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Ratzinger, Brahms, von Karajan. "Fora i barbari!" o 'dentro' i barbari? Sogni. Pensieri sparsi

Post n°1154 pubblicato il 05 Gennaio 2023 da giuliosforza

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   Nonostante la naturale stanchezza del mio muscolo cardiaco, non del mio cuore, riesco ogni giorno ancora a macinare, seppur lento pede, i miei due tre km  per le strade meglio curate del mio quartiere semiborghese, ma anche per quelle praticate da sozzi accompagnatori di quei cani che hanno avuto la sventura di capitare con gentaglia che non cura la loro igiene e la nostra, di noi obbligati a fare slalom tra le cacche anziché in santa pace seguire le nostre rêveries di promeneurs solitaires.

   Ah Jean-Jacques!

   Ci sono ancora molti barbari, nel mio quartiere! Qualcuno si sta innervosendo e urla il dellaroveriano ‘fuora i barbari’! A me basterebbe che i barbari stessero ‘dentro’! E mi basterebbero un po’ di netturbini che, da quando han cambiato nome in operatori ecologici non si vedono più, e il concetto di oikia, donde il prefisso ‘eco’, ignorano proprio che sia.

   Sulla rete di recinzione di un palazzo in costruzione ho letto un simpatico avviso: signori cani, siate così gentili da non lasciare sui marciapiedi le fotografie dei vostri padroni. Avviso spiritoso, dove di errato c’è solo ‘padroni’. Cari cani, non abbiate padroni! Sbranateli i vostri padroni, signori cani, riprendetevi la vostra natura e il vostro ruolo, ribellatevi almeno voi, che ne avete i mezzi, agli addomesticamenti!  

*  

   Ci voleva la morte di un papa tedesco, melomane e provetto pianista, per farci regalare da rai5 il capolavoro brahmsiano Ein deutsches Requiem registrato nel 1985, ma conservatosi miracolosamente intatto nel colore e nel suono, cosa rara per una Rai avvezza ad ammannirci ciarpame raccogliticcio di scarsissimo valore. Con questo Requiem l’azienda un bel po’ si redime, e non possiamo che augurarle di proseguire su questa strada, per lei onorevole e per noi piacevolissima.

   A dirigere il capolavoro dell’Amburghese (per il quale, trentaquattrenne all’epoca dell’inizio della composizione -1865- dedicata alla memoria della madre appena scomparsa, non si trattò di una Fine, ma di un Inizio) è un von Karajan settantottenne come sempre miracoloso, ma questa volta più ieratico, se possibile, un von Karajan che dirige a mente come suo solito, ché una biblioteca ambulante egli è, musicale e non solo. (quanti miliardi di note danzano nel caleidoscopio della sua mente?), un von Karajan che somiglia da fare impressione, non solo per la folta cesarie bianca ma per tutto il portamento, al Papa defunto. I suoni che il Maestro sa trarre dall’orchestra sono di una limpidezza impressionante, il grande coro misto sbalordisce per la sua intesa: persino i movimenti delle labbra di ciascun cantante (regolarmente tutti senza spartito) sono talmente identici da sembrar comandati da qualche celato apparato meccanico. E giustamente il tecnico della ripresa ripetutamente inquadra quel particolare del volto. Se il Requiem non fosse stato registrato trenta anni fa si potrebbe parlare del primo miracolo di Ratzinger da sfruttare per una eventuale canonizzazione (visto che gli ultimi Papi amano, da Giovanni XXIII in poi, dichiararsi santi l’un l’altro -son talmente vuote dunque le casse vaticane?).  Ma di ciò non dobbiamo preoccuparci, mi sento un facile profeta: santo Ratzinger non ce lo faranno: da buon conservatore e troppo colto esce dagli schemi di una Chiesa che per sopravvivere rinuncia poco per volta al suo patrimonio dogmatico, al credo niceno-costantinopolitano. Cosa che a me, libero pensatore. sta benissimo, finalmente un cristianesimo tentato di tornar se stesso, recuperando il suo ricchissimo simbolismo e liberandosi delle manipolazioni farisaiche paoline. Ma non mi stanno bene i populismi, rispetto tutte le opinioni e comprendo che i cattolici integralisti si sentano traditi nella loro fede cattolica apostolica romana. E capisco i lefèbvriani, come li ha capiti Ratzinger, che per altro ha fallito nel suo tentativo di restituzione della liturgia tridentina alla sua solennità e ieraticità. Hanno cacciato Pierluigi da Palestrina dalle chiese e vi hanno introdotto persino quello scempio dei rapper con le loro monotone tiritere. Dio mio, Dio mio! Rispetto per ogni Confessione, ma a ciascuno la sua chiesa. Fuori i mercanti dal Tempio cristiano, di grazia, il Nazzareno li scacciò, pur se inutilmente, vista la loro protervia e i loro mille travestimenti. E odio le schitarrate dentro le chiese: hanno ragione i ratzingeriani, Rome n’est plus dans Rome, come direbbe il mio Marcel. Non vi sta bene una chiesa rigidamente paolina? Uscitene, come pochi, e fra questi io, hanno fatto. Ma dovete aver coraggio, poiché le chiese, come i partiti (chiese essi stessi, e della peggior fatta), si vendicano degli apostati (quelli veri, non gli ereticucci all’acqua di rose, ospiti in ogni incontro dove si farebbe, dicono, intercultura, attorno a tavoli lautamente imbanditi) e fanno loro pagar cara la scelta della libertà.

