il mio orecchio. Per la prima volta non mi pento di pagare il Canone, non lo ritengo più un ladrocinio. Questa è di nuovo la volta della Cavalleria rusticana, ma nella versione registica di Emma Dante, la discussa, come tutte le persone di ingegno, cinquantatreenne palermitana attrice, regista di prosa e d’Opera, scrittrice la cui fama ha varcato ormai lo Stretto, le Alpi e gli Oceani.

   Non ho simpatie per il verismo e per il Verga da cui il toscano Mascagni prese ispirazione per la sua Cavalleria. Ma la Cavalleria rusticana (soprattutto il suo intermezzo di cui posseggo una elaborata riduzione per organo, sotto molti aspetti più ricca della partitura orchestrale) mi piace per la freschezza, l’‘ingenuità’, etimologicamente intesa e resa, della sua ispirazione e anche per la sua brevità che le consente di essere intensa in ogni momento senza cadute lungaggini stanchezze. La versione trasmessa da Rai5 è quella bolognese di qualche anno fa.   Riporto le note introduttive di Roberto Mori, che condivido pienamente:

   “Clima decisamente diverso (da quello de La voix humaine di Prancis Poulenc trasmessa nella stessa serata, nota mia) nell’allestimento di Cavalleria rusticana. Il contrasto visivo è forte. In un palcoscenico nero, quasi vuoto, tre piccole strutture mosse da figuranti creano i luoghi dell’azione: un terrazzo, il balcone di Lola, l’osteria di mamma Lucia, l’altare e le scalinate della chiesa. Non un contesto realistico. Per Emma Dante, l’opera non evoca cartoline o i luoghi comuni dell’iconografia verista, ma un clima di passione pasquale percorso da tristezza sconsolata, violenza e, soprattutto, da un senso religioso preminente e opprimente.
   Anche se non mancano momenti di ironia e giocosità (le danzatrici-cavalle impennacchiate di Alfio), la Dante trasforma di fatto 
Cavalleria in una sacra rappresentazione. E qui la sua chiave di lettura non quadra del tutto. Fin dall’inizio appare un Cristo nero che trascina la croce sotto le frustate del centurione, seguito da Maria e dalle pie donne, percorrendo le tappe di una Via Crucis che si concluderà con l’identificazione fra il pianto di mamma Lucia e quello della Madonna e quindi con un evidente, quanto forzato parallelismo fra il martirio di Cristo e quello di Turiddu (che agnello sacrificale proprio non è). Il tutto suggellato dalla citazione del Compianto sul Cristo morto di Niccolò Dell’Arca. In questa discutibile cornice sacra, si affastellano così momenti bellissimi (il duetto-sfida fra Turiddu e Alfio coi suoi picciotti) e altri meno convincenti, come il brindisi-baccanale che si conclude con uno svenimento collettivo. Tuttavia, al di là delle forzature e di alcune soluzioni meno riuscite, si tratta pur sempre di uno spettacolo ben gestito, che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, la capacità di Emma Dante di fare vero teatro”.

*

 Il piatto forte della mattina del giorno dopo è L’Angelo di fuoco di Prokoviev, l’autore che con Shostakovich dovette maggiormente barcamenarsi col più nero periodo dell’oscurantismo estetico staliniano, e per questo lo amo. Insieme a Strawinskij è il mio prediletto fra i compositori russi del Novecento. Fu anche uno degli autori preferiti del ‘Seminario di educazione all’ascolto’ curato da Maria Teresa Luciani per gli studenti del mio corso di ‘Metodologia dell’educazione musicale’. Mi stravacco in poltrona e mi godo finalmente in pace, grazie all’eremitaggio impostomi dal covid (ma sempre solitario, non solo, son io: è l’imposizione che rischia di togliermene tutto il gusto) il fantasioso capolavoro (fantasioso alla seconda potenza, per il pesante, anche questa volta, intervento scenografico di Emma Dante) nell’edizione andata in scena nel 2019 al Costanzi di Roma con Alejo Pérez sul podio e nel cast Ewa Vesin, Leigh Melrose, Anna Victorova e Mairam Sokolova.   

 ___________

   Gelobt seist du jederzeit, Frau Musika!

 

 
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