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'Miserere' di Gregorio Allegri. Autunni. Misoamericanismo ed altro

Post n°1144 pubblicato il 05 Novembre 2022 da giuliosforza

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   Miserere di Gregorio Allegri (Rairadio 3, ‘Qui comincia’). Subito stampata la partitura. Si tratta del noto Miserere per due cori di cinque voci dispari che con altri, in una sorta di gara, veniva eseguito nella Settimana Santa nella Cappella Sistina. Sicuramente suggestivo. Ma dal punto di vista della struttura musicale niente di trascendentale. Narrano che il giovane Mozart di passaggio in San Pietro ne fosse talmente impressionato da mandarlo a mente dopo averlo ascoltato e di averlo subito trascritto (ne era vietata la diffusione, pena gravi sanzioni, scomunica compresa). La cosa non mi meraviglia più di tanto. Ci sarei forse riuscito anche io, talmente poco complicati sono armonia e contrappunto! I versetti del salmo 50 si intercalano: uno in recitativo  gregoriano, l’altro in polifonia. La cosa più originale è l’assolo di un soprano che a un certo punto prende slancio, si stacca dal coro  e si produce in un ardimentoso gorgheggio da Regina della notte toccando credo un si bemolle acuto (Si bemolle  maggiore è la tonalità del Miserere).

   Comunque non ne è inutile l’ascolto. E mi dispiace di non averlo mai messo nel repertorio dei miei cori. Su You tube se ne trovano svariate versioni. Anche la lunga partitura può essere facilmente stampabile e diffusa. La scomunica non vige più e i diritti non sono più riservati! Almeno col Miserere dell’Allegri non si impinguano più le finanze vaticane.  

*  

   Fine partita di Samuel Beckett musicato da Gyorgii Kurtag. Dio che profondo sonno! Sonno vero, bello, in poltrona, alle 11 di mattina. Sonno ristoratore. Più ‘assurdo’ di così!

*  

   Bizantinismi teologici. Povero Dio in bocca ai teologi!

*

   Nietzsche: la filosofia serve a liberarsi della filosofia.

   Anonimo: come la teologia della teologia.

   Donde la loro indispensabilità. 

*

   L'almanacco-calendario Mit Goethe durch das Jahr 2023 è quest’anno dedicato

all'ultimo grande amore irrisolto di Wilhelm Wolfgang, quello per la giovanissima Ulrike von Levetzow. Da almeno un trentennio esso intrattiene i lettori su aspetti diversi della vita e dell'opera del grande Genio. Ne pubblico la foto di copertina, arricchita dei loro ritratti, quale augurio anticipato per il prossimo anno del Francofortese e mio ai comuni amici della Rete.

   (L'almanacco, pubblicato dall’Editrice Dudenverlag di Berlino, è facilmente reperibile attraverso Amazon).

*

   Finalmente stamane in Rai la replica di un servizio assai bello su Gabri, il suo Genio, la sua Arte, le sue Imprese; un servizio senza pregiudizi, senza faziosità, senza malignità, senza falsità, tale da restituircelo in tutta la sua verità e grandezza, come uno di coloro nei quali (non è blasfemo riconoscerlo) il Massimo Fattore volle "del creator suo spirito / più vasta orma stampar".

   Onore dunque a chi il servizio ha pensato e scritto e anche un poco a chi l'ha letto; ma disdoro a costui per aver pronunciato l''audēre' del 'memento audēre semper' con l'accento sulla a. Ignorare il latino forse non è  reato, ma non informarsi prima di declamarlo dinnanzi a milioni di spettatori, sì. Il Pescarese nel suo Limbo ha rabbrividito. Ma ha sicuramente anche, more suo, con gusto e ironia benevolmente sorriso.

*

   Quattro giorni di ebrietudine (Trunkenheit), vera e propria sbornia (Rausch) con Strauss (Richard) e il suo tardo romanticismo: "Also sprach Zarathustra", "Salome", "Elektra", "Alpensinfonie", "Till Eugenspiegel lustige Streiche" (Tiri burloni di Till Eugenspiegel), "Rosenkavalier" (Il cavaliere della rosa).

   Il Genio monacense è inarrivabile. Grazie Rai5

*

   'L'autunno è un emozione, non una stagione".