   Dire dell’originalità del requiem brahmsiano è superfluo. Costruito su testi biblici nella traduzione di Martin Lutero (che era, non dimentichiamolo, un discreto musicista egli stesso, come si evince dalle cantate lasciateci) liberamente interpretati, si sviluppa su sette temi e sette movimenti, che vanno dall’adagio, all’allegro, al frenetico fugato, toccando tutte le sfumature dei sentimenti (dal compianto alla serena rassegnazione) senza il ricorso ai toni apocalittici caratteristici di altri compositori (vedi i sunnominati Mozart, Cherubini, Verdi, Berlioz, Brahms, Britten, Dvořák…).  Il tenore dei singoli movimenti, rigorosamente in tedesco, è già dai loro inizi esplicito: Selig sind die das Leid tragen, Denn alles Fleisch es ist wie Grass, Herr, lehre doch mich, Wie lieblich sind dei Wohnungen, Ihr habt nun Traurigkeit, Denn wir haben hie keine bleibende Statt, Seling sind die Toten. Predominante (sublime godimento per i miei orecchi), oltre al baritono e al soprano soli, la presenza del coro, che conferisce al tutto quella solennità pacata e discreta quale s’addice a un mistero insondabile quale quello della Morte.

   Lo vorrei tanto alle mie esequie, questo deutsches Requiem!      

*

   Fra la sempre più fantasmagorica pletora di sogni meravigliosamente colorati (veri e propri fuochi d’artificio - anticipazioni di paradisi?- che sempre più allietano le mie recenti notti), eccone uno che mi rituffa violentemente nella brutale realtà della veglia.

   Immenso capannone-hangar ormai desolatamente vuoto. In fondo a destra piccolo tavolo di legno ferro e plastica dove attende, palesemente annoiato, stravaccato scompostamente sulla sedia e coi piedi volgarmente sul tavolo alla yankee, un Dirigente scolastico che mi attende per …'vendermi ricambi di frigorifero'! Mi parla, unica nota umana in un dir di ferraglie, di ‘Leone’ (Osvaldo), dei suoi figli e nipoti e generi e nuore con commossa nostalgia.

  Questo il sogno. Quale il suo simbolo?

   Il simbolo è di una fin troppo trasparente evidenza: i Dirigenti scolastici ridotti (esentati per legge da ogni competenza ed attività cultural-didattica) a freddi burocrati.

Se ne lagna con me una splendida creatura, neo-dirigente di un complesso dell’agro pontino, mia ex allieva arpista e direttrice di banda. Le propongo, fra il serio e il faceto, di organizzare una vera e propria resistenza (per quel che ancora mi consentono le residue forze io stesso scatterei ad arruolarmi) impugnando la bandiera dell’Arte redentrice ed umanizzatrice. Chi meglio di lei?

   "Ho già fatto", dice, svariati tentativi, ma tutto inutile, ‘perc’a risponder la matera è sorda’.

   E allora almeno intoni, le dico, alla fu-Scuola un solenne 'Requiem', inviti Mozart, Cherubini, Verdi, Berlioz, Brahms, Britten, Dvořák…, ne trascriva per banda, assemblandoli in una ricca 'Suite', brani dei rispettivi Requiem e fissi la data del "Concerto in memoriam". Si avrà così, la fu-Scuola, solennissime esequie. E adeguatamente si aprirà il 2023 nella (vana?) speranza di scongiurarne le sempre più nefaste previsioni

   E ora buon 2023, se vi pare.

