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Goethe. Primo giorno di Primavera. Gabriele legge Dante. Adone

Post n°1072 pubblicato il 06 Aprile 2021 da giuliosforza

 

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   Oggi ricorre il 189esimo della morte di Johann Wolfgang von GOETHE. Vi scandalizzero' se confesso che, con un Italiano che non dico, lo sento a me più 'prossimo' di Dante?  

*

   Primo giorno di Primavera. Ma Primavera non brilla nell’aria per li campi esulta. Algida è l’aria, arida l’anima. Non restano, Lesbia,  che i ricordi dei nostri focosi… basia mille, delle nostre, quelle sì, policrome e tiepide, primavere, in barba ai mugugni dei vecchi barbosi’ (senum severiorum),                                                                                                    / deinde centum, / dein mille altera, deinde centum, / dein mille altera, dein secunda centum, / deinde usque altera mille, deinde centum… Ma a che tanti ricordi se soles occìdere et redire possunt / nobis cum semel òccidit brevis lux, / nox est perpetua una dormienda? Se, mentre i giorni luminosi possono tramontare e tornare, a noi, una volta trascorso il breve giorno, non resta che dormire una notte eterna? Bastano, Lesbia, i ricordi? O non resta che la disperazione? La disperazione del giovane Werther e del giovane Wolfgang sturmista e preromantico che la descrisse ,e che per Massenet tradussero in bei versi Edouard Bau, Paul Milliet e Georges Hartmann? Perché risvegliarmi, soffio di Primavera? Pourquoi me réveiller / Sur mon front je sens tes caresses, / Et pourtant bien proche est le temps / Des orages et des tristesses! / Pourquoi me réveiller, / Ô souffle du printemps? / Demain dans le vallon / Viendra le voyageur / Se souvenant de ma gloire première. / Et ses yeux vainement / Chercheront ma splendeur. / Ils ne trouveront plus que deuil / Et que misère! hé1as! / Pourquoi me réveiller, / Ô souffle du printemps?

   Non disperiamo, mia Lesbia. Decidiamo (ché solo dalla nostra Wille zum Leben, dipende la nostra immortalità) che altre primavere ci attendono, e miliardi, non migliaia di baci, quali solo una Lesbia-Éternità può garantire, i miliardi di baci e non la disperazione del giovane Catullo e del giovane Werther, sottratto alla bella prosa di Goethe e affidato al canto post-romantico di Massenet.

*

   Riprendo il Non Finito di Giovanni Papini. Sono all’8 gennaio 1900. Ha diciannove anni meno un giorno.  Del suo compleanno scriverà: “9 Gennaio. Oggi compisco 19 anni. Giorno di noia, di svogliatezza. Non ho fatto niente o quasi. Ho leggiucchiato qualche giornale; poi, la sera, sono andato fuori con Prezzolini, Mori, Morselli, Poggi, Bandini. Han parlato anche della lettura di D’Annunzi. Anche la compagnia degli amici mi riesce pesante.

   Stasera ho incominciato a leggere la Fiera delle vanità, del Thackeray. Promette bene, l’umorismo è fino benché un po’ prolisso.

   Il giorno prima aveva scritto:

Stamani son rimasto in casa per studiar tedesco. Fra l’altro ho tradotta una poesia dell’Hölty: La morte. Questo poeta morto giovane (a 28 anni) meriterebbe di esser studiato. È una poesia del dolore.

   Il giorno sono andato da Prezzolini a studiare un po’ di latino. Poi siamo usciti insieme e abbiamo girato qua e là a comprar libri.

   Dopo ho trovato Baldini e l’ho accompagnato a casa. È stato malato assai ed è ancora molto debole. Mi ha parlato della lettura odierna di Dante fatta da Gabriele D’Annunzio a Orsanmichele. Il D’Annunzio, come il solito, ha parlato di tutto fuorché di quello di cui era stato invitato a parlare, cioè dell’VIII canto dell’Inferno: Ma ha parlato bene, armoniosamente ed elegantemente, come egli sa: in fondo ha letto una sua bellissima laude”.

   Avrebbe potuto esser diversamente? Che onore per Dante!

   Non conoscevo l’Hölty. Mi toccherà comprarlo, e anche questo lo dovrò a quel giovanottello, assatanato curiosissimo lettore di nome Papini. Vado a controllare nella mia raccolta di Lieder e trovo che molte delle sue poesie furono in seguito musicate dai vari Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Brahms…

*  

   Nec deus intersit nisi dignus vindice nodus.

   “Prendi Dio che a te le squadro”.

   Orazio e Vanni Fucci (quello delle amendue le fiche: nemmeno Capaneo aveva osato tanto) mi ronzano stamane nelle orecchie. Ed il perché ignoro.  

*

   Ho sognato tutta la notte di disquisire con filosofi e teologi trascendentisti del mio aberrato panteismo. Processo mistico di discesa (proodòs): dall’Assoluto trascendente all’Assoluto immanente il mio (Lui Tu Natura Io,); processo mistico di risalita (epistrophé): dall’Assoluto immanente all’Assoluto trascendente (Io Tu Natura Dio) il loro. Prima del sorgere del potere razionale oggettivante (infanzia adolescenza) prevalenza del sentimento dell’unità; in età di presa di coscienza, prevalenza del dualismo o pluralismo, oggettivazione e trascendenza. Ma non ho di meglio da sognare? Per esempio, un De Musset che chiede: Regrettez-vous le temps où le ciel sur la terre / marchait et respirait dans un peuple de dieux? E un adolescente Arthur che di rincalzo risponde: Je regrette le temps de l’antique jeunesse / des Satyres lascifs, des faunes animaux? Molto più semplice, molto più chiaro, molto più in-mediato. E molto più ‘pagano’, che ve ne pare?

