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'Zvanì', 'Giosuè'... Notti gianicolensi. Amore e Morte

Post n°1125 pubblicato il 27 Maggio 2022 da giuliosforza

 

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   Che resta da fare a un vecchio se non re-inventarsi, nella veglia e nel sogno, il più possibile magnificandola, la vita trascorsa? A me ciò riesce assai bene: diversamente non mi resterebbe che attendere una morte ignominiosa (plebea, son solito dirla), non ‘mortificante’ (che etimologicamente suona: ‘dante la morte’, da mortem facere, dunque Morte che uccide la Morte, morte della Morte!).  

   Ecco come ho giocato stanotte.

   In primo luogo mi son visto  lettore e commentatore di ‘Pianto antico’, la struggente breve lirica di Carducci, anzi di Giosuè; sì perché del ‘Leone di Maremma’ io ho sempre amato Giosuè, l’autentico poeta, il Giosuè-uomo còlto nei  momenti di più puro lirismo, e non nella pomposità di Poeta “laureato” e di vate ufficiale dei (ne)fasti della neonata Italietta e dei suoi fondatori; precisamente come m’è assai più caro ‘Zvanì’ dell’anche lui ‘laureato’ Pascoli, ‘laureato’ se non col Nobel, con le numerose vittorie riportate nelle gare internazionali di Poesia latina di Amsterdam, coi cui ricavati (una volta tanto le muse si smentirono e furono generose, e non solo di pane) poté comprarsi la casa-rifugio, ora santuario, di Castelvecchio di Barga. Solo dell’Ermapollodionisiopescarese, -questo l’endecasillabo che mi sono inventato per D’Annunzio- non mi è possibile distinguere, per ovvi motivi, il nome dal cognome.

   La seconda parte della notte l’ho trascorsa tutta al Gianicolo con quelli, dei miei studenti o dei “metanoetici”- tali dal nome dell’Associazione cultural-corale extraaccademica ‘Metanoesi’ che ci eravamo inventata per i nostri ludi …extramoenia - che con me, dopo l’omaggio al Nolano a Campo dei Fiori, salivano sul più bel Colle di Roma per festeggiare e brindare con l’akolàste pròposis, il Brindisi Libertino.

   Le nostre notti al Gianicolo si concludevano così goliardicamente con una giocosa sfida poetica tra l’Apollo-Johann Wolfgang e il Dioniso-Giulio: tanta, non c’è che dire, la mia presunzione, ma bisogna riconoscere che i pur perfetti settenari  del Bundeslied del giovane ventiseienne Francofortese, scritti per celebrare il matrimonio di certi amici svizzeri, non sono, in quanto a contenuti, all’altezza dell’autore del Faust e dell’West-östlicher Diwan, sono poco  più di quelli improvvisati dagli  stornellatori in qualsiasi matrimonio villico. I miei quindici endecasillabi e i due settenari, che non s’aspettano l’onore di esser musicati da un melanconico Franz, come fu dei versi goethiani, hanno invece il merito della ricercatezza dell’ironia e dell’irriverenza, pregi che normalmente vanno stigmatizzati ma che non guastano mai quando si è posseduti dallo spirito birichino del Nolano e dei suoi amici Elio e Dioniso con relativi corteggi di Muse pudiche o di mènadi discinte! Poi… poi sono, ed è la cosa che conta, autenticamente ‘pagani’, una qualità che non può mancare quando si brinda per dileggio sulla Roma addormentata dei necropompi, dei necrofori, dei tafei!

   Ai giovani le nostre nottate gianicolensi piacevano da morire e molti, fatti ormai uomini seri, le rimpiangono. Anche il Vegliardo giuntalodiano, naturalmente, le rimpiange, ma ormai non gli resta che attendere di poterle rievocare nei Campi Elisi.

   Ecco dunque la tenzone poetica. A voi l’ardua sentenza, poi riderete di cuore, se vi va!

   Del Bundeslied riporto solo alcuni versi, quelli che declamavamo sul Gianicolo, ma che in qualche modo anticipano lo spirito di tutta la composizione.

   Apollo chiama Dioniso:

     In allen guten Stunden,

     Erhöht von Lieb’ und Wein,

     Soll dieses Lied verbunden

     Von uns gesungen sein!