   Alcuni commenti

   Marzia:

   E allora, in attesa di ricevere la composizione del Requiem per la Fu Scuola, che affido a Lei, non ritenendomene all'altezza, brinderò al 2023, ai nostri giovani 'musici' e ai nostri giovani alunni, che possano resistere e osare sempre, con noi e più… Che arrivi questo ‘23…siamo pronti con te amato Maestro a goderne fino in fondo!!! 

   Claudio Leoni:

   Buon Anno Giulio! E poi il sogno! Ma no, era solo un'immagine del selvaggio West, piedi sul tavolo, hangar in disuso, pezzi di ricambio. Era l'America, Giulio e tu non ci puoi fare niente.

   Io: 

   Dio stramaledica l’America

   Lisanna Dave:

   So per certo che la nostra cara Marzia saprà risollevare le sorti della sua scuola, perché dotata di grandi capacità! Buon 2023 a tutti!

   Marco Bertelli:

   Fantastico sogno e Fantastici Auguri a lei, Fantastico Professore 

   Roberto Maragliano:

   Ciao, grande Giulio, sereno anno

   Troppo buoni questi amici!

*

   Sogno proibito.

   In sogno così ho sproloquiato dinanzi ad un pubblico scandalizzato: il fine (auspicabile, se non fatale) di ogni religione dogmatica è la sua fine (rumori tra il pubblico), per il recupero, la salvezza e la salvaguardia della religiosità. Come il fine di ogni rivolo è la sua confluenza nel fiume, proseguivo, e quello di ogni singolo fiume (di ogni particolare) la sua confluenza nel gran mare dell’universale, così la fine naturale di ogni fede monistica e monopolistica è, dovrebbe essere, la sua confluenza nel polü pèlagos tou kaloù, nell’immenso oceano del bello, altro nome della religio, l’elemento cioè che religat, unisce, connette, la dispersione, il Caos, degli enti nell’Essere e la fa Cosmos. La Risoluzione della religiosità nella Bellezza piacque all’uditorio, che improvvisamente e si rasserenò e tranquillizzò. Anche sul labbro dei più irriducibili ricomparve il sorriso, ignari della minaccia alla loro fede che sotto il magico termine di Bellezza si cela.

*

   Ebbene sì. Oggi 20 dicembre, cinque giorni al Natale, da me è arrivato in anticipo Babbo Natale recandomi dagli anni Cinquanta la fiaba di Hansel e Gretel di Engelbert Humperdinck (da non confondere col britannico cantante attore contemporaneo che ne volle assumere il nome come nome d’arte) con una straordinaria giovanissima Fiorenza Cossotto, ancora felicemente vivente, quasi mia coetanea. Tutti conosciamo la fiaba, ma pochi la musica che le diede il compositore tedesco, musica  che piacque tanto a Richard Strauss il quale ne diresse la prima e ne sposò poi la protagonista. Da quando io l’ascoltai, negli anni della mia docenza, al nostro seminario di educazione all’ascolto illustrata dalla cara compianta Maria Teresa, non m’era più capitato di risentirla e quasi ne avevo dimenticato l’esistenza. Come sia stato ciò possibile non so: si tratta di una delle fiabe musicali più belle, la capostipite di un genere che avrebbe trovato fortuna. Si tratta di un’opera ancora tutta romantica, nel tema, nel tessuto musicale, negli sviluppi, nelle scene. Si era negli anni Novanta dell’Ottocento, quando la musica non era ancora, grazie a Dio, impazzita nei cerebralismi e nei meccanicismi.     

   E uno Schiaccianoci (1978, Festival dei due mondi, Teatro nuovo di Spoleto) che è un vero disastro. Il sonoro è solo un frastuono insopportabile, con un rimbombo che colpisce anche il mio orecchio sordo. Peccato. Perché io amo Petr Il’ic, la sua musica, le sue ansie, le sue passioni e i  suoi amori irrisolti, la sua mecenate Madame von Meck, l’immenso amore platonico che li legò. Ma oggi Petr’ Il’ic dai suoi cieli si chiude gli orecchi con me. Non riusciamo a danzare e a perderci nel Sogno. Il re dei topi ha il sopravvento.     