*

   Su Rai5 la riduzione teatrale da parte di Luca Ronconi di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, per il quale non stravedo, come non stravedo per il suo autore Gadda. Ma mi piace Corrado Pani, un po’ meno mi piace Graziosi; di più mi piace Ilaria Occhini, bellissima e bravissima, non per niente nipote di Giovanni Papini, e moglie del raffinatissimo Raffaele La Capria, ultranovantenne, di Lei rimasto recentemente vedovo. E un Otello verdiano (penultima opera del Maestro, ove finalmente si recepisce la atmosfera europea e specialmente wagneriana) molto gradevole, registrazione Rai del 1958 con Mario del Monaco e Rosanna Carreri. Il bel tenore dalla bellissima voce particolarmente ‘cruda’ quasi baritonale ma ciononostante di grande estensione fu l’idolo maschile lirico, paragonato a Caruso e a Gigli, della mia generazione. Troppo presto morì di una crisi cardiaca conseguente ad insufficienza renale per la quale era in dialisi, e lo ripiangemmo a lungo. Bravissima Desdemona Rosanna Carteri, la veronese morta novantenne l’ottobre scorso: meno celebrata di lui, ma che nulla aveva da invidiare alle sue famose colleghe più giovani, Tebaldi Callas Freni Devia Scotto... Io, che all’Opera ho sempre preferito la Musica sinfonica, non schiavo del pregiudizio per il quale tutti gli strumenti dovrebbero mettersi al servizio di quello più nobile, la voce umana appunto (il superamento della querelle avviene con Wagner che fa della voce umana uno strumento fra gli altri, con essi sin-fonicamente in pari dignità colloquiando e fondendosi), non sono per questo sordo al richiamo di una bella vocalità, singola o di gruppo (di questa in particolare che sola può raggiungere il massimo dell’indipendenza espressiva e degnamente competere con l’insieme strumentale) e dove essa esista godo immensamente come di uno dei più bei doni della Natura che per me, uditivo ingiustamente punito nel senso dell’udito, ancor prima e più che colore è Suono, se è vero che da un Ur- Klang, un primitivo Suono il Tutto-Universo iniziò a configurarsi.      

* 

   Tornando all’Adone del Cavalier Marino.

   Se l’Adone mi piace dipende anche dal fatto che mi ricorda una delle opere di D’Annunzio che preferisco, quel Martyre de Saint-Sébastien, inviso a molti critici nostrani pruriginosamente moralistici,in cui misticismo e passione, poesia e musica, parola e suono (infine dissolventisi l’una nell’altro) si rivelano in più perfetto connubio. Hélène Tuzet nel citato Dizionario dei miti letterari (Tascabili Bompiani 2004, Dictionnaire des mythes littéraires, Éditions du Rocher, 1988, Monaco) alla voce Adone, riferendo del Martyre fa una lucida e serena disamina della grande opera dannunziano-debussyana, la cui parte poetica dalla critica becera e rancorosa di casa nostra è sovente svalutata a vantaggio di quella musicale (che mai, è bene ricordarlo, fu in più felice connubio coi versi che la ispirarono). Quando la lessi venivo da un farraginoso (oltre tutto disturbato dal chiacchiericcio continuo di Carmen Llera, fresca vedova …allegra di Moravia, con l’amante di turno) Martyre di Villa Medici pieno di bizzarrie registiche (fra cui l’affidamento ad un uomo della parte del protagonista che era stata di Ida Rubinštejn) nella quale la identificazione Adone-Saint Sébastien era svuotata completamente della sua connotazione esoterica. Ecco cosa scrive la Tuzet:

   “A dispetto del titolo, in quest’opera Adone occupa lo stesso spazio di Sebastiano. Questo gioco drammatico ci fa vedere sulla scena -caso unico- i fedeli del dio che celebrano le Adonie.

   L’ambiente è un Impero Romano passato allo stato di mito del decadentismo: confusione dei culti, decomposizione religiosa di cui si compiace un imperatore egli stesso mitico. Sullo sfondo un’Asia, speziata di aromi, patria di un brulichio di riti strani; mistica e sensuale inseparabilmente. La musica – geniale – di Debussy è fedele a questa atmosfera.

   Il vero tema è lo sforzo del cristianesimo nascente, incarnato da Sebastiano, di liberarsi da questa ‘turma’; mentre il culto di Adone ha qui il compito di farvelo ricadere. Ma la figura del santo, troppo affascinante, si presta all’equivoco. L’imperatore, invaghito della sua bellezza, vuole divinizzarlo identificandolo con Adone. Se egli cerca di evocare il suo Signore, riecheggia subito il canto delle celebranti delle Adonie: anche Cristo…Sebastiano non sfuggirà ad esse se non con la morte: si impossessano anche del suo corpo trafitto di frecce; solo la sua anima entra in Paradiso - e la musica ci trasporta con esso.

   Lo scenario dell’opera è forse il più asfissiante che abbia prospettato il decadentismo europeo. Tuttavia, perché D’Annunzio era un vero artista, ha saputo rispettare l’eredità di Bione: i canti delle celebranti delle Adonie conservano una linea molto pura. Questo spettacolo, sfarzoso e sovraccarico ci ha dato, nel 1911, ciò che si poteva fare di più vicino alle Adonie antiche. (Op. cit. pag. 26)  

____________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika!

 

 
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