     Uns hält ein Gott zusammen,

     Der uns hierher gebracht,

     Erneuert unsre Flammen!

     Er hat sie angefacht.

     So glühet fröhlich heute,

     Seid recht von Herzens eins!

     Auf, trinkt erneuter Freude

     Dies Glass des echten Weins!  (J. W. Goethe, Bundeslied)

     (In tutte le meravigliose ore / nobilitate dell’Amore e dal vino / questo canto all’unisono / da noi deve essere levato. / Ci tiene insieme quel Dio / che qui ci ha condotto / e che rinnova le nostre fiamme! / quelle che Lui ha alimentato.

     Rallegratevi dunque oggi, / siate uni di cuore! / Orsù, alzate con rinnovata letizia / questo calice di vino verace!).

   E Dioniso risponde:

     Chàirete Dàmones!. Stendete, amici

     L’anima vostra e il vino la cosperga.

     Ed intrisa d’essenza il dio che l’ama

     Di sé inebri ed il mondo un folle iddio

     S’abbia novello che negli interstizi
     Intramondani capriolando il Tutto

     Colmi di Gioia insana, e Ilarità

     Faccia sua concubina, e dionisiaca

     Prole ne nasca cui oinopòtes Pan

     E Panodé sia nome e Panpaiàn.

     Da gole piene il canto

     Sgorghi e l’ombre inimiche fughi: il Lutto

     E la Tristezza e lor schiere di neri

     Corvigracchiantiausteri.

     E Panéuthymos vinca, regni e imperi.

 

     V’ha chi sua trenodìa fa sotto i salici;

     Noi a Panakòlastos alziamo i salici  (Giulio Sforza, Akolàste Pròposis)

 Codicillo del 26 10 ’96:

     Uni da Urano Gea li concepì

     Prototipi del Superuomo un dì.

     Zeus li divise, all’Unità li rese

     Ermapollodionisiopescarese.

*

   Sto rileggendo, di Béatrice Commangé, La danza di Nietzsche (Gallimard, Paris, 1988, Guanda, Parma, 1994. In copertina il Nietzsche, già immerso  nella sua lucida Follia, nella interpretazione di un altro lucido Folle, Edvard Munch). Un ottimo messaggio-massaggio per chi è minacciato di intorpidimento nel corpo e nell’anima.

*  

   Amore e Morte

   Per la prima volta mi gusto per intero, in tv, nello sconquasso dell’anima e del corpo, un “Andrea Chénier”, quello trasmesso da Rai5 nell’allestimento che inaugurò la stagione scaligera del 2017, direttore l’ottimo Chailly da sempre difensore e celebratore, contro l’albagia dei tanti critici, ungarettiani “termometri anali”, del capolavoro giordaniano. Seguo positivamente sgomento per tanta bellezza fino ad oggi a me sfuggita. Verismo assoluto, ma anche romanticismo assoluto. Superamento di sigle e categorie. Simbiosi perfetta di regia scenografia testo e canto. Me lo godo come un’opera del miglior Wagner, un vero e proprio Gesamtkunstwerk, un Gesamtkunstwerk italico, finalmente. Opera immensa (la passione della prima volta forse m’acceca?), potentissimo dramma d’amore e di morte nella drammaticissima cornice della Rivoluzione. E a ragione, dunque, più di una volta vengono con proprietà evocati testo e atmosfera lirica del Tristan und Isolde e se ne respirano misticismo ed incanto. E preludio all’atonalità, per ora limitato alla non indicazione di tonalità in chiave. Bella bella bella, forte forte forte, l’Opera di Giordano. Che egli sia, dunque, lodato con il troppo spesso, anche da me, negletto Illica: ché in Chénier libretto e musica si fondono a tal punto da farne apparire gli autori come un’unica persona in carne ed anima, cor unum et nima una. L’urlo finale all’unisono dei protagonisti ‘invasati’ (quasi isoldiano ‘unbewusst, höchste Lust!’), “Amore e Morte, Amore e Morte”! mi riecheggerà a lungo nell’anima.  

____________________    

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

  Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika!

 

 

 
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