   Danno questa affermazione per nicciana, e può esserlo. Non è difficile condividerla. Ma emozione di che? Per mio conto tentai una risposta in un articoletto apparso su 'Il Giornale d'Italia' del 14 ottobre 1972 (poi riportato nel volume 'Studi Variazioni Divagazioni, Bulzoni 1986, pp 293-294), che allora non dispiacque.                   Eccolo:

   Autunni

   “L’altipiano è un lago di nebbia fitta e pesa che non sale ai miei ‘irti colli’. La finestra della mia bicocca somiglia all’oblò dell’arca di Noè. Una piccola finestra rotonda che a stento contiene la mia testa e le mie spalle. Mi è caro guardare dalla mia finestra la tristezza contenta della prima pioggia autunnale, abbondante e pia. Mi è caro guardare l’autunno e la tristezza degli autunni: gli autunni delle cose, gli autunni degli uomini, gli autunni del cielo, della terra, del mare. Gli autunni della mia anima.

   Caratteristica degli autunni è una pacata tristezza, che è figlia del tempo, anzi gli è costituzionale: una nudità stanca, che è dentro le cose da quando le cose sono, ma che si rivela solo in certi momenti come gli autunni.

   Guardo gli autunni della tristezza. Poiché la tristezza, essenza del tempo, delle cose e dell’uomo fatti di tempo, ha le sue stagioni.

   A primavera essa si addolcisce in sostanza vergine e delicata di fiori, che portano in sé la malinconica coscienza della propria fragilità, di cui si compiacciono come un decadente dell’etisia.

In estate essa rumorosamente si camuffa dietro sfacciate espressioni di vita. Si ubriaca di profumi, di calori e di colori per non vedere, e non sentire, le sue rughe, come cretti profondi.

   D’inverno gela in dolore autentico e perde coscienza di sé, come si perde coscienza d’un arto congelato. E impazzisce di spasimo ove non riesca completamente a ghiacciare, ove non riesca la sua coscienza ad intorpidire.

   Ma d’autunno la tristezza è se stessa. Per questo amo l’autunno che guardo dalla mia finestra.

   L’autunno è la verità di tutte le cose. È il volto verace di ogni vita. È la santità trasparente degli esseri che non hanno linguaggi fittizi, che non usano bugiarde convenzioni e non esigono che sian guardati con la compassione di chi sa il gioco e deve sforzarsi, per delicatezza, di non svelarlo.

   In autunno le cose non si guardano con compassione; o si guardano con quella compassione che è partecipazione. O addirittura le cose non si guardano. Si è, semplicemente, le cose. In autunno le cose, e noi con esse, buttan la maschera. L’autunno è un’orgia di sincerità universale”.

*

   Mi si chiedono da più parti i motivi del mio misoamericanismo. Mi è difficile rispondere in breve.

   Se il misoamericanismo è un morbo, io ne nacqui gravemente affetto. Me lo passarono, con motivazioni diverse, il Montaigne degli Essais, Alexis de Tocqueville nonostante il suo intento (della Démocratie en Amérique egli avrebbe voluto innamorarmi), poi il Baudelaire saggista, in parte Bernard-Henri Lévy di American Vertigo, molto le due Guerre mondiali per il ruolo prima durante e dopo che gli americani in esse si assunsero e svolsero, e il dopoguerra fino ad oggi.

   L’America portò e alimenta nel mondo la peste del consumismo, del liberalismo incontrollato, della dittatura delle maggioranze oclocratiche, e delle minoranze plutocratiche.

  Ѐ scontato che l’America oggetto, si fa per dire, del mio odio non è quella dei nativi, ma quella dei conquistatori ispano-lusitano-anglo-franco-danesi e dei loro discendenti ed eredi.

   Per motivare approfonditamente il mio misoamericanismo ci vorrebbe un trattato, che non ho tempo nemmen di tentare, ammesso e non concesso che sarei forse in grado di svilupparlo.

   Me lo porterò con me nella tomba. Ma ampi squarci sono già reperibili nella mia modesta opera filosofica pedagogica e poetica, soprattutto in Dis-Incanti. Diànoie metànoie parànoie di un Vegliardo diarista virtuale, ormai al suo terzo volume nella versione cartacea.

   Chiedo scusa, ma The Star Spangled Banner non è né potrà mai essere il mio Inno.  

_________________

  

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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