*  

   E poi è tornato finalmente Gilberto Govi, il mio comico preferito, con la mia seconda patria, Zena, con i Maneggi per maritare figlia e Colpi di timone. È arrivato cavalcando la renna in uno dei miei giorni più neri a rasserenarmi.   

*    

   Ho chiesto a Paolo Di Nicola una opinione sulla voce di Mariella Devia, che non m’era piaciuta in non ricordo quale opera di tanti anni fa ritrasmessa recentemente da Rai5. Così mi ha risposto:  

   Giulio Sforza esimio professore, ti rispondo soltanto adesso perché sono stato impegnato tra conferenze e serate musicali varie. È vero Mariella Devia non ha una bella voce, è piuttosto priva di armonici, è piccola di volume, e il timbro anche se lucente non è propriamente prezioso. Però la Devia ha una tecnica a dir poco straordinaria, che le ha consentito di fare praticamente tutto. Le ha consentito anche (e congiuntamente a scelte di repertorio oculatissime) una longevità vocale eccezionale: ha cantato fino all’età di settant’anni e sempre in maniera impeccabile. Rodolfo Celletti disse che aveva un mi sovracuto dolcissimo ed è vero. Aveva un’emissione e una proiezione del suono correttissime, che le permettevano quel canto morbido da cui veniva la dolcezza dei sopracuti. Gli acuti erano sempre timbrati e sonori e il gioco di filati e di pianissimi davvero ragguardevole. L’unica cosa nella quale era un po’ manchevole era nella interpretazione: i suoi personaggi erano sempre un po’ troppo uguali, per carenza di un fraseggio davvero incisivo e mordace. Ma le emozioni passavano attraverso quella linea di canto perfetta e impeccabile. E non è cosa di poco conto.

*

   Ho risentito Lilli, una delle innumerevoli ninfe popolanti il bosco di Forio, alle falde dell’Epomeo. Dunque   è salva. La vendetta del gigante addormentato non l’ha colpita. Vendetta poi di che?

*

    Il bonsai donatomi da L. N. è un Buxus balearica, Bosso delle Baleari. Me lo ha appena comunicato, raccomandandomi di averne grande cura perché bellissimo e prezioso dono, la mia cara ex allieva Dott.ssa Maria Salvi, insuperabile botanica ad honorem!

*

   Per quest'anno ancora, al fine di riposarmi dal tarlo del pensiero e farmi perdonare i cerebralismi con cui tedio e scandalizzo gli amici, voglio intonare al Bambinello, anche per essi, la mia ingenua 'Nenia blu al Bambino Gesù" per quattro voci dispari (melodia in forma di canone per soprani e contralti, accompagnamento a bocca chiusa di tenori e bassi) che per una venticinquina di Natali col nostro coro abbiamo cantato presso la Culla:

   "Vorrei scavar nel profondo del cuore / per ritrovare il mio antico candore / e susurrare al Bambino Gesù / questa dolcissima mia nenia blu /

blu come il cielo, blu il come il mare / blu come tutte le cose da amare, / come la gioia che in cuore mi danza, / come i sentieri della speranza.

   Io guardo il cielo, guardo le stelle / del Bambinello son meno belle, / egli ha negli occhi tale splendor / che al paragone è spento il sol.

   Quando il Bambino chiude gli occhietti / scendon dal cielo quattro angioletti, / uno lo culla, uno gli canta, / uno di tremule stelle lo ammanta;

e il quarto angelo che è il più piccino / carezza in volto il Bimbo divino, / e poi lo bacia sugli occhi celesti / e sulle seriche sue bianche vesti.

   Quando il Bambino si è addormentato / quell'angioletto che l'ha cullato / torna nel cielo, nel cielo blu / perché il Bambino non piange più".

*

   Alba chiara, aurora rosata che il solito drago di nubi sfrangiate tenta invano di divorare.

   E "Du beschämst wie Morgenrӧte / Dieser Gipfel ernste Wand / Und noch einmal fühlet Atem / Frülingshauch und Sommerbrand". Tu arrossi le mie guance come l’Aurora l’oscura parete di queste cime. E ancora una volta Atem avverte l’alito della primavera e l’incendio dell’estate. (Atem, Goethe, a Suleika nell’ 'West-ӧstlicher Divan')

   Struggente, senile nostalgia di Albachiara, devastante 'Sehnsucht'!

__________________

 Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika

 

 

 

 

 

 

 
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